La vita è mia e faccio ciò che voglio io
Chiesa e Società Calabria

La vita è mia e faccio ciò che voglio io

venerdì 14 novembre, 2014

 14 NOVEMBRE 2014 - Quante volte sentiamo dire frasi come: "ho agito secondo coscienza", oppure, "la vita è mia e faccio ciò che voglio io". Sempre più l'uomo si sta isolando dagli altri e da Dio perchè ha deciso che lui è l'autore della sua vita e della vita degli altri. Voglio invitarvi a leggere con attenzioni le righe che seguono. Andiamo nel cuore del Vangelo per comprendere meglio. [MORE]

Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.

Ora permettetemi di darvi uno spunto per la riflessione.
Il servo fannullone, infingardo, non fa nulla di male. Anche lui come molti dicono oggi giorno, non ammazza, non è adultero, non è un falso testimone, non disonora il padre e la madre. Osserva ben nove comandamenti. Ne trasgredisce uno solo, il primo: “Io sono il Signore tuo Dio. Non avrai altri dèi di fronte a me”. È questo oggi il comandamento trasgredito da tutti. Senza questo primo comandamento gli altri non hanno alcun valore per l’uomo. Chi trasgredisce il primo è pronto a trasgredire gli altri nove. Il primo comandamento dice perfetta obbedienza ad ogni Parola del nostro Dio, ad ogni suo desiderio, ogni sua volontà, ogni progetto da Lui pensato per noi. Lui ha stabilito che ogni uomo sia sua provvidenza per ogni altro uomo. Tutti i rapporti sociali, oggi tesi al sommo, tanto da sfociare in una contrapposizione senza alcuna soluzione di sano discernimento e intelligente raziocinio, mai potranno essere vissuti santamente, per il bene di tutti, se si prescinde da questa verità essenziale di ogni uomo. Dio non ha fondato le relazioni sul diritto, ma sulla sua provvidenza. Ognuno deve essere sua provvidenza per l’altro. Questa legge vale per il povero e per il ricco, per il datore di lavoro e per l’operaio, per lo scienziato e per chi è privo di cultura. Agli altri nulla dobbiamo chiedere. Ad essi dobbiamo dare tutto di noi. Solo se entriamo in questa verità, saremo capaci di operare per il bene dei nostri fratelli. La contrapposizione non è evangelica e mai lo sarà. Se non è evangelica, non è neanche umana. È solo disumana.


Il tempo è una grazia particolare del Signore. È dato ad ogni uomo perché con esso produca un frutto di vita eterna. Oggi questa verità è stata distrutta, radiata, eppure essa è la sola verità che fa stare in piedi la nostra fede. L’acqua serve all’albero perché produca frutti gustosi. Se l’albero non deve produrre alcun frutto, a cosa gli serve l’acqua? Così dicasi anche della grazia. Essa ci viene data perché noi produciamo questo frutto di vita eterna. Se la vita eterna è un dono di Dio per tutti, indipendentemente dal nostro frutto, non serve né la grazia e né gli strumenti umani che devono renderla possibile per tutti. Come si produce questo frutto? Vivendo secondo verità, pienezza di responsabilità, tutti i doni di cui il Signore ci ha arricchiti. Sono doni di intelligenza, sapienza, forza, energia fisica e spirituale. Essi vanno sviluppati perché ognuno di noi manifesti una qualità divina, riveliamo per mezzo di essi la bellezza del nostro Dio e Signore. È il cammino che ci condurrà a gustare tutta la bellezza del nostro Padre celeste. Questa però è visione di fede. È visione di luce eterna.


Oggi l’uomo ha perso la sorgente della sua verità. È precipitato in una involuzione di grande immanenza. La dichiarazione della morte di Dio operata dalla filosofia per più secoli ha fatto sì che si trasformasse in morte dell’uomo. Dio è più che una bombola di ossigeno per chi ha perso l’uso dei suoi polmoni. Se il malato viene privato del respiro della vita, incorre nella morte. Così è per l’uomo. Privato dell’alito della vita che è Dio, è precipitato in una morte dello spirito e dell’anima che si sta trasformando in morte anche fisica. È un suicidio invisibile generale.


Dio vuole che ogni uomo sia provvidenza per ogni altro uomo. Perché possa vivere questa finalità scritta nella sua stessa natura, il Signore lo ha dotato di doni particolari. Ogni uomo porta in sé uno o più doni, che lui deve sviluppare, fare crescere, perché producano frutti di verità, vita, salvezza, redenzione, benessere spirituale e materiale per ogni altro fratello. Se l’uomo non mette a frutto i doni ricevuti, priva l’umanità di un bene ad essa essenziale, necessario per vivere. La rende anemica spiritualmente e anche materialmente. Alcuni doni sono più che essenziali. Sono vitali per l’umanità. Se essi non vengono sviluppati, tutta l’umanità incorre in un processo di morte irreversibile. Essa è privata di un elemento necessario alla sua vita.

Don Francesco Cristofaro

www.donfrancescocristofaro.it


Autore
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