"La casa" di Fede Alvarez, la disarmata delle tenebre
InfoOggi Cinema Campania

"La casa" di Fede Alvarez, la disarmata delle tenebre

giovedì 16 maggio, 2013

La casa di Fede Alvarez può darci a bere galloni di sangue, ma non il fatto di essere un film originale o di qualità: e nemmeno perché sia un remake costruito sulle fondazioni pericolose, ed irripetibili, de La casa di Sam Raimi, visto che film come L’alba dei morti viventi di Zack Snyder nel 2004 o Le colline hanno gli occhi di Alexandre Aja avevano dimostrato che dal santuario dell’orrore si possono estrarre belle statuine e riplasmarle con artigianale intelligenza. Non è questione di obbligatoria deferenza di nani seduti sulle spalle di giganti, affatto: è un problema di nanismo tout court, ossia di film inutile e sostanzialmente poco illuminato a prescindere dall’ombra scomoda del predecessore.[MORE]

Il cadavere scongelato da Fede Alvarez è ben noto, e puzza maledettamente. L’ironia retroattiva di un film come Quella casa nel bosco di Drew Goddard, che prendeva di mira, ma con sadismo mirato e reinventato, clichè e sagome dell’horror, mostra di essere destinata ad un’onda lunga, quell’onda di banalità che sprigiona da tutti gli horror a venire incapaci d’inventare: prendete cinque ragazzi, con ruoli più o meno copincolla dal genere (fratelli con traumi infantili, l’intellettualino, la pragmatica, la fidanzatina); prendete – appunto – una casa nel bosco, premurandovi che nella piantina sia ben indicata la dislocazione di uno scantinato con qualche oscuro e prevedibile segreto; prendete un libro che scatena il\i demone\i di turno. Insomma, chi ha visto Raimi, sa; chi non l’ha visto, anche. E mettete 15 milioni di budget, o giù di lì: il risultato è un giocattolino da bloody feast, un liquidator di sangue liquidabile dopo pop corn e Coca Cola. Magari anche goderecciamente: ma senza che poi la memoria ne rechi traccia. Ashes to Ash, ce ne dimenticheremo presto.

Letture comparate? Pure sono utili. Come ne La casa di Sam Raimi, l’orrore viene spettacolarizzato, il quintetto dei personaggi è eterogeneo, il duello con le forze soprannaturali diventa confronto fisico, con tanto di armi improvvisate. I trent’anni e passa di differenza, però, invecchiano; specie tenendo conto delle poco azzeccate varianti: si avverte una claustrofobia meno asfittica, a causa di alcune poco salutari “puntate” nel bosco e trasferimenti in auto; manca l’ironia, e non si può dire che sia una scelta espressiva indovinata, nella sua autonomia dall’originale, perché il ri-trito sopravvive o con geniali reinvenzioni della tensione o con un distacco chirurgicamente divertito (lo dimostrò lo stesso Raimi con La casa 2 e con L’armata delle tenebre, perfino col recente Drag me to Hell); manca una genuina sperimentazione linguistica. I close-up su arti amputati con coltellacci per costate di manzo, le lingue biforcute tipo “se non lecchi (la lama), godi solo a metà”, la mostruosità dei posseduti che sa più di disarticolati automi dell’orrore che di quel gustoso sfacelo a quattro lire degli anni ’80, sono solo alcune delle tracce di un make-up invadente, un lifting mancato, che eleva il gore a teorema anziché ad ingrediente, che pare compiacersi anziché compiacere, di sangue tutto sommato stantio.

Ma la cosa più irritante de La casa di Fede Alvarez è quella di aver trasformato uno splatter schizza-cervelli in un horror per strizzacervelli, con complicazioni psicanalitiche non solo superflue, ma pericolosamente seriose. Il soggiorno nella casa come pretesto perché Mia si disintossichi; il rapporto tra i fratello e sorella; i sensi di colpa del fratello per essere stato assente durante la malattia della madre; l’associazione possessione\follia: il libro di Freud non sta bene sullo scaffale del libro dei morti, e ce ne si accorge soprattutto quando il fratello insiste nel voler salvare la sorella posseduta chiedendo: “e se le servisse un dottore?”. Pazza idea: che dimostra l’assenza di buone idee. 

Per cui, si fa fatica a non convenire con David Edelstein, il critico del New York Magazine, quando commentando il passaggio di testimone tra Raimi ed Alvarez scrive: “In the end, who really cares? Five years from now, will you want to watch this bloody $14 million extravaganza or Raimi’s shoestring original, which was Amateur Hour elevated to pop art?”. Per chi non conoscesse l’inglese, basterà tradurre il senso della prima frase: chissenefrega. Sappiamo invece chi si frega le mani per gli incassi; ma, ancora: non dateci a bere che sia questo l’horror degli anni duemila. Sarebbe un incubo.


Autore
https://www.infooggi.it - Il Diritto Di Sapere

Entra nel nostro Canale Telegram!

Ricevi tutte le notizie in tempo reale direttamente sul tuo smartphone!

Esplora la categoria
InfoOggi Cinema.