Salita agli inferi. Il viaggio delle migranti tra Guatemala e Stati Uniti
Estero

Salita agli inferi. Il viaggio delle migranti tra Guatemala e Stati Uniti

sabato 22 settembre, 2012

Tremila chilometri. È la lunghezza del tragitto che compiono quotidianamente le migranti centro e sudamericane per arrivare negli Stati Uniti. In mezzo il Messico, dove tra sequestri, treni merci e sfruttamento sessuale l'”american dream” che tanto sognano si trasforma in un “american nightmare” [parte 1 di 3]

Una volta l'uomo aveva un'anima e un corpo, oggi ha bisogno anche di un passaporto, altrimenti non viene trattato da essere umano. [Stefan Zweig]

NEI PRESSI DI CONTEPEC (STATO DI MICHOACÀN MESSICO), 22 SETTEMBRE 2012 - «Così finiscono gli stupratori» diceva il cartello che gli hanno trovato appeso al collo. Lui era Eladio Martinez Cruz, 24 anni, accusato di violenza sessuale. Il suo corpo è stato trovato, privo di vita e con i genitali tagliati, nei pressi di Contepec, nello stato messicano di Michoacán. Il suo nome sarà presto dimenticato, molto più difficile sarà dimenticare il modo in cui è stato ritrovato.

 

 

Dallo scoppio della guerra tra e contro i cartelli della droga, iniziata nel 2006 dall'ex presidente Felipe Calderón Hinojosa, il Messico si è in qualche modo abituato a tutta una serie di rituali di comunicazione come i narcomantas, gli “striscioni” posti sui ponti stradali con i quali i cartelli si parlano, spesso accompagnati da qualche (presunto) traditore impiccato a monito generale. Non si sa se questo omicidio ricada nella fattispecie. Quello che è sicuro è che Eladio Martinez Cruz sarà ricordato come il primo uomo crocifisso per stupro.
Un'immagine questa che ha fatto molto scalpore, quanto meno sui media italiani. [MORE]
 
Un cimitero di contraccettivi. Scalpore inferiore, se non addirittura indifferenza, suscitano altre croci. Come le 19 che – emulando le Madres argentine - lo scorso febbraio tenevano in mano 26 donne salvadoregne, madri di persone scomparse lungo il tragitto che dal loro paese avrebbe dovuto portarli negli Stati Uniti, come gli altri 200.000 centroamericani che, recitano i dati dell'Instituto Nacional de Migración, attraversano il Messico per entrare illegalmente nel paese dell'opportunità per tutte e tutti, per prendersi il loro pezzo di “american dream” che per molti si trasforma in un incubo.
 
Preservativi e Depo-Provera, lungo i 5.000 chilometri che intercorrono tra la frontiera sud e quella nord del Messico, sono per le migranti gli unici compagni di viaggio su cui fare reale affidamento. Tra una frontiera e l'altra può succedere davvero di tutto, in special modo incappare nelle aggressioni che per migranti donne e transessuali significa subire abuso sessuale e per chi queste aggressioni le fa – autoctoni o lavoratori di quelle zone - un guadagno che varia da qualche spicciolo a qualche migliaio di pesos, con la polizia che spesso guarda ma non vede.
Aggressioni che in molti casi sfociano in veri e propri sequestri. «Il protocollo abituale» - dice Edu Pones, fotografo di Ruido Photo che ha partecipato al progetto En el Camino - «è dividere i migranti quando vengono sequestrati: quelli che hanno famiglia negli Stati Uniti e possono contattarli per chiedere il riscatto sono inviati nella sala uno, quelli che hanno famiglia ma non possono contattarli nella sala due. Non si sa cosa capiti a chi non ha famiglia negli Stati Uniti e non può pagare».
Consce della più che concreta possibilità di ciò – secondo il governo guatemalteco otto donne su dieci subiscono violenza di questo tipo durante il viaggio, sei su dieci secondo il governo messicano – donne e transessuali tentano di tutelarsi non solo facendo scorta di preservativi o trovando maridos,(facendosi così proteggere da uno degli uomini che viaggiano con loro in cambio di favori sessuali), ma negli ultimi tempi forte è diventato l'uso di quella che ormai è definita “l'iniezione anti-Messico”, il Depo-Provera appunto, un anticoncezionale da iniettarsi composto esclusivamente da un ormone, la medroxiprogesterona, che impedisce l'ovulazione per tre mesi, con un'efficacia che arriva al 97%  ma che non protegge da malattie quali l'AIDS o altre malattie a trasmissione sessuale.
 
E poi c'è chi, per scelta o per impossibilità nel continuare il viaggio fino alla fine, viene più spesso costretta ad utilizzare il proprio corpo come merce lungo il tragitto o in uno dei bordelli delle zone di tolleranza nel sud del Messico, locali spesso in mano ai potenti cartelli della droga e punti di transito per la tratta a fini di sfruttamento sessuale.
 
Cuerpomátic. Soldi e speranza. Sono questi i due chiavistelli con i quali, dall'America Centrale passando per la Nigeria o i paesi dell'Est Europa, si muove quella parte del traffico di esseri umani che prende il nome di tratta.
«La maggior parte lavora come cameriera» - dice Luis Flores, delegato dell'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni - «Dopodiché iniziano a lavorare come ficheras e poi finiscono prostituendosi, generalmente arrivano a questo punto con l'inganno». Non tutte, naturalmente, perché anche nel mercato del sesso – come in tutti i mercati capitalisti che si rispettino – esistono delle caratteristiche a cui non si può derogare. Innanzitutto l'età: «dai 10 ai 35 anni, difficilmente di più» - ha scritto l'investigatore Rodolfo Casillas in “La trata de mujeres, adolescentes, niños y niñas en Mexico, un estudio esploratorio en Tapachula”- «anche se il problema della tratta coinvolge maggiormente le minorenni, quelle che vanno dagli 11 ai 16 anni di età». Secondo Flores e Casillas, inoltre, le donne migranti dall'Honduras e da El Salvador  (che insieme al Guatemala rappresentano i tre principali paesi di origine del flusso migratorio) sarebbero più richieste perché di carnagione meno scura rispetto alle donne messicane, tanto che ormai da anni sui media si parla tranquillamente di “tratta delle bianche”.
A diverse età e carnagione corrisponde un prezzo diverso, che varia dai 400 pesos per una ragazza considerata “vecchia” - e che a mala pena arriva ai 30 anni – fino ai 2.000 per una minorenne dalla pelle bianca. Cifre che, tradotte in euro, significano un prezzo compreso tra i 24 ed i 120 euro. 
 
Luis Flores la chiama cuerpomátic: «Si riferisce alla carne come carta di credito con la quale si può avere sicurezza nel viaggio, un po' di denaro, che non uccidano i tuoi compagni, un viaggio più comodo nel treno». Del corpo di una migrante si fa lotteria, parafrasando De André.
 
Tutto però parte qualche centinaia o qualche migliaia di chilometri più a sud, dall'altro lato della frontiera.
Stando a quanto sostiene padre Alejandro Solalinde - coordinatore del Centro pastorale cattolico di cura per migranti e direttore di un rifugio a Ixtepec - dietro a tutto l'indotto della tratta – dal controllo dei locali a quello dei coyotes o delle reclutatrici (artefici di quello che Flores chiama l'effetto spirale) c'è il più potente dei cartelli della droga messicana: quello dei Los Zetas che, dice Óscar Martinez, giornalista autore di Los inmigrantes que no importan: «hanno convertito il sequestro dei migranti in un business, dove le donne sono obbligate a prostituirsi e marchiate con un tatuaggio della propria organizzazione (come si fa con le droghe, ndr), come se fossero state vinte, affinché nessuno possa usarle. Un business nel quale il crimine organizzato si converte in Stato, con la protezione delle istituzioni».
 
Secondo molti degli addetti ai lavori, la “mafia dei trafficanti” sarebbe addirittura più potente dei già potentissimi cartelli della droga.
 
Un viaggio che, per i giovani, non è solo uno spostamento fisico da un punto A ad un punto B. È, come racconta il giovane sociologo Damien Rios – che ha viaggiato insieme ai migranti – un passaggio dall'età adolescenziale a quella adulta.

 

[parte 1 di 3]
[parte 2 di 3: Salita agli inferi. Il viaggio delle migranti tra Guatemala e Stati Uniti]
[parte 3 di 3: http://www.infooggi.it/articolo/fortress-usa-il-viaggio-delle-migranti-tra-guatemala-e-stati-uniti/31594/]

(foto: forum.egcommunity.it)
Andrea Intonti [http://senorbabylon.blogspot.it/


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https://www.infooggi.it - Il Diritto Di Sapere

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