La bambina che abbaia, le detenute che  vivono di gelosia carceraria. Ecco la Puglia
Editoriale Puglia

La bambina che abbaia, le detenute che vivono di gelosia carceraria. Ecco la Puglia

mercoledì 13 luglio, 2011

Puglia, "SPECIALE ESTATE" - L’aveva già fatto Caparezza, quando, scrivendo “Vieni a ballare in Puglia”, aveva parlato del peggio del territorio pugliese. Dicendo una verità tra le verità. Oggi, ne diciamo delle altre, perché l’informazione passa dai nervi e non ti prende per la gola.

Solo ieri abbiamo appreso che nel barese una bambina di 10 anni viveva nella cuccia di un cane, dividendosi il cibo, gli spazi e apprendendo il modo di comunicare del cane, suo unico amico. Il padre, un disabile morto qualche mese fa. La mamma, una donna spedìta al Centro di Igiene mentale. Tutto il resto, abbandono. Maltrattamenti.[MORE] Antonio Laudati, Procuratore Capo di Bari, ha ammesso di non avercela fatta dando lettura agli atti. Commozione e pianto. Non si può capire, dice, come sia possibile che ad una bambina venga lasciata la libertà di appropriarsi solo del linguaggio del cane con cui vive, ma di parlare l’italiano, neanche una possibilità. Eppure è successo. Ci sembra che ci siano così pochi figli in Italia (è un Paese di vecchi, l’Italia) e che, quei pochi, neanche li sappiamo allattare dal seno materno: non necessariamente dev’essere quello della madre biologica. Lì dove manca la mater, allora tocca alla società, e se la società con i suoi servizi sociali non fa niente, allora la conclusione è che siamo degli umani egoisti ed inconsapevoli.

Perché, tanto, credere che tutti noi avremmo potuto essere quella bambina, è solo una fugace ipotesi, inattendibile, e quindi andiamo avanti.

Poi giri le pagine di un quotidiano, o vai al Festival del Cinema e della Letteratura nei Castelli perché è estate e vuoi coniugare serata al fresco e cultura ed ecco che ti arriva un altro ceffone. Mica sapevo che ci fosse una donna, ex dirigente di banca, dal nome LUCIANA DELLE DONNE, che ora si dedica alla realtà delle carceri e con le detenute di Lecce e Trani ci ha a che fare, per incoraggiarle, nonostante siano la parte marcia della società, perché se sono dietro le sbarre sicuramente non è per buona condotta.

 

Ma il reato le ha costrette ad una celletta “di 2 passi x 1”, con 20 ore di soffocamento e qualche uscita per prendere una boccata d’aria, per poi ritornare a far niente dentro una scatola di ferro e cemento. Non ci vuole spropositata saggezza per capire che è un inferno, cioè la giusta paga con interesse contro il reato commesso nei confronti della società. Luciana Delle Donne le ha messe a far qualcosa, delle borse, cucite per bene, a filo dritto “per rimettere in riga la propria vita”.


Ora hanno pure un marchio, dal nome “Made in Carcere”. Almeno fanno qualcosa.

Hanno alterazioni emotive di percezione: un saluto con un sorriso fatto ad una detenuta, mette in depressione provvisoria un’altra. E poi c’è la consapevolezza di essere donne, ma donne sbagliate. Pure una donna malvagia in sé serba un senso di maternità verso il mondo quindi immaginate cosa possa significare vivere questo abisso.

Nel frattempo, mentre cioè le detenute cuciono le borse, altre famiglie stanno aspettando di essere sfrattate , perché con l’impoverimento in situazione di crisi, non risulta sostenibile il canone di locazione. Politiche abitative ve ne sono, ma ridicole, visto che il Ministero delle Infrastrutture ha pensato di dare una somma di 100 milioni di euro per interventi di recupero per i paesini vicino ai capoluoghi di provincia ma non alle Province stesse che invece son quelle a più alto rischio di degrado periferico e sociale. Roba da uscirne matti.

Io consiglierei a questo punto, visto che il mare Pugliese ha turisticamente i suoi larghi onori per bellezza, di risolvere tutto facendosi un tuffo a mare. Malgrado tutto, ci saremmo lasciati alle spalle questi brutti pensieri. Lu sole e lu mare ci ristoreranno, alla faccia di chi sta in carcere a fare il topo. Perché noi, al contrario loro, siamo persone per bene. O peggiori. Ma nessuno lo sa.

Anna Ingravallo


Un ringraziamento a Giancarlo Visitilli e Annamaria Minunno oltre che Il CULTURECLUBCAFè di Mola, per aver realizzato uno dei Festival migliori del cinema per l’estate e che ha dato spunto all’articolo di opinione, dopo la visione del film “BOY A” sul sistema processuale inglese e il recupero dei condannati.

 

In foto, la responsabile della Cooperativa Sociale "OFFICINA CREATIVA" , Luciana Delle Donne
 


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