In Art - L'universo di Takashi Murakami
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In Art - L'universo di Takashi Murakami

lunedì 1 settembre, 2014

MILANO, 1 SETTEMBRE 2014 – Fino a domenica prossima 7 settembre, la Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale - dove nel 1953 Picasso espose Guernica - ospiterà la personale “Takashi Murakami. Il ciclo di Arhat”, dedicata a uno dei maggiori maestri giapponesi della scena contemporanea - 121° nella top 500 degli artisti più quotati al mondo nel 2013, con un fatturato aste di 15.558.624 $ (dati artprice.com).

Una selezione di dipinti e sculture (un lotto di 15 lavori recenti), per la prima volta in Italia all'interno di uno spazio espositivo pubblico, presenta le visioni psichedeliche e iperpop di Takashi Murakami, che tenta di coniugare la tradizione nipponica (la pittura classica di Hokusai e Utamaro) con la cultura di massa (manga, anime, videogiochi, ecc.).

«L’arte di Murakami - spiega il curatore Francesco Bonami, critico di fama internazionale - ha sempre riflettuto sull’adolescenza come stato perenne della società giapponese del dopoguerra». Nella sua produzione si assiste al passaggio dall'estetica “Superflat” (“superpiatta”, teorizzata nel Duemila) - con l'idea sottesa «di una società e di un’arte uscita dal trauma di Hiroshima, dove le differenze risultano appiattite, dove la cultura “bassa” si intreccia e si mescola con quella “alta” facendo nascere uno stile ibrido ma assolutamente nuovo» - alla dimensione del “superdeep”, decisamente più profonda e complessa, ispirata alla storia recente del Giappone, in particolare alla catastrofe nucleare di Fukushima dell'11 marzo 2011.

«Nelle opere presentate a Palazzo Reale - sottolinea il critico -, Takashi Murakami parla di questa nuova dimensione psicologica e sociale del suo paese. Se Hiroshima aveva scardinato la rigida tradizione della cultura giapponese proiettandola dentro la superficie della modernità, il disastro di Fukushima ha strappato il Giappone dalla sua incurabile adolescenza scaraventandolo dentro una maturità improvvisa».

Esorcizzare paure personali e collettive, traumi, inquietudini, attraverso colori acidi, eccessi kitsch e distorsioni varie – con demoni, yokai (ovvero, mostri con poteri soprannaturali), anime (cartoni animati), funghi colorati e allucinogeni (che rinviano alla cultura underground e all'olocausto atomico), e ancora con pin up, teschi e fiori sorridenti come emoticons, divenuti inconfondibili icone del suo stile -, per accostarsi dunque a «una ritrovata spiritualità» e alla «presa di coscienza dell'inevitabilità del nostro destino», con «la serenità» che ne discende (F. Bonami, dal testo critico di introduzione alla mostra). È questa la chiave di lettura del nuovo percorso dell'artista, evidenziata nell'allestimento milanese già dal titolo: gli Arhat - dal sanscrito, “essere che ha raggiunto l'illuminazione”, ovvero “rispettabile, degno di venerazione” -, erano i monaci Buddisti, assimilabili per certi versi ai Santi occidentali, qui assunti a guida, «presenze - nelle parole del curatore - che curano e accompagnano il ciclo della vita attraverso le sue tappe a volte tragiche, a volte violente, a volte meravigliose».[MORE]

Murakami omaggia gli Arhat con un ciclo di pannelli monumentali che arrivano fino a 10 metri di lunghezza. L'esposizione, che accoglie il visitatore con l'Oval Buddha Silver (2008), «una scultura luccicante dove, ancora una volta, l’eterno feconda il presente», si avvale di altre opere singolari, raffiguranti «montagne di teschi» e autoritratti, in cui l'autore «si ritrae come un nuovo Piccolo Principe di Saint-Exupéry, in piedi su una nebulosa più che su un pianeta, e spesso con alle spalle un buco nero pronto a inghiottirlo» (F. Bonami).

Alla mostra si è accompagnata la proiezione in anteprima europea (il 23 e il 24 luglio scorsi, presso Apollo spazioCinema - Milano) del primo film prodotto dall'artista giapponese, Jellifish Eyes (100’, 2013): un lungometraggio live-action con protagonista un adolescente (Masashi) che ha per amica una medusa volante.

Note biografiche - Takashi Murakami (Tokyo, 1962), ha conseguito la laurea e il dottorato di ricerca presso la Tokyo University of the Arts. Ha esposto in ogni angolo del pianeta, dal Museum of Fine Arts di Boston (2001), all'Al Riwaq Hall di Doha, Qatar (2012), passando per la Serpentine Gallery di Londra (2002) e la Reggia di Versailles di Parigi (2010). Vanta collaborazioni varie, con Roppongi Hills, Yuzu e Louis Vuitton. Nel 1996 ha fondato a Tokyo la Hiropon Factory, che nel 2001 si è trasformata nella Kaikai Kiki Co., una società di produzione e art management - con due sedi, a Tokyo e New York -, in sintonia con la prassi delle botteghe rinascimentali e la formula di Andy Warhol e Jeff Koons.

 


 Domenico Carelli

(Foto: in evidenza, detail di Red Demon and Blue Demon with 48 Arhats, 2013 - Acrylic, gold and platinum leaf on canvas mounted on board - 3000 x 5000 mm - Courtesy Blum & Poe, Los Angeles ©2013 Takashi Murakami/Kaikai Kiki Co., Ltd. All Rights Reserved;
nel testo, Dark Matter & Me, 2014 - Acrylic, gold leaf and platinum leaf on canvas mounted on wood panel - 2000 x 50.8 mm - Courtesy Blum & Poe, Los Angeles ©2014 Takashi Murakami/Kaikai Kiki Co., Ltd. All Rights Reserved;
trailer di “Jellyfish Eyes”, 2013, Directed by Takashi Murakami;
in gallery, 100 Arhats, 2013 - Acrylic, gold and platinum leaf on canvas mounted on board - 3000 x 10000 mm - Courtesy Blum & Poe, Los Angeles ©2013 Takashi Murakami/Kaikai Kiki Co., Ltd. All Rights Reserved;
Oval Buddha Silver, 2008 - Sterling Silver - 1365x805x780 mm - Courtesy Blum & Poe, Los Angeles ©2008 Takashi Murakami/Kaikai Kiki Co., Ltd. All Rights Reserved)


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