Intervento di Vittorio Sgarbi in occasione della mostra “Da Raffaello. Raffaellino del Colle”.
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Intervento di Vittorio Sgarbi in occasione della mostra “Da Raffaello. Raffaellino del Colle”.

sabato 18 maggio, 2019

URBINO 18 MAGGIO - Una cosa che preme molto al sindaco di Urbino è il rapporto con la città di Pesaro e di Fano. Su Fano possiamo riflettere, ma con Pesaro in questo caso il rapporto è straordinario, perché l’opera più bella, più grande, la più importante e probabilmente la più vicina a Raffaello fatta da Raffaellino del Colle è nella Villa Imperiale di Pesaro. Che è il monumento del Montefeltro più bello di qualunque altro. Urbino è ovviamente più bella di Pesaro. Però, se c’è una cosa che Pesaro ha in più di Urbino, è la Villa Imperiale. Per cui, dopo questo incontro, sarebbe buona cosa telefonare al Principe Castelbarco Albani per chiedere un’apertura nel fine settimana, perché chi verrà a vedere questa mostra a Urbino potrà andare a vedere il suo capolavoro nella Villa Imperiale, insieme agli affreschi di Dosso Dossi e degli altri maestri. È importante, perché chi va a Villa Imperiale ha un godimento e ha una pienezza che è difficile trovare in tutti gli altri monumenti di Pesaro e può aumentare la bellezza di una visita a Urbino. Se c’è una cosa che può competere con Urbino a Pesaro, è proprio Villa Imperiale.

Raffaellino del Colle mi è stato molto raccomandato da Monsignor Davide Tonti. Io ero già convinto della grandezza di Raffaellino del Colle, per cui non mi ha dovuto convincere. Era giusto fare questa mostra. Per celebrare i cinquecento anni dalla morte di Raffaello, nel 2020, dopo Roma il secondo polo è certamente Urbino, dove Raffaello è nato e c’è una sua presenza ideale. Quindi abbiamo concepito una mostra come quelle di nuova invenzione che furono dedicate a Pietro Bembo a Padova e ad Aldo Manuzio a Venezia. Nel nostro caso dedicata a un intellettuale, scrittore, amico di Raffaello, che muove musica, teatro, cinema, come se Urbino fosse la Biennale di Venezia, e che si chiama Baldassarre Castiglione.

Si è posto però il tema di che cosa fare in questo interludio che ci separa del 2020. Così è nata la mia proposta dell’esposizione di opere di Raffaellino del Colle. Possiamo dire che le vicende di Raffaellino si intrecciano strettamente, essendo i suoi lavori anche nelle stanze vaticane, con Raffaello. Ho pensato a questo titolo: “Da Raffaello. Raffaellino del Colle”, e alla fine siamo arrivati a questo punto. La mostra è necessaria per capire la personalità di questo artista. E si intreccia con l’intenzione, la volontà e l’impegno di Monsignor Tonti, il quale, per la parte che riguarda l’Arcidiocesi, ha dato la massima collaborazione. La Soprintendenza ha aderito pienamente al progetto, il Ministero lo ha accolto.

Fra la fine del 2018 e gli inizi del 2019 a Urbino, a Palazzo Ducale, c’è stata la bella mostra dedicata a Giovanni Santi, padre di Raffaello, che però ha avuto scarsa comunicazione e scarsa attenzione da parte del pubblico. Possiamo quindi dire che la mostra con cui si aprono le celebrazioni di Raffaello è questa. È la prima del 2019, durerà fino a ottobre, e finita questa si entra pienamente nell’anno raffaellesco. L’epicentro delle celebrazioni 2020 sarà portare in giro per l’Italia la “Calandria” del Bibbiena che fu messa in scena la prima volta nel 1513 a Urbino, e che è il monumento della cultura fra Raffaello e Baldassarre Castiglione, che diventa un racconto del mondo, della civiltà della Corte attraverso il teatro. Si potrebbe immaginare di aprire la mostra di Castiglione del 2020 in contemporanea con quella delle Scuderie del Quirinale, intorno ad aprile. La mostra che ha il maggiore valore concettuale è certamente quella di Urbino. Non la solita mostra, ma una impostazione molto complessa, con pittura, musica, letteratura, teatro. Tutto quello che si muove intorno a una specie di Biennale di Venezia che era Urbino ai tempi di Baldassarre Castiglione.

Nel 2019 invece credo che avremo un ruolo importante, e questa mostra non è molto difficile, perché mette insieme molti dipinti di Raffaellino del Colle che sono in gran parte bellissimi; però è inedita, perché dopo una monografia che è uscita, Raffaellino non lo ha mai visto nessuno, e pochi sanno quanto sia formidabile ed elegantissimo, alla Villa Imperiale di Pesaro, dove lavora poco dopo la morte di Raffaello.

Oltretutto, ho trovato due opere di Raffaello, che saranno in mostra, che vengono dalla Accademia di San Luca e che sono in stretto rapporto con Raffaellino: un angelo, un putto meraviglioso che sembra stringere i due artisti nel rapporto l’uno con l’altro, e una attribuzione di una piccola tavola. Due opere che saranno in esposizione a Urbino, rappresentando lo stimolo ideale, mentale, da cui Raffaellino deriva la sua carriera, che è addirittura precedente alla discendenza da Raffaello, perché c’è un pittore, assieme a Perugino, che è il maestro di Raffaello, che è parallelo a lui, che si chiama Giovanni di Pietro detto “Lo Spagna”, autore di bellissimi affreschi a Spoleto, di cui Raffaellino del Colle, che nasce solo dieci anni dopo Raffaello, è allievo. Raffaellino, non tanto più giovane di Raffaello, entra nella bottega dello “Spagna”, pittore importante, e da lì va a Roma e nella maturità piena di Raffaello, 1517-1518, entra nella bottega di Raffaello. Dopodiché, quando Raffaello muore, diventa il principale collaboratore del suo primo allievo, che è Giulio Romano, il quale è quello che prende un “satellite” di Roma raffaellesca e nel 1524 la porta a Mantova. Per cui la cosa più raffaellesca di Mantova è Palazzo Tè, dove Raffaellino del Colle si trova in convergenza con Giulio Romano, allievo più significativo di Raffaello. Siamo nel 1523-24, quando prima di partire per Mantova Giulio Romano finisce la Sala di Costantino. Quindi c’è la mano di Raffaellino del Colle.

Possiamo dire, per noi che siamo nelle Marche, che un altro “raffaellesco” importante è Lorenzo Lotto, il quale in quegli stessi anni entra, curiosa e forse mette mano a una parte dei ritratti, la Mensa di Bolsena, di Raffaello. Lotto è un nome che non si discute. Raffaellino del Colle è un Lotto più emarginato, che non ha avuto il Berenson che agli inizio del Novecento ha fatto rinascere Lotto.

Non c’è ancora un Berenson per Raffaellino del Colle. Spero di esserlo io. Questa bella mostra sarà dotata di un catalogo con tutte le opere di Raffaellino, anche quelle che non potremo trasportare a Urbino, integrando una monografia pur utile, uscita qualche anno fa, che è tutta in bianco e nero e quindi non c’è quella comunicazione che l’editoria d’arte generalmente garantisce.

Poi c’è un passaggio importante. Una delle città più belle e che ci lega al nome di Piero della Francesca, lungo il percorso che va verso Roma, è Sansepolcro. La tappa fondamentale dell’esperienza e della vita di Raffaellino del Colle è a Sansepolcro, dove ci sono alcune sue opere, come l’Annunciazione del 1528, che è finita a Città di Castello. Quindi si crea il rapporto fra Umbria e Marche. Poi ecco l’impegno intorno al 1529-30, alla Villa Imperiale di Pesaro, in rapporto con Girolamo Genga, e su commissione di Francesco Maria I e di Eleonora Gonzaga che sono i due personaggi ritratti anche da Raffaello. Successivamente lavora a Urbania, producendo un capolavoro meraviglioso che mi pare sia in un convento della chiesa delle suore. La decorazione della Madonna del Corpus Domini, un’opera di straordinaria bellezza, che abbiamo usato come immagine della mostra. Il dipinto mostra come nelle figura del San Michele ci sia una citazione quasi diretta di Raffaello. E invece nella pavimentazione e nel Sebastiano di destra c’è un riferimento a un altro grande raffaellesco che è Sebastiano del Piombo.

Il dipinto di Raffaello è databile agli inizi del ‘500, opera che io ho attribuito con qualche consenso a Raffaello, e poi c’è il putto reggi festone dell’Accademia di San Luca, che è come avere un pezzo degli affreschi della Cappella Sistina.

Poi si avanza, 1523, con un dipinto meraviglioso, iperraffaellesco, con l’architettura sul fondo che richiama proprio la Villa Imperiale e anche Palazzo Tè, ed è il motivo strettamente legato ai fondi architettonici di Giulio Romano. Quindi siamo proprio dentro il corpo di Raffaello. Giulio Romano è l’erede naturale di Raffaello.

Andando avanti, abbiamo una Pala di collezione privata, dove i putti sembrano in stretta connessione con il putto di Raffaello della Accademia di San Luca. Si passa poi, verso il 1529, quando ormai Raffaello se n’è andato, e qui comincia la parte manieristica, che forse era legata ai dispareri di Strinati e Zuccari, le irritanti polemiche del Comitato Nazionale. Arriviamo nel 1529 a Piobbico, e vedete questa Assunta molto ferma, ma che è in stretto rapporto con la Trasfigurazione di Raffaello che si trova ai Musei Vaticani, e in qualche modo con l’idea della Assunta di Tiziano, seppure in una posizione più statica. La parte sopra e la parte sotto, che divide la parte del cielo da quella della terra, è come nella “Disputa del Sacramento” di Raffaello nelle Stanze Vaticane.

Poi arriviamo al capolavoro di Urbania, che è l’immagine del manifesto, che è la cosa da cui sono partito nella “ipervalutazione” di Raffaellino. Quaranta anni fa andai a Urbania a vedere un dipinto di Cagnacci e mi accorsi di questo capolavoro, dove c’è un ritmo, una capacità compositiva e un’armonia che sono un omaggio estremo a Raffaello proprio dentro a quella maniera che vuol dire “maniera di Raffaello”. L’opera ha una grazia e una eleganza che non possono farla ritenere un’opera minore o marginale. Siamo nel 1531-32.

A Sansepolcro, dove Raffaellino ha largamente lavorato, c’è la “Purificazione della Vergine”. È una composizione che richiama un po’ Rosso Fiorentino, che è il manierista per eccellenza, attraverso la figura del sacerdote, che ha quell’aria un po’ magica, un po’ da stregone. È una composizione un po’ inquietante, che entra nel manierismo toscano.

Non lontano da Urbino, siamo nel 1540, vediamo la Pala di Cagli, un po’ arcaica. Bello il San Sebastiano inginocchiato, il cane, una composizione che richiama la Madonna di San Sisto, oggi a Dresda, di Raffaello. E ancora, andiamo molto più avanti, Raffaellino ha vissuto quarantasei anni più di Raffaello, e nella maturità lo distacca e lo fa sentire lontano, da una parte della critica, cioè troppo manierista. Siamo nel 1543, quando lui dipinge, e siamo a Sant’Angelo in Vado, con la Madonna con il bambino, San Giovannino, Sant’Antonio Abate, Pietro, Paolo, Giuseppe e il donatore per la grande Pala della chiesa dei Servi. Qui effettivamente Raffaello è lontano negli anni, ma è ancora vicino nella Madonna con il bambino, in una composizione abbastanza statica.

Poi proseguiamo con un’altra opera, bella quasi come quella di Urbania, raffaellesca. La bella posizione che viene da Raffaello, del San Giuseppe, questo movimento come da lotta fra bambini, che lo rende molto dinamico, e forse più manierista di altri, questo capolavoro che si trova nella Casa di Raffaello a Urbino. Il dialogo dei due bambini è meraviglioso, la Madonna è intensissima. Poi c’è quel motivo visto anche in altri dipinti, dell’angelo che incorona la Vergine, ed è una bella testimonianza, databile 1550.

Nel 1560 dipinge la Sacra Famiglia oggi conservata nella pinacoteca di Perugia. Vediamo tre tavolette, che sono nel Museo Diocesano di Urbino, Palazzo Albani. Il clima manieristico fa sentire un pittore che vede Raffaello e l’unico grande erede che Clemente VII voleva per Raffaello, che era Parmigianino. Studiato, incrociato con Raffaello, da Raffaellino del Colle che guardava questo artista straordinario, morto anche lui a 37 anni nel 1540.

Troviamo attivo Raffaellino a Bibbiena, a Gubbio, a Sant’Angelo in Vado. Si vede l’intreccio con una personalità centrale per il Rinascimento italiano, che è Vasari. Vasari sa tutto, scrive tutto, conosce Leonardo, Raffaello, è quello che fa la Storia dell’Arte italiana, e Raffaellino, a Firenze, nel 1536, lavora con Vasari. Dove? Agli affreschi tanto odiati da Renzi che sono nel salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio e che dovrebbero coprire il Michelangelo della Battaglia Cascina e il Leonardo della Battaglia di Anghiari, che dovrebbero essere su quelle pareti coperti dagli affreschi di Vasari a cui ha lavorato anche Raffaellino del Colle.

Tra il 1543-44, quando Vasari si avvia a Napoli per una importante stagione meridionale, Raffaellino va a Perugia chiamato a decorare la Cappella e l’appartamento della Rocca Paolina. Poi raggiunge Napoli, che è importante per un pittore zingaro, pronto ad ogni situazione in cui ci sia la tensione dell’arte in quel momento, nello spirito del tempo, e raggiunge Vasari per il refettorio meraviglioso della decorazione ad affresco di Monte Oliveto. Lo vediamo ancora una volta seguire, dopo la morte di Raffaello, con Michelangelo che era intrattabile, la figura di “padre di riferimento” che è Vasari, modello a cui ispirarsi, anche se tanto più giovane di lui, visto che era nato nel 1511.

Inoltre, Raffaellino è grande amico di Bronzino. Insieme hanno anche una connessione alla Villa Imperiale e poi a Firenze lavora per il cartone degli arazzi che oggi sono stati riesposti a Palazzo Vecchio. Negli ultimi anni lo vediamo lavorare a Città di Castello e Sansepolcro, dove muore.

Quindi abbiamo una mostra territorialmente pertinente. Le opere sono belle e pochissimo viste. Credo che sarà una sorpresa importante.

Raffaellino del Colle è la nostalgia, quasi come quella di un figlio, verso Raffaello. Sarà come scoprire un pittore inedito, bello e luminoso. Spero sia l’occasione per mostrare un grande artista marchigiano, come all’inizio del secolo avvenne per Lotto.  


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