Leggere il Messico per capire l'Italia
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Leggere il Messico per capire l'Italia

domenica 16 ottobre, 2011

CITTÀ DEL MESSICO, 16 OTTOBRE 2011 - A voler leggere quello che avviene in Messico, attraverso giornali come il settimanale “Zeta”, “Proceso” o “La Jornada”, si ha la sensazione di leggere le cronache dall'Afghanistan, dall'Iraq o da qualche altro paese dichiaratamente in guerra. Perché anche in Messico, nonostante se ne parli poco, c'è una guerra. Anzi, una narco-guerra, come quella che da anni combattono i cartelli per la spartizione del traffico della droga, una tra le principali fonti di guadagno per la criminalità organizzata insieme alle armi ed al traffico di esseri umani. 
A volerlo leggere bene quello che avviene in Messico, dove imperano la criminalità, la corruzione e l'impunità nei più disparati settori della società – dalla politica all'imprenditoria fino alla musica – ci si rende conto che, forse, le cronache dal Messico hanno più di un punto di contatto con la situazione italiana. Proprio per questi motivi – ed anche per il “buco” che sembra essersi formato a livello mediatico su quei temi – che InfoOggi.it ha deciso di raccontarvi, con appuntamenti settimanali, le cronache dalla terra che fu di Emiliano Zapata e del Subcomandante Marcos e che oggi è in mano a personaggi come “El Chapo” Guzmán.[MORE]

Il patto. La droga è al centro di un vero e proprio “patto” tra i cartelli messicani e le 'ndrine calabresi, da anni leader incontrastate del mercato. A fare da padrini al sodalizio sono state alcune tra le più importanti famiglie della criminalità calabrese trapiantate negli Stati Uniti come gli Schirripa, famiglia riconducibile agli Aquino-Coluccio di Marina di Gioiosa Jonica.
Dal centro e dal Sud America, la cocaina arriva in Italia attraverso i porti spagnoli ed olandesi dopo aver fatto scalo nei porti di quegli stati africani in cui regnano corruzione e caos. Le partite vengono poi pagate attraverso il sistema dei money transfer, come l'operazione “Solare” del settembre 2008 (circa 200 persone arrestate tra Stati Uniti, Italia, Messico e Guatemala) ha ampiamente dimostrato. Prima di aprire ai messicani, le 'ndrine utilizzavano “liberi professionisti” che facevano arrivare la droga dalla Colombia, paese che insieme alla Bolivia è ancora oggi tra i principali produttori, come dice Cynthia Rodriguez, giornalista messicana – da quattro anni in Italia – autrice di “Contacto en Italia: el pacto entro los Zetas y la 'Ndrangheta”. È proprio dai grandi trafficanti colombiani – come Pablo Escobar, il narcotrafficante più famoso del mondo – che i messicani hanno imparato il mestiere. Prima di mettersi in proprio, infatti, molti dei cartelli e dei loro leader facevano i corrieri nei cartelli che da Medellín e dalle altre città rifornivano il mondo.

1989, arriva la seconda generazione dei narcos. Gli equilibri nel narcotraffico messicano vengono modificati radicalmente nel 1989, quando una serie di arresti porta in carcere i leader del Cártel de Guadalajara, in particolare Miguel Angel Félix Gallardo, a quel tempo il cartello egemonico.
Il primo ad occuparsi di questo passaggio fu Jesús Blancornelas, giornalista fondatore del settimanale “Zeta”, che iniziò a descrivere come il “monopolio nazionale” che aveva caratterizzato l'epopea di Félix Gallardo si stesse velocemente trasformando in un “oligopolio violento”, generando quel clima di violenza in cui il paese si ritrova ancora oggi.
Sarebbe stato proprio l'ex leader di Guadalajara, dal carcere, a dettare la trasformazione. Secondo diverse testimonianze in possesso della Procuradoría General de la República, infatti, si sarebbe tenuto un summit ad Acapulco nel quale i nuovi capi si sarebbero spartiti le piazze, in maniera che ad ognuno fosse spettata una parte del profitto e che a nessuno dei cartelli fosse venuto in mente di espandersi nei territori altrui (era anche stata fissata, per questo, una vera e propria “tassa di transito” che bisognava pagare quando la rotta di un cartello transitava sul territorio di un altro).

Si crearono così due blocchi: quello del Pacifico, nel quale a dettar legge era Joaquín “El Chapo” Guzmán Loera, leader del Cártel de Sinaloa (o del Pacifico), e quello del Golfo, capeggiato da Juán García Abrego ai quali si deve l'apertura delle ostilità per quanto riguarda il traffico delle droghe “classiche”. Nacquero poi alcuni cartelli – come quello del Milenio dei fratelli Valencia o di Colima, poi schiacciati dalla “parcellizzazione” del narcotraffico – specializzati nel traffico delle metanfetamine, che oggi costituisce una delle principali voci di guadagno sulla rotta con gli Stati Uniti.

Oggi questi due cartelli, un tempo antagonisti, si ritrovano invece alleati contro i “Los Zetas”, considerato attualmente il cartello più importante e più pericoloso di tutti. In mezzo ci sono i fratelli Arellano Félix, fondatori del Cártel de Tijuana – cartello oggi in secondo piano - ai quali si deve lo “sconfinamento” che ha dato inizio alla narcoguerra.

Fin qui abbiamo visto la situazione che ha portato alla narco-guerra di questi anni. Una guerra – come vedremo – che ha portato a più di 30mila morti dal 2006 al 2010, anno in cui si è registrata una vera e propria escalation, con una media di più di un morto all'ora.
Quali sono gli attori che ad oggi tengono in scacco un intero paese e quali sono i “metodi di resistenza” usati dalla gente comune, sarà invece il tema dominante della seconda parte del nostro viaggio nel narcotraffico messicano e che costituisce il primo degli appuntamenti settimanali con cui InfoOggi.it ha deciso di raccontarvi il Messico dei narcos.

Andrea Intonti


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