S.E. Mons. Vincenzo Bertolone Arcivescovo Metropolita di Catanzaro-Squillace
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S.E. Mons. Vincenzo Bertolone Arcivescovo Metropolita di Catanzaro-Squillace

sabato 24 dicembre, 2011

MESSAGGIO DI NATALE di S.E. Mons. Vincenzo Bertolone Arcivescovo Metropolita di Catanzaro-Squillace
Carissimi
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questo è il primo Natale che passiamo insieme e il solo nome della più poetica festività dell’anno liturgico evoca atmosfere di pace e gioia. Purtroppo, però, fattori ansiogeni ormai cronici (le condizioni economiche, la disoccupazione, lo spaesamento dei giovani) e fatti dolorosi recentissimi causati dal dissesto idrogeologico offuscano la consueta atmosfera di questa parte dell’anno. [MORE]


Nel mentre ciascuno di noi cercherà di attivarsi per recare sollievo e conforto a chi soffre, dovremo rivolgerci al Signore perché Egli voglia volgere il Suo sguardo misericordioso su questa nostra terra tanto colpita.

Il periodo mi pare particolarmente consono alla preghiera, alla ricerca di dialogo con Lui. L’Avvento, infatti, è per eccellenza la stagione spirituale della speranza, stagione in cui la Chiesa universale e ciascuna chiesa particolare – perciò anche noi – sono chiamate a diventare speranza per il santo popolo di Dio.


A noi, chiesa di Catanzaro-Squillace, è richiesto un supplemento di fede e di speranza, dovendo far splendere la luce di Dio in una terra segnata dalla ferita di una demoniaca criminalità organizzata; da una persistente e cronicizzata crisi economica, che non favorisce le condizioni di sviluppo; dall’endemica disoccupazione che interessa tutte le fasce di età, particolarmente i giovani; dall’immigrazione forzata sia delle menti sia della forza lavoro che rallenta la crescita della Regione.


In questa terra creata come giardino da Dio, ma resa aspra dall’egoismo dell’uomo, la Chiesa deve ripetere alle donne agli uomini di oggi: “Andiamo a Betlemme” (Lc 2, 15), per trovare lì la nostra speranza, il nostro Salvatore, il Signore nostra luce e nostro Dio, affinché si realizzino anche per noi le parole che il profeta Michea rivolgeva a Israele: “Se sono caduta, mi rialzerò; se siedo nelle tenebre, il Signore sarà la mia luce (Mi 7, 8).


Come ha ricordato anche il Papa, è compito di tutti lavorare ed agire direttamente, ad ogni livello, nella costruzione dell’ordine temporale, guidati dalla luce del Vangelo e dell’amore cristiano.
Cristo nascerà anche quest’anno e la sua nascita significa, soprattutto per i più infelici ,che è «apparsa la grazia di Dio come principio di salvezza» (Tit. 2,11) e di realtà dell’Amore divino.


Nei luoghi della sofferenza umana una particolare luce deve essere irradiata sulle persone sofferenti e sui loro familiari. Con loro il Cristo si è identificato. Il portare loro luce del Vangelo deve significare scoprire la loro valenza sacramentale, il loro essere forza per la chiesa e per l’umanità proprio a partire dalla loro debolezza. E far prendere coscienza al mondo dell’altissima dignità della persona e della vita umana in ogni fase della sua esistenza: nel nascere come nel morire. Nessun luogo deve essere dimenticato, ma in tutti deve risplendere la luce della Chiesa. Anche in quelli della disperazione, caratterizzati da disoccupazione, povertà, ingiustizia, soprusi.


A tutti la Chiesa deve ricordare la via della giustizia: alle vittime ricordando di gridare a Dio la loro sofferenza e umiliazione, protestando nella preghiera la via della giustizia più grande. Ai malvagi invitandoli a convertirsi dalla loro ingiusta condotta, riconoscendo a ciascuno il giusto salario, il diritto al lavoro, la propria dignità, il rispetto, la stima.


Carissimi, quando si è pieni di Gesù si è colmi di amore e l’amore è il mezzo più potente per attirare l’amore. Dante Alighieri scrive nella Divina Commedia: «Amor ch’a nullo amato amor perdona». Chiunque si senta toccato da questo stupendo sentimento non può fare altro che corrispondere nello stesso modo. L’amore imita, l’amore vuole conformità con l’essere amato. Ecco, perché, malgrado tutto vi esorto ad essere ottimisti e fiduciosi come lo era Papa Luciani quando scriveva: “L’umile successore di san Pietro non è ancora stato tentato dallo scoraggiamento. Ci sentiamo forti nella fede e con Gesù al nostro fianco possiamo attraversare non solo il piccolo mare di Galilea, ma tutti i mari del mondo. […] Figlioli, confidate sempre in Dio che vegli su ciascuno di noi. Lasciamo fare al Signore. Si deve sempre avere fiducia nel tempo. Il tempo aggiusta le cose. C’è del male, c’è della fiacchezza, c’è del turbinio di tentazioni fortissime nel mondo moderno, ma esiste anche il bene. Io sono ottimista”.


Con questo ottimismo desidererei bussare alla porta del vostro cuore e consegnarvi un piccolo dono che, come Pastore di questa amabile chiesa diocesana, sento il dovere di consegnarvi in questo tempo di attesa. Un dono composto non solo da parole d’inchiostro, ma da una parola ricca di quell’amore che un padre nutre per i propri figli, un dono che ci aiuta a gustare la dolcezza del Natale, che si dischiude in raggi di luce che illuminano la grotta di Betlemme, verso la quale il nostro sguardo deve volgersi per incontrare Dio alla fine di un lungo viaggio.


A volte il nostro sembra un inutile affannarsi, un viaggio verso l'ignoto: come per Maria e Giuseppe, costretti a lasciare il loro paese d'origine; come per i pastori, che abbandonarono le pecore e i loro turni di guardia fidandosi della parola dell'Angelo; come per i Magi, che si misero a seguire l’insolito brillio di una stella.


Nel mistero di quella stella c’è il mistero del Natale, il mistero di un Dio che si fa uomo: Dio e uomo, umanità e divinità non sono realtà contrapposte, bensì strettamente unite, vicine. Noi a volte abbiamo l'impressione che accogliere il Signore, ascoltare la sua parola limiti la nostra libertà. Ci sembra che fare a meno di Dio renda più liberi, più autonomi e si possa fare quello che si vuole senza troppi problemi. Questo, in ogni caso, è vero per tanti nostri contemporanei: per molti degli uomini di oggi lasciare la fede e la Chiesa è un modo di dimostrare che si è adulti, che non si crede più alle favole dell'infanzia, che si incomincia a ragionare con la propria testa. No! non è così: il mistero del Natale è semplicemente il mistero di un Dio che viene a liberare l'uomo. Quel bambino nella mangiatoia, che porta in sé i segni della povertà, dell'impotenza, della piccolezza, è davvero il Salvatore, il liberatore dell’uomo.


Purtroppo, è così facile chiudere in fretta il Natale, come si fa riponendo nello scatolone le statuine del presepio o gli addobbi dell’abete. Ed invece la novità del Natale è per sempre: se soltanto riflettessimo su quel che vuol dire «Dio con noi»! Colui che è l'origine, il senso, lo scopo della nostra vita, l'unico in grado di appagare il cuore umano è tra noi.


All’uomo che si interroga sul senso della vita e cerca disperatamente una soluzione ai suoi quesiti intimi, non s’addice l’etichetta del folle: come già aveva intuito Platone, per decifrare l’umana sorte abbiamo soltanto la ragione, ma questa non è che una povera zattera su cui attraversare pericolosamente il mare della vita.


Il Natale è l’evento di questa rivelazione, che ribalta definizioni folgoranti eppure desolanti e fa vedere l’uomo su uno sfondo di dignità, di valore, di immortalità. Ebbene, questo piccolo dono è anche per voi, miei cari sacerdoti. Busso alla porta della vostra canonica per augurarvi di percepire sempre più tutta la bellezza del sacerdozio di Cristo e, allo stesso tempo, tutta la responsabilità che esso contiene: la bellezza vi entusiasmi sempre, la responsabilità vi spinga ad essere coscienti di quello che fate e che sarete chiamati a fare. Possa in ogni caso la vostra dedizione al servizio della Chiesa essere la più alta e la più pura, ad imita¬zione della beata Vergine Maria, che ne è Madre, perché la Chiesa possa essere testimone dell’amore di Dio in un tempo in cui l’umanità ha bisogno di riscoprirsi cercata e amata da Dio.


Questo piccolo dono è per voi tutti, fratelli e sorelle nel Signore. Vi auguro che le nostre case diventino luogo della dimora del Signore, luoghi in cui il Signore abiti stabilmente, perché la Sua fedeltà renda ogni casa dell'uomo luogo di santità.
 


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