Bovalino: Salone Internazionale del Libro di Torino. Terzo premio per Agostino Cucuzza al concorso “Il Dubbio-Premio Letteratura per la Giustizia”


“Quella sera, lasciando il Tribunale di Locri, Alessandro Verri (Avvocato) si fermò a guardare il sole che tramontava dietro l’Aspromonte.
Il cielo era striato di arancione e viola, e l’aria profumava di gelsomino.
Ripensò alle parole di Rocco Ferraro (accusato “innocente” di omicidio), alla solitudine di chi è diverso, al coraggio necessario per difendere la verità in una terra dove spesso è più facile tacere.
Essere avvocato in Calabria significava questo: combattere non solo contro le accuse, ma contro pregiudizi secolari e paure ancestrali.
Ogni verdetto di assoluzione era un piccolo passo verso una giustizia più umana, ogni battaglia vinta un mattone nella costruzione di una società più equa.
Mentre guidava verso casa lungo la strada costiera, Alessandro pensò a quante altre memorie perdute attendevano ancora di essere recuperate e difese.
Quante altre verità giacevano sepolte sotto strati di silenzio e conformismo.
Il suo lavoro, rifletté, non era solo difendere persone, ma preservare la dignità umana in tutte le sue forme.
Il caso di Rocco Ferraro sarebbe rimasto nei suoi ricordi come un monito: la giustizia non è solo una questione di leggi e procedure, ma di umanità e coraggio.
E in quella terra aspra e meravigliosa, dove il confine tra giusto e sbagliato spesso si confonde con l’orizzonte, c’era ancora tanto lavoro da fare…”
Di seguito l’intervista rilasciata dall’autore del racconto breve, Avv. Agostino Cucuzza, 3° classificato al Concorso “Il Dubbio-Premio Letteratura per la Giustizia”, indetto all’interno del Salone Internazionale del Libro di Torino.
Il “Salone Internazionale del Libro di Torino”,giunto alla sua 37^ edizione, è una finestra aperta ed importante sul mondo culturale e letterario in particolare. Come ha vissuto questa esperienza da concorrente in un concorso organizzato al suo interno ?
L’ho vissuta con grande emozione e profonda gratitudine.
Trovarmi al Salone del Libro, in un contesto così prestigioso, è stato un privilegio.
Il concorso “Premio Letteratura per la Giustizia FAI – Il Dubbio”, giunto alla sua quinta edizione e promosso dal Consiglio Nazionale Forense, Fondazione Avvocatura Italiana e Il Dubbio, rappresenta un’occasione unica per portare la giustizia dentro la narrazione, con uno sguardo attento, umano e civile.
Partecipare con un racconto che parla di verità, ascolto e difesa dei diritti è stato, per me, il modo più autentico per esserci.
Com’è nata l’idea di partecipare al concorso ?
È nato tutto in modo semplice.
Avevo nel cassetto un “racconto breve” a cui ero legato, che parlava di giustizia, di emarginazione, di silenzi e di coraggio.
Quando ho letto del bando, articolato in tre sezioni-romanzi, racconti brevi e poesie- ho sentito che poteva essere il contesto giusto.
Non ho partecipato con aspettative, ma con la volontà di contribuire a un’iniziativa seria e profondamente civile.
In un mondo che spesso banalizza il concetto di giustizia, dare spazio a narrazioni vere, radicate, a volte anche autobiografiche, è un gesto importante.
E il successo crescente del Premio lo dimostra: oltre 500 opere selezionate e lette dalla giuria, segno di un bisogno autentico di raccontare e ascoltare.
Il suo racconto si è classificato al terzo posto. Ci può descrivere sinteticamente le sue emozioni e se continuerà a percorrere la strada della scrittura ?
È stata un’emozione intensa.
Non pensavo che un racconto scritto con semplicità e sincerità potesse trovare spazio tra tante opere di valore.
L’Avvocato delle memorie perdute è una storia breve, ma densa: racconta il percorso di un avvocato calabrese chiamato a difendere un uomo già condannato dal pregiudizio sociale, prima ancora che dal processo.
Ho scelto la forma breve perché volevo una narrazione essenziale, asciutta, dove ogni parola avesse un peso.
La storia si sviluppa in pochi atti, ma in quei gesti si gioca la libertà di una persona e la credibilità della giustizia.
Penso di sì, senza ambizioni letterarie, ma con il l’idea di raccontare storie che possano far riflettere.
Perché giustizia e scrittura, quando si incontrano, possono generare consapevolezza.
Il racconto descrive ed evidenzia i sentimenti provati da un avvocato calabrese nell’esercitare la professione in un territorio cui è profondamente legato. Si tratta di una sua autobiografia o della messa a nudo di una realtà inconfutabile?
Non è una mia autobiografia, ma certamente è un racconto che nasce da ciò che vivo e osservo.
Alessandro Verri, il protagonista, è un avvocato che lavora in una terra difficile, dove la verità spesso deve lottare per emergere.
In lui ho messo l’esperienza, le domande e anche le fragilità di chi cerca di fare questo mestiere con coscienza.
Come lui, anch’io credo che la difesa non sia solo un atto tecnico, ma anche un gesto umano, morale, civile.
Il racconto prende ispirazione da tante storie ascoltate in silenzio: alcune vere, altre verosimili, tutte profondamente umane.
Al Salone del Libro ha potuto toccare con mano l’importanza dell’evento e l’imponenza della sua organizzazione. Cosa l’ha colpita di più ? e qual è stato l’incontro che l’ha gratificata maggiormente?
Mi ha colpito l’atmosfera autentica, l’interesse reale per i temi trattati.
Il Salone non è solo una vetrina culturale, ma un luogo dove le parole possono ancora creare confronto.
In particolare, il concorso promosso da Consiglio Nazionale Forense, Fondazione Avvocatura Italiana e Il Dubbio ha saputo mettere al centro storie che parlano di giustizia, carcere, diritti.
Un fil rouge che lega tutte le opere in gara e che dimostra quanto la letteratura possa ancora occuparsi del presente, delle persone e delle istituzioni.
Gli incontri più belli? Quelli tra gli altri partecipanti e gli organizzatori.
Colleghi, autori e giuristi: brevi scambi, ma densi di senso.
Visto l’ottimo risultato ottenuto ripeterà l’esperienza se si presentasse l’occasione e, soprattutto, cosa si sente di dire ai giovani in proiezione futura ?
Sì, se ci sarà la possibilità, parteciperò ancora.
Ai giovani direi: raccontate.
Non abbiate paura di dire qualcosa di imperfetto.
Scrivere richiede autenticità.
Raccontare la giustizia, i diritti, non è solo un esercizio creativo: è un modo per contribuire a una società più consapevole.
Il concorso a cui ho partecipato, accoglie anche voci non professionali, c’è spazio per chiunque abbia il coraggio e la voglia di mettersi in gioco.
Cosa si porterà dietro dall’esperienza torinese, tornando in Calabria ?
Porto con me una nuova consapevolezza: che anche una voce piccola, se è sincera, può arrivare lontano.
E torno con una frase del mio racconto, che sento molto vera: “Quando nessuno ti ascolta, la verità diventa più pesante della colpa.”
È questo, in fondo, il senso: cercare di restituire ascolto e dignità.
Un’idea di giustizia più umana.