Gimigliano, Sorbo San Basile e Fossato Serralta: danno erariale da 259 milioni per la diga mai costruita sul fiume Melito


Diga fantasma sul Melito: spreco da 259 milioni e disastro ambientale in Calabria
La Corte dei conti cita in giudizio i dirigenti del Consorzio di bonifica ionio-catanzarese: danno erariale, impatto ambientale e risorse perse per un’opera strategica mai realizzata
Catanzaro – Un progetto atteso, annunciato, finanziato. Ma mai realizzato. E ora la diga sul fiume Melito, nel cuore della Calabria, diventa simbolo di un fallimento amministrativo che pesa come un macigno: 259 milioni di euro persi e un danno ambientale che potrebbe essere irreversibile.
La Procura regionale della Corte dei conti di Catanzaro ha avviato un’azione di responsabilità nei confronti del Consorzio di bonifica ionio-catanzarese (ex Consorzio Alli - Punta di Copanello), citando in giudizio due ex dirigenti: Pietro Filippa, responsabile unico del procedimento dal 2003 al 2015, e Flavio Alfredo Talarico, direttore generale fino al 2014.
Un’opera mai nata, un danno già concreto
La diga sarebbe dovuta sorgere tra i comuni di Gimigliano, Sorbo San Basile e Fossato Serralta, nel catanzarese. Un’infrastruttura strategica per risolvere la cronica emergenza idrica che affligge da decenni mezzo milione di calabresi e centinaia di aziende agricole. Non solo: l’invaso avrebbe dovuto alimentare 50 comuni con energia idroelettrica, garantendo una svolta sostenibile al territorio.
Ma la realtà è stata ben diversa. I finanziamenti pubblici, partiti dalla Cassa per il Mezzogiorno e poi passati attraverso i ministeri dell’Ambiente e delle Infrastrutture, sono stati revocati. Dei 259 milioni inizialmente stanziati, 102,6 milioni sono stati spesi senza alcun beneficio per la collettività. Peggio ancora: i manufatti in cemento armato già realizzati – destinati a restare incompiuti – hanno deturpato zone di pregio ambientale, lasciando un’impronta di degrado e inutilità.
Le criticità emerse già all'inizio dei lavori
Già al momento della consegna dei lavori, gli organi tecnici del Servizio Italiano Dighe avevano espresso forti perplessità: il progetto era carente, pericoloso, bisognoso di importanti integrazioni per evitare rischi per le popolazioni a valle.
L’intervento di modifica fu affidato allo stesso progettista del progetto iniziale, poi deceduto, ma nessuna integrazione fu ritenuta sufficiente per garantire la sicurezza dell’opera. Nel frattempo, i costi lievitavano, alimentati da una serie di contenziosi legali con l’impresa esecutrice.
Le indagini della Guardia di Finanza
Le indagini della Guardia di finanza di Catanzaro, coordinate dal procuratore regionale Romeo Ermenegildo Palma e dal sostituto Fernando Gallone, hanno ricostruito in dettaglio gli errori progettuali, i ritardi, l’assenza di autorizzazioni e le spese sostenute senza risultati. Il quadro emerso è quello di una gestione fallimentare e potenzialmente lesiva non solo per le casse pubbliche, ma per il territorio e per le comunità locali.
Il peso del non fatto
Quella diga oggi pesa anche per ciò che non è stato fatto: nessun miglioramento nella gestione dell’acqua, nessuna produzione energetica, nessuna risposta concreta ai territori colpiti dalla siccità. La sensazione – tra i cittadini, gli agricoltori, gli amministratori locali – è quella di un’occasione irrimediabilmente persa, sacrificata sull’altare della cattiva amministrazione.
Il processo si aprirà nei prossimi mesi, ma il giudizio dell’opinione pubblica sembra già tracciato: un progetto nato per risolvere i problemi della Calabria è diventato un simbolo del loro perpetuarsi. (Ansa)