La Giustizia europea condanna l’Italia per non aver adottato misure idonee contro la xylella
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La Giustizia europea condanna l’Italia per non aver adottato misure idonee contro la xylella

giovedì 5 settembre, 2019

BRUXELLES, 5 SETTEMBRE - La Giustizia europea ha dato ragione oggi giovedì 5 settembre al ricorso della Commissione Europea, che ritiene che l'Italia, non abbia attuato le misure obbligatorie  dettate dall’UE (che prevedevano la rimozione degli alberi infetti e di  quelli situati nel raggio di 100 metri di distanza da quelli  contagiati), per prevenire la diffusione del batterio della xylella, che può portare alla morte diverse specie di piante tra le quali gli ulivi.

All’Italia è ora richiesto di conformarsi alla sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGUE) "il più presto possibile", in questa procedura di infrazione aperta nel 2015 è richiesto il “solo” pagamento delle spese processuali. Non ottemprando alla pretesa della Commissione, Bruxelles, potrebbe proporre un nuovo ricorso per chiedere sanzioni pecuniarie.  "Le autorità del paese non adottano le misure appropriate per sradicare  la peste xylella fastidiosa nella regione Puglia e non riescono a  fermarne la progressione",  aveva osservato l'esecutivo europeo quando ha presentato ricorso nel 2018.

La Commissione Europea, considera che dall'ottobre 2013, quando è stato notificato il primo focolaio, l'Italia "non si è completamente conformata" alla normativa comunitaria sulla quarantena alla lotta anti-diffusione del batterio. "Queste misure comprendono la rimozione immediata delle piante infette", nonché i provvedimenti di monitoraggio campionamento. La Corte di giustizia ha constatato nella sua sentenza che l'Italia non ha "rispettato due dei suoi obblighi ai sensi della decisione della Commissione". 

Il batteridella Xylella è considerato tra ipiù  pericolosi per le piante in tutto il mondo. Provoca varie malattie per  le piante infette, portandole alla morte. Attacca principalmente ulivi,  vigneti e frutteti. I mezzi di controllo raccomandati sono lo  sradicamento e la distruzione, la delimitazione delle zone cuscinetto e  la disinfezione. Il batterio è stato finora rilevato in quattro paesi  europei (Italia, Francia, Spagna e Germania), con effetti diversi a  seconda delle piante e delle condizioni climatiche. 

Il batterio prima d'ora, non era mai stato rilevato in Europa fino al 2013, quando ne fu evidenziata la presenza in Puglia. I ricercatori se ne avvidero nel riscontrare un abnorme “disseccamento rapido dell’ulivo” che portava le piante a non produrre più frutto e a morire in poco tempo. La causa fu identificata nella Xylella, batterio per il quale non esiste cura, fu consigliata all’uopo la distruzione di tutti gli ulivi malati per evitare pericolose contaminazioni. 

Nel 2015 ci furono numerose proteste e manifestazioni, da parte di coltivatori e associazioni olivicole, contrarialla eradicazione e distruzione di piante di ulivo, spesso secolari. La magistratura, aprì anche un’inchiesta ipotizzando tra l’altro che fossero stati gli stessi ricercatori a diffondere il batterio. Questa ipotesi fu poi giudicata del tutto infondata ed esclusa con l’archiviazione dell’inchiesta.

Il presidente di Coldiretti Puglia, Savino Muraglia, afferma che “Continua  a mancare una strategia condivisa e univoca tra enti regionali,  nazionali e comunitari per fermare la Xylella e ridare speranza di  futuro ai territori che hanno perso l'intero patrimonio olivicolo e  paesaggistico”.

"Gli  errori, le incertezze e gli scaricabarile che hanno favorito l'avanzare  del contagio hanno provocato 21 milioni di ulivi infetti e danni per 1,2  miliardi di euro"  - riferisce l’associazione Coldiretti - "Sotto  accusa, però ci sono anche le responsabilità comunitarie, a partire dal  sistema di controllo dell'Unione europea con frontiere colabrodo che  hanno lasciato passare materiale vegetale infetto". "L'avanzata  della malattia - conclude Coldiretti Puglia - "ha lasciato milioni di  ulivi secchi dietro di sé, con conseguenze economiche, produttive e  sociali: cinquemila posti di lavoro persi nella filiera dell'olio  extravergine di oliva, con i frantoi svenduti a pezzi in Grecia, Marocco  e Tunisia".

Luigi Palumbo



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