Divieto assoluto di scambio di oggetti tra detenuti in 41-bis: è incostituzionale
L'Avvocato INFOrma Calabria Crotone

Divieto assoluto di scambio di oggetti tra detenuti in 41-bis: è incostituzionale

lunedì 25 maggio, 2020

CROTONE, 25 MAGGIO – E’ incostituzionale il divieto legislativo di scambiare oggetti tra detenuti sottoposti al regime dell’art. 41-bis ord. pen. appartenenti al medesimo gruppo di socialità.  Questo è ciò che ha stabilito la Corte Costituzionale, sentenza n. 97/2020 depositata il 22 maggio.

Il caso. La Corte di Cassazione, sezione prima penale, con due ordinanze di analogo tenore, adottate in pari data e nella medesima composizione aveva sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera f), della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), “nella parte in cui prevede che siano adottate tutte le necessarie misure di sicurezza volte a garantire che sia assicurata la assoluta impossibilità di scambiare oggetti per i detenuti in regime differenziato appartenenti al medesimo gruppo di socialità”.

Il Collegio rimettente riferiva che la vicenda sottoposta al vaglio di legittimità nasceva dal reclamo al Magistrato di sorveglianza proposto da un detenuto sottoposto al regime differenziato ex art. 41-bis ordin. penit., avverso l’ordine di servizio con il quale la direzione dell’istituto penitenziario aveva comunicato il divieto di scambiare oggetti di qualunque genere, quand’anche realizzato tra detenuti appartenenti al medesimo gruppo di socialità, a seguito delle innovazioni apportate al citato regime differenziato dalla legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica).

Secondo il reclamante, lo scambio di oggetti, e in particolare di generi alimentari “provenienti dai consueti canali (pacco famiglia, acquisti effettuati attraverso il circuito interno dell’istituto penitenziario in base al cd. mod. 72)”, non poteva mettere a rischio il perseguimento delle finalità cui era preordinato il regime carcerario previsto dall’art. 41-bis ordin. penit., considerato che i detenuti interessati allo scambio erano già stati ammessi “a fruire in comune la cd. socialità”. Inoltre, esponeva il rimettente che il Magistrato di sorveglianza aveva dichiarato inammissibile il reclamo presentato ai sensi dell’art. 35-bis ordin. penit., conformemente a quanto previsto dall’art. 4, comma l, della circolare del 2 ottobre 2017, n. 3676/6126, del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (d’ora innanzi: DAP), non potendosi riconoscere la sussistenza di alcun diritto soggettivo avente ad oggetto “il passaggio di generi alimentari ad altri ristretti”.

Tale provvedimento di inammissibilità era oggetto di reclamo, accolto, dinnanzi al Tribunale di sorveglianza competente. Secondo il Collegio, il divieto di scambio tra soggetti del medesimo gruppo di socialità non poteva essere giustificabile in forza di “ragioni di sicurezza”, non potendosi rilevare “alcuna congruità tra lo stesso e il fine perseguito dal regime differenziato, costituito dalla necessità di recidere i collegamenti tra il detenuto e l’associazione criminale di appartenenza”. Inoltre, poiché i detenuti appartenenti al medesimo gruppo di socialità possono incontrarsi liberamente, sarebbe dovuto escludersi che, attraverso il divieto di scambio di oggetti di modico valore (e di generi alimentari), potesse essere “neutralizzato il pericolo per l’ordine e la sicurezza costituito dal passaggio di comunicazioni non consentite, potendo le stesse essere trasmesse oralmente”.

Riferiva la Corte di Cassazione rimettente che, sulla base di tali premesse, il Tribunale di sorveglianza aveva disposto la disapplicazione dell’art. 4, comma l, della circolare del DAP del 2 ottobre 2017 e dell’ordine di servizio della direzione della casa di reclusione, oggetto dell’originaria impugnazione. Ricordava inoltre la Corte come fosse stato ordinato alla stessa direzione di emettere un diverso ordine di servizio, volto a consentire il passaggio di oggetti e di generi alimentari tra i detenuti facenti parte del medesimo gruppo di socialità cui il reclamante era assegnato.

Avverso questa ordinanza il Ministero della Giustizia proponeva ricorso per cassazione sostenendo che l’interpretazione fornita dal Tribunale di sorveglianza sarebbe stata “contraria all’inequivoco tenore letterale” della disposizione censurata. Quest’ultima, “secondo quanto confermato dalla giurisprudenza di legittimità”, non avrebbe consentito di superare il divieto di scambio di oggetti anche tra detenuti appartenenti al medesimo gruppo di socialità: secondo il ricorrente, la formulazione letterale della disposizione, “chiarissima nello statuire che solo il divieto di comunicazione ammette deroga all’interno del medesimo gruppo di socialità”, si sarebbe giustificata con la considerazione che lo scambio di oggetti non sarebbe “così essenziale alla socializzazione come il comunicare”, risultando quindi ragionevole il divieto di procedervi nell’ambito del “bilanciamento tra l’interesse alla socializzazione del detenuto e l’interesse (fondante il regime del 41-bis) ad arginare flussi informativi tra detenuti in regime speciale”.

Si sollevavano questioni di legittimità costituzionale. La Corte Costituzionale affermava che era risaputo che i gruppi di socialità, formati da un massimo di quattro detenuti, avevano la finalità di conciliare due esigenze potenzialmente contrapposte, ossia quella di evitare che i detenuti più pericolosi potessero mantenere i collegamenti con i membri dell’organizzazione criminale cui appartenevano e quella di garantire agli stessi occasioni minimali di socialità. A tal proposito, la Consulta aveva rilevato che se il divieto di comunicare e scambiare oggetti tra detenuti assegnati a gruppi di socialità diversi era comprensibile, era tuttavia irragionevole estendere indiscriminatamente il divieto anche ai componenti del medesimo gruppo. Infatti, aggiunge la Corte, i detenuti appartenenti allo stesso gruppo di socialità, potendo già agevolmente comunicare in svariate occasioni, non avevano necessità di ricorrere a forme nascoste o criptiche di comunicazione, come ad esempio lo scambio di oggetti.

Pertanto, non accrescendo alcuna esigenza di sicurezza pubblica e impedendo quella minima modalità di socializzazione prevista, secondo la Corte Costituzionale, tale divieto diveniva irragionevole e inutilmente afflittivo, oltre che in contrasto con gli artt. 3 e 27, comma 3, Cost..

Avv. Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express

 


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