Don Claudio Campa: “la malattia non chiede permesso, entra nella tua vita e pretende”
Chiesa e Società Lazio Roma

Don Claudio Campa: “la malattia non chiede permesso, entra nella tua vita e pretende”

mercoledì 4 marzo, 2020

Questa settimana per MIRACOLI ad aprile il suo cuore ai nostri lettori è Don Claudio Campa della Diocesi di Torino. Nel 1987 viene ordinato sacerdote. « Ricordo con molta emozione quel giorno, testimonia don Claudio. Ho vissuto quel momento con molta intensità, così come ricordo le prime Messe del giorno dopo, prima in carcere e poi al Cottolengo: luoghi particolarmente significativi per me ». Dopo ventun’anni dalla sua ordinazione don Claudio viene colpito dalla malattia: « Ero in processione per il Corpus Domini – racconta – quando improvvisamente mi sono ritrovato per terra, senza aver inciampato o perché fosse buio. All’improvviso le gambe non mi hanno retto più. Sono stato subito soccorso dai miei parrocchiani e un medico presente alla processione mi ha suggerito di fare un’accurata serie di esami e una risonanza perché quanto accaduto, senza un motivo preciso, era un campanello di allarme di qualcosa di grave ». Sclerosi multipla. La notizia sconvolge e impaurisce il sacerdote in un primo momento, sentimenti che pian piano si sono tramutati in speranza. «Speranza data dalla convinzione profonda che la mia fragilità, la mia debolezza potevano trasformarsi in un’occasione di dialogo, di relazione con gli altri. Mi sono accorto che la lentezza con cui ero costretto a muovermi mi aveva fatto capire meglio quali fossero i ritmi migliori per poter comprendere i significati più profondi della nostra vita. La malattia non chiede permesso, giunge inaspettata. Entra all’improvviso, si insedia, conquista i nostri spazi e pretende ». Ciò che non ha mai abbandonato don Claudio è la certezza di avere il Signore come compagno di viaggio, in ogni momento.

Questo percorso assieme al Signore lo porta a intraprendere una grande sfida: un viaggio in bicicletta di 738 chilometri, con destinazione Santiago di Compostela. « Ho affrontato questo pellegrinaggio in un momento di tristezza e di difficoltà, ma mi sono detto che questo cammino verso Santiago sarebbe stato un itinerario di conversione. Una conversione che non sarebbe dipesa dallo sforzo di pedalare per ore e ore, ma dalla fiducia che avevo riposto nel Signore. La sfida è stata vinta – sottolinea – perché questa esperienza ha cambiato in me qualcosa. A Finisterre (l'estremità più occidentale dell'Europa, NdR) vi è un monumento che raffigura uno scarpone appoggiato su una roccia: davanti a quel monumento ho capito che la vera sfida non era guarire dalla malattia degenerativa che mi aveva colpito ma darle un senso, un significato ». Dal 2012 don Claudio è costretto a muoversi in carrozzina e questo ha portato il parroco e la comunità a dover affrontare nuove sfide: all’interno della parrocchia sono state apportate alcune modifiche per favorire i suoi spostamenti e la carrozzina stessa è un mezzo un po’ speciale, costruito in modo che si possa elevare all’altezza dei fedeli quando celebra la Messa. « Mi piace pensare che quando mi avvicino ai ragazzi per la comunione la mia carrozzina elevata sia sorretta dalle mani di Dio. Mani che ti avvolgono, ti sostengono, ti custodiscono e, perché no, ti accarezzano. Sento queste mani del Signore come il mio rifugio, la mia forza, la mia sicurezza, la mia casa ».

Le nostre storie personali possono diventare spazio in cui riconosciamo il dono gratuito dell’amore di Dio. La fragilità ci fa comprendere la grandezza del Suo amore, che ha scelto di legarsi a gente debole come noi. E a noi deboli ha affidato un grande dono, un atteggiamento inverso rispetto all’uomo che cerca alleanze con chi è forte e potente. «Nella vita la debolezza e la fragilità – osserva don Claudio – sono dimensioni decisive, anche se tentiamo di sfuggirle. La vera forza sta infatti nel considerare la propria debolezza e nel tener vivo il senso di umiltà ». Diceva san Paolo: « Ti basta la mia grazia. La mia forza si manifesta pienamente nella tua debolezza ». « Per capire il rapporto tra fede e disabilità – riflette don Claudio – dobbiamo mettere a fuoco l’atteggiamento di Gesù con i disabili del Vangelo. Lui partecipa a realtà in cui certe persone si trovano, con tratto garbato, adatto a loro. La sua cura si manifesta attraverso il dare loro la parola, nel domandare il loro desiderio, che cosa vogliono.  Così inizia il dialogo con il cieco Bartimeo: “Che cosa vuoi che io faccia per te?”. Gesù ascolta la sofferenza, il desiderio, la volontà. Nell’incontro con i malati fa appello alle nostre risorse interiori. La cura, la vicinanza, la presenza: tutto questo è straordinario. Ecco l’atteggiamento che ciascuno deve trasformare in un aspetto del suo stile di vita. Ciò infonde serenità in chi vive una situazione di fragilità ».

Per questo molto è stato fatto per accogliere nella sua parrocchia le persone con disabilità, ma molto resta ancora da fare. Per esempio, racconta don Claudio, « è stata creata una “Commissione disabilità” dell’Unità Pastorale con l’obiettivo principale di favorire il dialogo con il mondo dei diversamente abili per offrire opportunità di inclusione, di cammino di fede e di vita di gruppo, ma anche per realizzare progetti concreti per l’abbattimento delle barriere architettoniche e favorire la mobilità ai portatori di handicap. Sono stati poi creati i sabati aggregativi: pomeriggi, ma anche serate, di accoglienza, ascolto e giochi per le famiglie e i loro ragazzi.

« Nella mia esperienza di persona disabile e nell’incontro con altri disabili – testimonia don Claudio – io non penso mai che la disabilità sia sinonimo di persone tristi, depresse, vuote, ma di persone coraggiose, desiderose di esperienze. Questa visione mi anima anche nelle relazioni gli con altri e perfino nel confessionale, all’interno di una responsabilità riconosciuta. Non ho mai pensato di mettere queste persone nella nicchia del pietismo, ma ho sempre cercato di sollecitarle a sperimentarsi, ad accettare la malattia senza vergogna e ad affrontare la vita con gioia e serenità ».

 Ciascuno di noi è così, abbiamo tutti bisogno dell’altro. « Ho avuto la possibilità di incontrare alcuni ragazzi disabili sulle piste da sci del Sestriere. Scendevano sulla neve, in tandem ski, lasciandosi guidare da una voce e si sfidavano vivendo lo sport in totale integrazione. È stata una bella esperienza – riconosce don Claudio – vedere questi ragazzi sorridere e godersi la sciata. Esperienza positiva più difficile da riscontrare in altri ambiti. Nella scuola le ATS, i Comuni e il volontariato pongono infatti attenzione ai problemi delle famiglie, con assistenza e sussidi e con insegnanti di sostegno, ma oltre la casa e la scuola non si hanno luoghi di incontro. Nonostante il turismo accessibile per i disabili si stia diffondendo è complesso fare esperienze di viaggio e di vacanza in libertà, sia per la scelta del luogo, ma anche per la difficoltà a unirsi a un gruppo di persone senza un accompagnatore personale. Oggi sempre più si sente parlare di integrazione e inclusione delle persone disabili, ma questo processo per essere veramente attuato necessiterebbe di un cambiamento dell’atteggiamento culturale; occorrono percorsi di sensibilizzazione e di vera integrazione perché l’intera comunità acquisisca la consapevolezza del vissuto dell’altro, in modo particolare quando la disabilità comporta anche disagio, isolamento, emarginazione non solo per il singolo, ma anche per i suoi familiari, che spesso si trovano soli a sostenere la quotidianità del disabile ».

Don Francesco Cristofaro


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