Caina, il regista Stefano Amatucci: "Una razzista senza redenzione tra migranti e fantasmi"
InfoOggi Cinema Campania

Caina, il regista Stefano Amatucci: "Una razzista senza redenzione tra migranti e fantasmi"

sabato 28 luglio, 2018

15 euro: il prezzo di ogni cadavere. Tanto guadagna Caina (Luisa Amatucci), ma un pugno di banconote non pareggia, forse, il piacere che prova nel trovare e ammonticchiare i corpi dei migranti morti: razzista fino al midollo, ex killer della camorra, irriducibile anti-eroina ed incarnazione dei peggiori stereotipi, la donna si troverà a confrontarsi con Nahiri (Helmi Dridi), tunisino e clandestino, in rotta col clan rivale di trova-cadaveri abusivi. E si confronterà, tra l'altro, con la propria anima nera.
Questo mondo, brutto e fiero d'esserlo, prende forma nel film Caina di Stefano Amatucci (nelle sale dal 28 maggio 2018). Ci siamo intrattenuti col regista in una lunga chiacchierata. Non solo cinematografica.

ANTONIO MAIORINO: Caina andrebbe sottoposto ad un esperto di "narratologia": è una storia che nasce da un racconto, ma poi diventa un romanzo, approda al teatro, passa al cinema... Ci racconti questi cambiamenti di pelle?

STEFANO AMATUCCI: Caina nasce perché Davide Morganti aveva scritto un piccolo monologo, la storia di un trovacadaveri, e me lo fece leggere. Contemporaneamente usciva il suo romanzo per Fandango, Caina. Lo lessi quando era ancora una bozza. Frattanto mi trovavo in Sicilia a girare un fiction, e cominciavo ad avere i primi contatti con la realtà dell’immigrazione. Ho conosciuto tante persone che vivevano nei centri. Mi raccontavano che dormivano e mangiavano a terra. Poi ben raccontati anche da molti reportage video. Mi chiedevo perché vivessero in quelle condizioni vista l’esistenza dei finanziamenti europei per dare ospitalità dignitosa a chi scappa da guerre, dittature o miserie. Parlai con Davide della mia volontà di girare un film su questo tema, decidemmo di calare la protagonista femminile del suo romanzo in un’altra realtà, trasformandola in una trovacadaveri. Da questa idea abbiamo sviluppato il soggetto ed la sceneggiatura, ma non si trovava un produttore. Solo dopo, dunque, dalla riduzione della sceneggiatura, Caina divenne un pezzo teatrale, ed ebbi poi l’occasione di poterlo rappresentare, grazie a Giulio Baffi, allora direttore di “Benevento città Spettacolo” a cui l’idea piacque molto. Questo è stato l’excursus.

Aggiungiamo qualche data: la prima idea è del 2009, la prima stesura del 2010. E prima di giungere nelle sale cinematografiche a giugno 2018, il film Caina aveva conosciuto una circuitazione nell’ambito dei festival. Il fatto che in tanti lo vedano ora che il tema si è fatto più scottante, come ha influenzato, secondo te, il recepimento dell’opera?

Le reazioni davanti al film sono di grande turbamento. È giusto che sia così. Altrimenti che senso avrebbe avuto realizzarlo? Io sono il primo ad esserne stato turbato e ad essere sempre più indignato di come l’immigrazione è gestita in Italia e in Europa. Oggi sì, è un tema scottante, oggi tutti hanno chiara l’esistenza della "questione immigrazione". Vale per l’Italia come per l’Europa tutta. Prima, quando abbiamo scritto il film e girato, non se ne parlava tanto. Oggi il razzismo è venuto allo scoperto. Oggi il razzista si sente fico a dire “sono razzista”. Oggi non c’è neppure il buongusto di tacere, oggi si sentono forti di poterlo anche urlare. Il razzismo c’è sempre stato ma era nascosto “sotto il tappeto”. Con l’attacco alle Torri Gemelle e l’islamofobia, i partiti di destra ed estrema destra hanno scoperchiato il vaso di Pandora dell’intolleranza cavalcandone l’onda. Con Caina è successa una cosa paradossale: col passare del tempo la realtà ha quasi superato la fantasia. Oggi razzismo e xenofobia si mostrano con fierezza: ma perché? Proprio perché ci sono stati e ci sono esponenti politici, oggi al governo, che hanno dato voce, sfogo, e alimentato le paure e gli istinti più bassi di tantissima gente ignorante e senza umanità. È caduto il muro dell’autocontrollo ed abbiamo buttato al cesso (sic) gli insegnamenti dell’Illuminismo, la nostra storia. Si alzano muri, si chiudono porti, si lascia la gente in mare, si spara ai bambini rom. A tal proposito ho ascoltato un’intervista di un tale che davanti alla telecamera, come se stesse parlando di calcio, diceva cose del tipo: “Ma voi sapete questi che fanno? Quelli danno fastidio. Quelli rubano. Embè? Io lo capisco chi ha sparato. E poi non era un proiettile, era una pistola a piombini”. Ci rendiamo conto? Siamo ad un livello di barbarie non dico senza ritorno, ma con un ritorno che se ci sarà, sarà molto faticoso. [MORE]

E l’ha fatto senza avere il taglio naturalistico o documentaristico di altri prodotti più o meno recenti sul tema, come Terraferma e Fuocoammare.

Certo: la nostra è una favola nera. Abbiamo tentato, per preservare la sceneggiatura da ogni deriva populistica, di spingere il risaputo sulle sponde della metafora immergendo la storia in una realtà distopica, surreale e allucinata.

Tornando a parlare del linguaggio espressivo, molti hanno osservato che in Caina c’è una forte impronta teatrale nei dialoghi. Il linguaggio di Caina, appunto, nonostante i medesimi contenuti della vox populi più becera, ha una forma diversa, un registro più alto.

Esatto. Quello che Caina dice è quello che si legge tutti i giorni su Facebook, Instagram, Twitter. Infatti la protagonista parla, a chi le sta di fronte, sempre in maniera apodittica, sentenziosa, mai per dialogare, ma solo per affermare e riaffermare la supremazia di un pensiero fondato sull’affermazione netta della rabbia e non sul contraddittorio. Caina è una specie di sacerdotessa della morte, che diffonde la sua omelia in mezzo a cadaveri, fantasmi che talvolta le rispondono. Pensa inizialmente volevo fare i dialoghi tutti in versi. Ripeto, il naturalismo non c’entra niente con questo film. Mi interessava trattare l’argomento in questi termini.

Per il ruolo di Caina hai fortemente voluto Luisa Amatucci, tua sorella. Le hai chiesto di lavorare sul suo personaggio con nettezza, con forti contrasti chiaroscurali, senza mezze misure, oppure di aggiungere sfumature, ripensamenti, tormenti?

Il personaggio l’abbiamo scritto pensando a Luisa perché conosco le sue capacità e potenzialità di attrice. È stata bravissima e questo tutta la critica l’ha riconosciuto, anche all’estero, “una Anna magnani demoniaca” bello no? E sono felice per lei. Io le avevo detto che avremmo dovuto fare una scelta ben precisa: bianco o nero, senza mezzi termini, il personaggio non ha redenzione.

Caina crede fortemente in quello che pensa e quello che dice, non cambia rotta, reprime anche i suoi sentimenti, credendoli innaturali. I razzisti stronzi sono e stronzi restano. Ma nel cuore di ogni persona, anche del più crudele degli uomini, c’è sempre un cassetto aperto: lì dovevamo trovare la sua fragilità. E lei la ritrova non tanto nell’attrazione che ha verso Nahiri, che è un giramento di testa; quello che, piuttosto, scalfisce appena il suo muro di odio e d’intolleranza, è il ritrovarsi di fronte ad una morta, una donna come lei, che le parla di maternità. Ripeto, Caina non ha redenzione, non c’è la catarsi, classica in un film, dove i protagonisti si trasformano dopo certe esperienze. Abbiamo fatto una scelta pericolosa, di non cedere a finali buonisti e ne sono sempre più convinto. Trovo insopportabili i finali dove “ e tutti vissero felici e contenti.” La vita non è così. Magari lo fosse.

Nella definizione del personaggio di Caina, la sua voce narrante, fuori campo, assume un ruolo decisivo. Ci avevi pensato dall’inizio? Ed in che modo? Immaginandola come un flusso di coscienza, un coro di tragedia ma individualizzato…?

Esatto, hai detto bene: un coro di tragedia. L’idea la dava la storia: lei è murata viva e racconta la sua storia, attraverso un muro. È un escamotage narrativo. Si quasi da coro greco, solo che il coro in una tragedia è il commento alla vicenda, alla narrazione, mentre Caina racconta direttamente, in prima persona la sua storia, la storia del film .

Se Caina è il male senza redenzione, la signora Ziviello interpretata da Isa Danieli è il male “banale”, per dirlo alla Hannah Arendt: una burocrate, per la quale la criminalità è un affare, una routine. Allargando lo zoom al resto del cast, c’è qualche personaggio che sembra potersi sottrarre a questa dimensione criminale ed invertire la rotta del male?

Il personaggio di Isa Danieli è l’altra faccia di Caina: Caina è razzista, la signora Ziviello è commerciante. Non si pone nemmeno il problema della razza, vuole solo far soldi. La signora Ziviello è un Eichmann al femminile, ma ancora più mediocre, un donna che rende, attraverso la burocrazia, ordinario anche l'orrore, l'incredibile, la disperazione di chi muore. Tutti i personaggi, con percorsi diversi, confluiscono in una dimensione negativa. È una guerra tra poveri. Cosa può alzare il vento in un deserto se non la sabbia?

Nessuna redenzione: e per l’amore c’è spazio? Gli amplessi sono desiderati, e quando ci sono sembrano ridotti alla pura animalità, senza sentimento. C’è una scena molto forte che vede protagonista Gabriele Saurio con una prostituta di colore.

Sì. Esatto… (esita)… diciamo che è un mondo, quello del film, ( e forse anche il nostro) che dell’amore s’è fatto beffa, l’ha eliminato. C’è solo la lotta per la sopravvivenza, sono animali che devono sopravvivere nella giungla della brutalità umana. L’amore fa capolino ogni tanto perché ha un potenza tale nell’universo e non può non presentarsi: si affaccia in Caina, nella puttana, in Nahiri, in Taurul ma in modalità e declinazioni diverse. Questo è interessante come argomento ma non è al centro del film. Ma forse del prossimo film. Amo tantissimo quella scena che citavi: la puttana dice di star male, ma lui non le concede la minima attenzione e senza risponderle la abbandona nel vuoto che la circonda e che le sta divorando anche l’anima.

Questo universo dark è tale anche nell’aspetto de-saturato della fotografia, peraltro premiata all’Ischia Film Festival.

La fotografia è concertata, è chiaro: avevo un’idea ben precisa del film in cui l’immagine è fondamentale. Con un altro colore sarebbe stato un altro film. Il colore è decisivo in un film. Almeno per me lo è. Ne ho parlato sia con Roberta Allegrini che con Rocco Marra. Simona Infante, poi, la straordinaria colorist, ha fatto un lavoro straordinario nell’amalgamare il tutto. 

E nell’amalgama, a livello di scrittura, il tuo rapporto con Davide Morganti è stato decisivo, così come l'apporto di tutta la squadra.

Per me è stato importantissimo l’incontro con Davide, col quale abbiamo una sintonia forte: ci piacciono le stesse storie e questo è fondamentale. Amiamo la stessa letteratura, oddio, non proprio tutta tutta, ma quasi. Ci accomuna la voglia di andare a parare su lidi non conformisti, covenzionali. Sicuramente siamo diversi caratterialmente e anche su alcuni aspetti ideologici, e questa è un’altra cosa che mi piace assai. Il contraddittorio è sempre una grande risorsa. Le diversità sono un bene e un valore ineguagliabili. Davide è stato di fondamentale importanza. D’altronde il personaggio della “trovacadaveri” è una sua invenzione, che poi insieme abbiamo sviluppato. Si parla sempre poco degli autori in Italia e non capisco perché: sembra che i film li facciano solo i registi. Un film lo fanno tutti quelli che ci partecipano. Non c’è solo la creatività, ma c’è tanto lavoro tecnico dietro la preparazione e le riprese e la post produzione di un film. E infatti approfitto per ringraziare Terasa Acone (costumi), Massimiliano Forlenza (scenografia), Vito Ranucci (musiche), Carlo Traini (organizzatore), Michele Fierro (aiuto-regista), e qui voglio aprire una parentesi fondamentale. Michele in questo film è stato di vitale e preziosissima importanza, fondamentale appunto, per me. Michele è stato una forza della natura nel sostenermi e nel lottare affinchè il film si realizzasse. Non mi ha mollato mai, mi ha seguito in prima persona in tutta la scrittura, nella ricerca di finanziamenti, e ovviamete nella preparazione ma anche nella postproduzione e gli effetti speciali curando il film come fosse una sua creatura, e in parte lo è. Ha una creatività e una sensibilità artistica che gli invidio. Non dimenticherò mai quando una notte mi chiamò per mostrami il trailer del film che aveva realizzato. Meraviglioso! Un’emozione che ancora mi scorre sulla pelle. Poi Antonella Agresta e Pina Iervolino (segretarie di edizione). E ovviamente Salvatore Suarato e Filomena Palomba (Movieland) senza i quali il film non si sarebbe potuto realizzare, nonché Alberto Bader, senza il quale il film, chissà, forse starebbe ancora in un cassetto. Ancora, voglio ringraziare di nuovo Gabriele Saurio, ma mi piace farlo pubblicamente: è stato uno straordinario Taurul, ha voluto questo film quanto me ed è stato proprio lui a presentarmi Movieland. Un ringraziamento speciale va infine alla distribuzione Moovioole, che ha permesso l'uscita del film e che lo porterà nelle sale ancora per molto.

Hai girato Caina sulla spinta di una forte urgenza creativa. C’è qualche altra sfida che ti intriga al momento?

Prima ho accennato al tema dell’amore nelle sue varie declinazioni, ecco questo è un progetto che mi sta particolarmente a cuore. L’ho scritto con Gianni Molino, il titolo è “Malammore”. Avrai intuito che raccontare la felicità mi annoia. Un altro progetto che sto accarezzando è una commedia, genere che amo molto. Vedremo chi delle due fiorirà per primo.

DATA USCITA: 28 maggio 2018
GENERE: drammatico
PRODUZIONE: Movieland, 2017
REGIA: Stefano Amatucci
SCENEGGIATURA: Davide Morganti, Stefano Amatucci
CAST: Luisa Amatucci, Helmi Dridi, Isa Danieli, Gabriele Saurio, Mario Porfito, Christopher Schule, Nadia Kibout, Kelly Palacios
PAESE: Italia
DURATA: 89 min
DISTRIBUZIONE: moovioole

 

Antonio Maiorino


Autore
https://www.infooggi.it - Il Diritto Di Sapere

Entra nel nostro Canale Telegram!

Ricevi tutte le notizie in tempo reale direttamente sul tuo smartphone!

Esplora la categoria
InfoOggi Cinema.