Intervista a Gianluca Arrighi, l' avvocato scrittore che scala le classifiche a colpi di thriller
Criminologia Lazio

Intervista a Gianluca Arrighi, l' avvocato scrittore che scala le classifiche a colpi di thriller

giovedì 29 gennaio, 2015

ROMA, 28 GENNAIO 2015 - E’ un curioso caso quello di Gianluca Arrighi, il penalista romano che scala le classifiche di vendita con i suoi noir, mentre spezza il pane quotidiano dei tecnicismi giuridici nei processi. E’ un curioso caso perché, in un momento di profonda crisi dell’editoria, i suoi tre libri, appena usciti diventano tutti best seller che soffiano sul collo a John Grisham o addirittura superano il Michael Dobbs di “House of cards”.

E poi è un curioso caso perché, pur prolifico scrittore, l’avvocato non cede di un millimetro sul terreno della professione, trova il tempo di scrivere fiction per la Rai e di “coccolare” quasi uno ad uno i lettori che lo seguono sui social network. Eppure Arrighi, romano innamorato della sua città, 43 anni non ancora compiuti, ha sempre l’aria fra lo scanzonato e il “bel tenebroso” anche quando indossa la severissima toga nera, quell’aria di chi si difende dallo stress con l’arma del sorriso.[MORE]

L’Arrighi scrittore, in tandem con l’Arrighi penalista, affronta casi tutt’altro che facili. Nel suo primo “Crimina romana”, analizza il crimine attraverso alcuni casi di cronaca nera che ha incontrato nel percorso professionale: “Crimina romana” viene giudicato così profondo e puntuale da diventare un libro di testo in alcune scuole della capitale. Nel secondo, “Vincolo di sangue”, l’avvocato racconta, con una pietas e una voglia di capire non scontati per il suo ruolo, la storia di una delle pochissime ergastolane italiane, condannata per aver ucciso la figlia diciottenne a colpi di spazzolone. Nell’ultimo “L’inganno della memoria” invece, si cimenta in un legal-thriller di fantasia che ruota attorno al personaggio di Elia Preziosi, tormentato pubblico ministero che ha abbandonato la libera professione e deve indagare su una serie di delitti particolarmente efferati.

Avvocato impegnato in processi importanti, scrittore di successo. E l’uomo Gianluca Arrighi chi è?
E’ un uomo che, quando riesce a staccare la spina da due lavori mentalmente sfiancanti come quello di avvocato e quello di scrittore, si rifugia nella famiglia. Mia moglie e le mie due bambine sono la parte migliore di me e soltanto loro riescono a sollevarmi dalle ansie e dallo stress che vive quotidianamente chi svolge la mia professione.

“L’inganno della memoria” è da mesi ai primi posti della classifica di vendita dei thriller Ibs. Solo frutto di un talento che ha incontrato il favore del pubblico o frutto di un abile marketing editoriale?
Il marketing editoriale richiede necessariamente l’appoggio delle grandi case editrici, che sono le uniche a poterselo permettere. “L’inganno della memoria” è stato pubblicato da un piccolo editore (Anordest, ndr.) e il successo riscontrato dal romanzo è dovuto soltanto al passaparola tra i lettori.

“Crimina romana” e “Vincolo di sangue” erano romanzi-verità, “L’inganno della memoria” è un racconto di fantasia. Lo scrittore noir che sta prendendo il sopravvento sull’avvocato?
Tutto ciò che scrivo, sia un true crime, sia una fiction, è sempre inscindibilmente collegato alla mia professione. L’Arrighi scrittore non potrebbe esistere senza l’Arrighi avvocato e viceversa.

Elia Preziosi, il protagonista del suo ultimo libro, è un magistrato inquirente disilluso che ha smesso di fare l’avvocato difensore perché “inciampato” in un caso di coscienza. E’ un personaggio tormentato, problematico: c’è qualcosa di autobiografico?
In tanti mi pongono questa domanda. Diciamo che nell’Elia Preziosi avvocato, soprattutto ai suoi inizi, c’è molto della mia vita professionale; mentre i tormenti e i demoni dell’Elia Preziosi magistrato, per fortuna, non mi appartengono. I tormenti sono dovuti alle scelte che ha Preziosi commesso quando, da giovane e brillante avvocato penalista, si è trovato di fronte a quella che forse è la più drastica valutazione che un penalista possa compiere. Per sapere quale sia, bisogna leggere il romanzo…

Nei suoi romanzi, come nei racconti brevi pubblicati su alcuni giornali, lei indaga con profondità i punti di vista del “cattivo”: è la prospettiva dell’avvocato difensore, certo. Ma le è mai capitato di rinunciare a difendere qualcuno perché in coscienza proprio non se la sentiva?
Gli unici casi che tendo a non assumere sono quelli relativi alla pedofilia. E questo non perché le persone accusate di quei crimini non abbiano diritto a un’adeguata difesa, ma perché la semplice vicinanza fisica con un individuo che potrebbe aver abusato di un bambino mi provoca una certa repulsione e, di conseguenza, potrei non esercitare al meglio il mandato. Diciamo che assumo quelle particolari difese soltanto quando sono assolutamente convinto dell’innocenza del mio assistito. Nei casi dubbi, invece, preferisco rinunciare.

Più volte lei ha denunciato la situazione delle carceri italiane che nulla fanno per rieducare e reinserire nella società chi ha commesso un delitto, come invece prevede la Costituzione. Si parla sempre più spesso di riforma della giustizia: pensa che quella del sistema carcerario sia vicina, o non si fa più illusioni?
Il sistema carcerario è ormai un malato in fase terminale. Il sovraffollamento degli istituti di pena ha da tempo raggiunto livelli allarmanti e costringe i detenuti a una vita disumana. E’ assolutamente necessario ristabilire un corretto equilibrio tra carattere umanitario del trattamento del condannato e tutela del diritto dei cittadini alla sicurezza. E in questa direzione vanno le iniziative del governo in materia di depenalizzazione, di introduzione della messa alla prova e di pene detentive non carcerarie. Ma non è sufficiente. E’ necessario con estrema urgenza incrementare l’edilizia penitenziaria e dare piena attuazione al piano carceri, che prevede la realizzazione di padiglioni detentivi in ampliamento delle strutture esistenti e la costruzione di nuovi istituti penitenziari.

Tutti i suoi romanzi sono ambientati a Roma, di cui lei ha esplorato soprattutto la microcriminalità. Ha anche affermato più volte che la situazione era preoccupante. Si aspettava uno scandalo come Mafia Capitale?
Che Roma fosse una città corrotta, lo sapevano tutti. Diciamo che è stata soltanto scoperchiata una pentola. Ma da qui a parlare di mafia, ce ne passa. L’associazione mafiosa, in senso tecnico giuridico, è qualcosa di profondamente differente rispetto ai fatti delittuosi che sono stati contestati a Roma. Ritengo che l’indagine sulla cosiddetta Mafia Capitale sia viziata da una eccessiva strumentalizzazione mediatica, dovuta a ragioni che non sono prettamente giudiziarie.

Quanti anni aveva quando ha deciso che da grande avrebbe fatto l’avvocato penalista? E perché?
Sin da bambino volevo fare l’avvocato penalista, mi piacevano la tensione del processo penale e gli scontri tra l’accusa e la difesa. In tv guardavo i telefilm americani dove gli imputati si avvalevano della facoltà di non rispondere e invocavano il quinto emendamento. Solo dopo avrei scoperto come quel principio fondamentale fosse invece stato creato dai giuristi romani e cristallizzato nel brocardo latino nemo tenetur se detegere (nessuno è obbligato a incriminare sé stesso, ndr.).

La passione per la scrittura quando nasce?

L’ho sempre avuta, come tutti gli autori credo. Ma l’approccio concreto all’idea di scrivere è arrivato quasi per caso. Nel 2002 divenni amico di una giornalista della Rai che aveva seguito per il Tg3 alcuni processi di cui mi ero occupato e che curava, sempre per la Rai, una rubrica settimanale di libri. All’epoca ero un giovane penalista, neppure trentenne, squattrinato e pieno di belle speranze. Ma ero anche sommerso da un’infinità di casi giudiziari, devo dire la maggior parte disperati, nei quali gli imputati erano spesso personaggi straordinari e rappresentativi della più varia umanità capitolina. Per questa ragione i “miei” processi erano molto seguiti dai media, soprattutto dalla cronaca di Roma. Fu proprio quella giornalista a spingermi perché cominciassi a scrivere romanzi ispirati alla mia esperienza nelle aule di tribunale. L’idea mi piacque e così nel 2008 venne pubblicato “Crimina romana” che, al di là di ogni aspettativa, diventò un successo straordinario.

Tramite i social network lei tiene un contatto forte con i suoi lettori, ormai veri e propri fan. Spesso viene interpellato dalla stampa sui crimini più discussi. Come mai, secondo lei, c’è tanta attrazione verso la cronaca nera e la letteratura noir? Perché piace tanto il crimine?
Secondo me il crimine attrae perché anche il migliore degli esseri umani ha dentro di sé una “parte oscura” e di conseguenza percepiamo il male come un pezzo possibile della nostra vita. Cerchiamo di tenerlo lontano da noi, ma al tempo stesso ne subiamo il fascino perverso e seduttivo ogni volta che lo vediamo impossessarsi di un nostro simile. In qualche modo è come se, guardando il male, percepissimo una visione astratta di qualcosa che, in modo latente, è presente nella nostra anima.

Prossimo libro: ancora un legal-thriller o un altro dei casi di cui si è occupato?

Al momento posso soltanto dire che il nuovo romanzo sarà ancora un thriller e che i lettori ritroveranno Elia Preziosi alle prese con nuove e misteriose indagini.

(Foto da gianlucaarrighi.it)

Paola Bergonzoni 


Autore
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