Così è (se gli pare). Rivolgersi al futuro
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Così è (se gli pare). Rivolgersi al futuro

giovedì 17 gennaio, 2013

ROMA, 17 DICEMBRE 2013 - Il Presidente della Bce ha dichiarato che i Governi dovrebbero attuare riforme nel mercato del lavoro e dei servizi. Il lavoro è un diritto sancito dalla Costituzione. Eppure gran parte dei giovani è senza lavoro, circa il 37 %. Il tasso di occupazione giovanile e non solo è in pesante diminuzione. Il debito pubblico è alto e la pressione fiscale è forte. L’Europa necessita di una politica fiscale. La Cgil sostiene che ci debbano essere più investimenti e una diversa politica industriale per superare l’evasione fiscale e il forte debito pubblico. Ecco cosa pensa Alessandro Bertolucci.[MORE]

«I Governi devono attuare riforme del mercato del lavoro e dei servizi, in modo tale da aumentare la competitività e stimolare la crescita del Pil e dell’occupazione», così ha dichiarato M. Draghi, Presidente della Bce. Il tasso di occupazione giovanile e non solo in pesante diminuzione. Alto debito pubblico e forte pressione fiscale stanno investendo tutta la società. Manca una politica fiscale comune nell’Europa della moneta unica.

Mancasse solo una politica fiscale comune in Europa, potremmo già dirci fortunati. Il fatto che certe affermazioni, per altro corrette e condivisibili, debbano essere fatte dal Presidente della Bce, la dice lunga sull’ordine delle priorità, o delle autorità, di questa nostra Europa. Come ha detto Juncker “bisogna ritrovare la dimensione sociale dell’unione economica e monetaria”. Sicuramente l’Europa manca di una politica fiscale unitaria, ma manca anche e forse soprattutto di una politica sociale che non può essere confusa con spostamenti di miliardi di euro da un Paese ad un altro; questa è di nuovo la Bce. Aldilà di ciò che i governi devono attuare, c’è bisogno di dare una voce non “economica” all’Europa. In una congiuntura come questa l’Europarlamento dovrebbe essere messo in condizione di potere intervenire più incisivamente in materia di politiche occupazionali e sociali ponendosi, come giusto, ad un livello superiore rispetto a quello semplicemente nazionale al quale si muovono i governi dei singoli Paesi.

Recentemente la Fornero ha dichiarato che la riforma del lavoro tende a contrastare la precarietà. Si deve aggiungere che il lavoro non si fa a comando ma ricostruendo l’economia e migliorando la formazione. Sei d’accordo?

Se la ricostruzione dell’economia è importante, la formazione è fondamentale. Il punto è che parlando di formazione non ci si può limitare ad un percorso di studi, ma bisogna includere anche un bagaglio di esperienze di vita e di lavoro. Che l’economia, la finanza siano parti vitali della nostra società è indubbio, ma ancora fatica a passare il concetto che una società sana è composta da cittadini sani che, come una pianta, vanno curati fin dal momento della semina. I semi sono i giovani, addirittura i bambini. La scuola italiana, le Università, hanno subito tagli spaventosi, peggiorando ulteriormente la situazione dell’istruzione in Italia, già disastrata. E non sarebbe ancora la peggiore delle condizioni se i giovani potessero contare su un sistema veramente meritocratico e su un mercato del lavoro onesto e aperto. Ma così non è: il concetto stesso di lavoro è cambiato, riducendosi al (cercare di) fare soldi, all’essere pagati (cosa per altro giusta, come onesto corrispettivo dell’impegno profuso e del risultato raggiunto), ma il lavoro è prima di tutto realizzazione. Realizzazione come persone, come cittadini; il lavoro, utopicamente ma non troppo, dovrebbe puntare alla felicità. Ciò che è sfuggito alla Fornero nell’ormai famoso discorso sui giovani “choosy”, è che una persona felice del proprio lavoro sopporta i sacrifici meglio di chi il proprio lavoro non ama. Lo so perché lo sperimento su me stesso quotidianamente. Quindi, dipendesse da me, io avrei un occhio di riguardo per la formazione in tutte le sue declinazioni e il successivo processo di inserimento nel mondo del lavoro.

Il piano per il lavoro Cgil, che la confederazione sindacale guidata dalla Camusso sta preparando da oltre un anno, sostiene che ci debbano essere più investimenti e una diversa politica industriale per combattere l’elevata evasione fiscale e il forte debito pubblico. I politici dovrebbero fare passi un po’ più lunghi di una legislatura pensando ai giovani che dovranno entrare nel mondo del lavoro dopo il loro mandato e non pensare solo al ritorno elettorale?

La lungimiranza della nostra classe politica pare essersi espressa mirabilmente nella stesura della nostra Costituzione, poi il buio. Sto scherzando, forse. È lampante che la situazione in cui ci troviamo oggi è frutto di anni di mancanza di progetti a lunga scadenza, ma non solo negli ultimi venti anni, molto ma molto prima. La classe politica italiana ha pensato poche volte al futuro, attorcigliandosi più spesso attorno ai problemi del momento, alle occasioni da prendere al volo. È venuta a mancare così la prospettiva, che ha lasciato il posto agli individualismi e all’interesse non più comune ma di parte. La Cgil, in questo periodo preelettorale presenta il proprio piano per il lavoro, facendo presente ai candidati ciò che il sindacato si aspetta da loro. Ovviamente nel caso specifico l’interlocutore principale e direi designato è Bersani. Condivido con la Camusso l’esigenza di combattere ancor più tenacemente l’evasione fiscale e il lavoro nero, e credo sia arrivato il momento di ridurre la pressione fiscale al fine di potere permettere alle aziende di assumere. Purché assumano e non mettano in cassa integrazione. Ma la pressione fiscale non è il solo problema: con un euro così forte su tutte le altre valute da ridurre le esportazioni e un mercato interno che stagna, la cosa difficile è trovare anche compratori. Gli investimenti devono servire per rilanciare i consumi interni; il potere d’acquisto delle famiglie è ciò che va recuperato. Dall’altro lato è sempre più necessario affrontare in modo adeguato la questione della nostra valuta a livello mondiale. Il passo che la politica può fare è nella direzione di una sempre maggiore coordinazione fra interventi a livello nazionale e interventi a livello comunitario.

Il lavoro è un diritto sancito dalla Costituzione. Eppure il 37 % dei giovani è senza lavoro. Complici la crisi, lo spostamento in avanti dell’età pensionabile che porta inevitabilmente anche a una minor disponibilità di posti di lavoro e anche l’apprendistato. Il tasso di disoccupazione aumenta anziché diminuire.

Il problema sembra insuperabile, pare essere una coperta troppo corta da qualunque parte tu la si tiri. Io credo che sia necessaria una riforma strutturale del modo di intendere il lavoro, che si debba ritrovare il significato profondo della parola “lavoro”. Questo cambiamento, che in parte è già in atto, sta puntando su nuove dimensioni lavorative, o molto locali o altrimenti estremamente globali. Mi piace la riscoperta delle ricchezze locali dal punto di vista agricolo, artigianale, turistico e culturale e come queste piccole realtà riescano ad aprirsi al mercato mondiale grazie ai mezzi di comunicazione. Interessanti sono anche le occasioni offerte dalla globalizzazione e da internet che molti nostri connazionali colgono. Il periodo di grande difficoltà spinge, volenti o nolenti, le persone a inventarsi e reinventarsi il lavoro e conseguentemente il proprio futuro. Non confido molto sulle buone decisioni che cadono dall’alto, ho fiducia altresì in una spinta virtuosa dal basso, nella capacità di adattamento e nella creatività che da sempre contraddistingue noi italiani. Dalla classe politica che ci accingiamo a scegliere e che ci rappresenterà prossimamente, deve venire un risanamento delle storture passate, un esempio di onestà civile ed intellettuale che segni il passo, che cambi il ritmo sbagliato di questi ultimi decenni.

Oggigiorno è in atto una vera e propria fuga di cervelli dall’Italia. Si tratta di giovani di talento e di giovani con un’alta specializzazione professionale. Gran parte dei neolaureati e di neodottorati infatti lasciano il Paese alla ricerca di un futuro professionale migliore. Se decidono di andarsene significa che non hanno avuto scelta, che ci hanno provato e che non c’è stato altro da fare. È davvero così?

Io mi ritengo un europeista convinto, è ormai da anni mia convinzione che il futuro sia “europeo”. Ho sempre guardato con ammirazione a tutti coloro che hanno deciso di provare all’estero, e sono fermamente convinto del valore di un’esperienza lavorativa in un altro Paese. Questo però dovrebbe rientrare fra le scelte volontarie e non fra quelle obbligate. Quella dei giovani, ma di qualunque lavoratore, indipendentemente dall’età, non può essere una diaspora, deve essere una opportunità da cogliere fra e oltre quelle offerte in patria. Anche perché dovrebbe essere uno scambio di cervelli e di esperienze, non una fuga. L’Italia stessa dovrebbe accogliere e raccogliere le esperienze degli stranieri che vengono qua per lavorare e arricchire il nostro Paese con il proprio bagaglio culturale.
 

Giulia Farneti e Alessandro Bertolucci


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