IKEA: Tribunale respinge ricorso lavoratrice madre su licenziamento discriminatorio
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IKEA: Tribunale respinge ricorso lavoratrice madre su licenziamento discriminatorio

martedì 3 aprile, 2018

MILANO, 3 APRILE – Il Tribunale di Milano, sezione Lavoro, ha respinto il ricorso d’urgenza che era stato presentato nel mese di dicembre dello scorso anno da Marica Ricutti, ex dipendente del colosso svedese dell’arredamento dal quale è stata licenziata. La donna, separata e con due figli, di cui uno disabile, ritiene quel recesso unilaterale discriminatorio ed ha chiesto pertanto il reintegro nella struttura aziendale ed il risarcimento dei danni subiti. [MORE]

La vicenda aveva avuto risonanza poiché nei giorni successivi al licenziamento era stato organizzato dai sindacati un grande presidio di lavoratori nel piazzale antistante alla sede IKEA di Corsico, del quale la Ricutti era dipendente, nella qualifica di coordinatrice del reparto “Food”. Alla manifestazione avevano partecipato circa 200 persone, molte delle quali amiche oltre che colleghe della donna, che era impiegata da 17 anni in quel negozio, nonché i lavoratori del punto IKEA di Sesto Fiorentino, i quali avevano a loro volta deciso di incrociare le braccia per alcune ore in segno di solidarietà. Alcune sigle avevano poi colto l’occasione per rivolgere forti critiche alla società svedese, accusata ad esempio da Mario Beretta (Filcams-CGIL) di “considerare i lavoratori come dei mobili da montare e smontare a piacimento” e di non essere un’azienda realmente inclusiva ed attenta al welfare.

La Ricutti avrebbe presentato una richiesta formale alla dirigenza per ottenere turni più flessibili che le consentissero di avere più tempo da dedicare al suo figlio disabile, richiesta alla quale l’azienda avrebbe anche risposto positivamente accordando alcune concessioni di orari. Tuttavia, il colosso dell’arredamento ha poi contestato alla donna due episodi in cui ella non avrebbe comunque rispettato gli orari di lavoro prestabiliti in base ai turni concordati e sarebbe pertanto arrivato il licenziamento. IKEA ha spiegato la decisione, ritenendola “difficile quanto necessaria, presa nel rispetto dei propri valori e alla luce dei fatti avvenuti, perché pur avendo fatto il possibile per andare incontro alle richieste della lavoratrice, sono stati ritenuti non accettabili comportamenti che hanno compromesso la relazione di fiducia alla base del rapporto di lavoro”.

Analizzati i termini del ricorso, il giudice del lavoro di Milano Silvia Ravazzoni ha effettivamente constatato che il licenziamento, motivato dal mancato rispetto dei turni di lavoro, non potrebbe essere definito discriminatorio e che anzi i comportamenti dell’ex dipendente dovrebbero essere considerati di gravità tale da ledere quel rapporto fiduciario che appunto lega datore di lavoro e lavoratore. Dalle testimonianze raccolte, infatti, sarebbe emerso che la società cercò di venire incontro a tutte le esigenze della dipendente, modificando anche la turnistica generale sulla base della sua situazione di impellenza nell’accudire suo figlio e delle emergenze legate alle terapie che quest’ultimo era obbligato a seguire, accompagnato da sua madre. IKEA avrebbe inoltre provato di aver regolarmente concesso negli anni di usufruire di permessi ex legge 104 per l’assistenza ai genitori anziani e successivamente, appunto, al figlio disabile; inoltre, il fatto stesso che la donna abbia ottenuto avanzamenti di carriera fino a diventare coordinatrice di un reparto, dimostrerebbe che l’azienda non abbia assunto alcun atteggiamento discriminatorio nei confronti della sua dipendente, consentendole anzi di effettuare un valido percorso professionale.

Secondo quanto rilevato dal Tribunale, dunque, la Ricutti si sarebbe “autodeterminata” gli orari di lavoro in almeno due occasioni, senza neppure avvertire il dirigente responsabile di riferimento; in un episodio, in particolare, avrebbe chiuso di propria iniziativa la cassa del reparto di ristorazione, deliberatamente ritenendo conclusa la propria giornata lavorativa. Per questi motivi, è stata ritenuta legittima la valutazione della “gravità” dei comportamenti della lavoratrice che avrebbero leso il rapporto di fiducia e che avrebbero consentito l’adozione del provvedimento disciplinare espulsivo, che non è stato pertanto reso nullo dal giudice dopo questa prima valutazione in fase d’urgenza.

Dure, naturalmente, sono state le reazioni dei dirigenti sindacali, che non hanno accettato di buon grado l’esito del procedimento ed il contenuto dell’ordinanza, che comunque non chiude il primo grado di giudizio. “La decisione appare ingiusta e non condivisibile – si legge in una nota diffusa dalla sezione CGIL di Milano – e per questo la lavoratrice, con il nostro sostegno, ha già dato mandato ai suoi legali di presentare ricorso, che nei prossimi giorni verrà depositato”. Secondo il sindacato, il Tribunale non avrebbe tenuto in sufficiente considerazione una serie di questioni sollevate dalla lavoratrice, che in realtà riguarderebbero tutti i lavoratori nella sua condizione e che per questo saranno esposte in una conferenza stampa che verrà prossimamente organizzata.

 

Francesco Gagliardi

 

Fonte immagine: ilgiornale.it


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