La cultura italiana è nel caos, tra tagli e proteste
Editoriale

La cultura italiana è nel caos, tra tagli e proteste

martedì 15 marzo, 2011

15 MARZO - Silvio Berlusconi, Presidente del Consiglio, critica pubblicamente la scuola pubblica; Mariastella Gelmini, Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, vara una riforma per limitare gli sprechi, ma che di fatto assomiglia tanto ad una scure finanziaria; Sandro Bondi, Ministro dei Beni e delle Attività Culturali, diviene oggetto di feroci critiche in seguito ai crolli di Pompei, ma la Camera lo salva respingendo la mozione di sfiducia presentata nei suoi confronti.

Da una parte le barricate dei politici, dei governanti, che con tripli salti mortali linguistici assicurano il Paese che la cultura è ancora una priorità nel presente italiano; dall’altra, la realtà dei fatti: la rabbia di chi vive di cultura e per la cultura, che si sente umiliato e per giunta preso in giro da chi toglie lì dove dovrebbe invece salvaguardare e proteggere.[MORE]

"Non è intelligente tagliare la scienza, l'istruzione e la cultura". Ovviamente non sono le parole di un rappresentante della maggioranza: si tratta invece della lucida dichiarazione di Josè Manuel Barroso, presidente della Commissione Ue, in visita in Italia, insignito per l’occasione con la laurea honoris causa in giurisprudenza dall’Università Luiss.

È quanto mai paradossale che l’Italia, che da sempre esporta cultura per la sua storia e per la sua tradizione secolare, oggi sia guardata con commiserazione dall’estero per lo stato di degrado culturale in cui rischia di precipitare: non a caso, in seguito al crollo della Domus dei Gladiatori e di altre tre strutture murarie, a Pompei sono giunti anche gli ispettori UNESCO. Come a dire: meglio che interveniamo noi prima che facciate ulteriori danni.

Ma questa colpa non ci appartiene, come hanno voluto gridare migliaia di cittadini scesi in piazza il 12 marzo per protestare in difesa della Costituzione e della scuola pubblica.

La Gelmini, anche da Fazio domenica, ribadisce che le contestazioni sono ingiustificate perché frutto di una cattiva comunicazione della riforma: tagli agli sprechi, non all’istruzione. E per testimoniarlo, tira in ballo i bidelli: troppo numerosi e quasi sempre fannulloni. Per non parlare di quei genitori che scendono in piazza e poi mandano i propri figli alla scuola paritaria: dunque non aveva torto il Premier quando dequalificava la pubblica?

Come accennavo in precedenza: non esiste più un limite alla sfacciataggine e alla strafottenza di alcuni personaggi politici. Dopo le ultime uscite inqualificabili del Ministro, sono insorti in coro Cgil, Cisl, Uil, oltre a milioni di utenti della rete stanchi di essere rappresentati come cronici ipocondriaci lamentosi.

E poi è successa una cosa imprevedibile e senza precedenti: improvvisamente alla piazza, rumorosa e caotica, si è unito anche un teatro, intonato e ordinato. Il maestro Riccardo Muti sale sul palco dell’Opera di Roma per la prima del Nabucco, ma prima di dirigere si concede poche quanto significative parole: “Il 9 marzo del 1842 Nabucco debuttava come opera patriottica tesa all'unità ed all'identità dell'Italia. Oggi, 12 marzo 2011 non vorrei che Nabucco fosse il canto funebre della cultura e della musica”. Poi parte il Va pensiero, ma il maestro si rende conto che l’emozione della platea travalica il rigido dettame della forma: il pubblico chiede il bis e in breve tutto il teatro si alza in piedi, sacrifica la comodità in nome di un coro straziante di preghiera e speranza. Cantano tutti, piangono in tanti.

Ma in fondo scene come queste, così stucchevoli, perché mai dovrebbero impietosire il cuore di marmo del Ministro Tremonti, il vero burattinaio, il sarto che ha impugnato la forbice e si è scagliato scelleratamente verso anche la più piccola forma di vita culturale presente in Italia: scuola, università, cinema, teatro, editoria, lirica, nulla si è salvato, nulla si salverà.

Eppure un giorno qualcuno ci dovrà pur spiegare perché ad esempio Andrea Carandini, presidente del Consiglio superiore dei beni culturali, abbia domenica rassegnato irrevocabili dimissioni “nella constatazione dell'impossibilità del ministero di svolgere quell'opera di tutela e sviluppo del patrimonio culturale stante la progressiva e massiccia diminuzione degli stanziamenti di bilancio”. Tra l’altro non è la prima volta: Carandini aveva sostituito nel 2009 Salvatore Settis, a sua volta dimissionario “per dissenso sulla gestione e sulla tutela della politica culturale del governo”.

Ma voi lettori non dovete preoccuparvi: in fondo questa è solo la psicosi di pochi milioni di cittadini che, come Muti, credono ancora nella favola per bambini che “una nazione che perde la propria cultura perde la propria identità".

A scanso di equivoci, io crederò sempre nelle favole per bambini.
 

 


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