Un recente studio condotto in Italia: Nuove ipotesi teoriche sulle origini del linguaggio
Cultura e Spettacolo

Un recente studio condotto in Italia: Nuove ipotesi teoriche sulle origini del linguaggio

mercoledì 9 maggio, 2012

Uno studio condotto in Italia presso l’università di Messina, da oggi in libreria, fa luce su uno degli aspetti più misteriosi e affascinanti dell’origine dell’uomo: l’evoluzione del linguaggio. Come siamo riusciti a produrre questa facoltà così complessa? O possiamo dire che proprio le nostre straordinarie capacità comunicative hanno consentito il nostro grado di evoluzione? Come influisce il linguaggio sull’evoluzione del cervello e della mente? Sono domande che ci riportano alle nostre lontane origini, per farci meglio comprendere chi siamo e qual è il nostro posto nella natura.
Abbiamo intervistato l’autrice, dott.ssa Maria Primo.

D. Siamo abituati a pensare che il linguaggio sia una delle facoltà che più chiaramente distinguono l’uomo dalle altre specie. Questa facoltà si presenta all’improvviso, a un certo momento dell’evoluzione umana, o si sviluppa insieme all’uomo, gradualmente, a partire da forme di comunicazione presenti nel mondo animale?

R. Mi permetta prima una piccola premessa. Chiunque voglia spiegare l’origine del linguaggio deve spiegarne la complessità, il suo essere non solo un sistema di comunicazione, ma di espressione del pensiero, e anche di costruzione del pensiero. Ora, per chi parte dal presupposto che la peculiarità del linguaggio – ciò che ne caratterizza la sua essenza – sia la sua complessità la risposta è semplice: non essendovi in natura sistemi di comunicazione paragonabili al linguaggio umano non resta che escludere l’idea di una sua evoluzione. Quindi, semplicemente, il problema dell’origine del linguaggio non ha ragione di esistere. E questa è l’ipotesi ancora oggi dominante tra linguisti e teorici del linguaggio.
A chi, come me, invece, ritiene che la complessità sia un prodotto e non un presupposto del linguaggio e che occorra partire dal basso, ovvero dagli elementi più semplici e guadagnare la complessità gradualmente le scienze aprono un campo di indagine molto più ampio e variegato.[MORE]

D. Dunque quale ipotesi lei sviluppa a partire dalla sua ricerca? Ci può descrivere in sintesi in che modo lei spiega l’evoluzione del linguaggio umano?

R. La mia ipotesi è che il linguaggio dipende da sistemi di comunicazione più semplici sviluppatisi nei nostri antenati e determinati da un peculiare tipo di socialità – basata su emozioni, empatia, mentalizzazione e imitazione – che ha permesso ai nostri antenati di sopravvivere in ambienti ecologici anche molto ostili. L’idea è che per superare le sfide ecologiche, i nostri antenati abbiano dovuto costruire comunità con una fitta rete di rapporti sociali, e che questi trama fosse retta dalle emozioni e dalla capacità simulativa che costituiscono la nostra cognizione sociale. Ora cerco di sintetizzare in maniera schematica la mia proposta. Io ipotizzo che il meccanismo che ha portato alla graduale complessità del sistema comunicativo è un’asimmetria tra i processi di produzione e comprensione linguistica; nel senso che la comprensione aggiunge un surplus di informazione alla produzione e tale surplus può essere riutilizzato nella riproduzione. In questo modo la riproduzione va oltre la produzione iniziale aprendo nuove vie alla comunicazione. Possiamo pensare a un meccanismo di questo tipo come a una spirale che a ogni giro non chiude il cerchio ma lo apre e lo allarga verso l’esterno.

D. Come si evince dal titolo, l’argomento trattato è la questione dell’origine del linguaggio all’interno di due prospettive teoriche ben precise, perché questa scelta?

R. Perché nell’ambito degli studi sul linguaggio, negli anni scorsi, queste prospettive sono state tenute separate, soprattutto nella scienza cognitiva classica, quella che faceva riferimento in linguistica in maniera preponderante alla teoria generativista di Noam Chomsky. Il problema dell’origine e dell’evoluzione del linguaggio è stato un argomento tabù per molti decenni tra i linguisti, sono famosi i divieti che alcune società europee imposero agli intellettuali, come ad esempio la Société de Linguistique de Paris. Nello statuto del 1866 infatti il secondo articolo recita più o meno così: «La Società non ammette alcuna comunicazione riguardante sia l’origine sia la creazione di una lingua universale».
Sebbene siano passati molti anni e oramai quei divieti non valgano più, i linguisti hanno continuato ad evitare di affrontare il problema dell’origine del linguaggio. I primi segni di ripresa di interesse verso l’argomento possono essere datati al 1975 quando la New York Academy of Sciences organizzò una conferenza sul tema e al 1990 l’anno della pubblicazione da parte di Steven Pinker e Paul Bloom dell’articolo Natural language and natural selection. È proprio questo articolo a determinare il risveglio di interesse nel panorama internazionale sul tema dell’evoluzione del linguaggio, tema indagato soprattutto da non linguisti ma da paleoantropologi, psicologi, informatici, filosofi. In Italia, la ripresa è stata ancora più lenta e tardiva, solo in quest’ultima decade si sta notando una crescita di interesse verso questo tema.
Ma per tornare alla domanda che mi ha posto all’inizio la sfida di questo libro è riuscire a tenere insieme una certa idea di mente e di linguaggio umano (frutto delle conoscenze acquisite all’interno delle scienze cognitive) con le evidenze e le teorie provenienti dalle ricostruzioni evolutive. L’obiettivo è quello di creare un’ipotesi coerente con ciò che sappiamo oggi della mente e del linguaggio umano da un parte, e con ciò che sappiamo della nostra storia evolutiva dall’altra.

D. In conclusione, qual è la frase che più preferisce del suo libro?

R. Mi vengono in mente due frasi che, ahimè, non sono opera mia ma che riporto all’inizio di due capitoli. La prima è tratta da una canzoncina per bambini di Gianni Rodari: «Le cose di ogni giorno raccontano segreti a chi le sa guardare ed ascoltare». È un invito a guardare sempre con occhi nuovi e a non smettere mai di porsi domande e di provare a trovare delle risposte. La seconda è tratta da una poesia di Walt Whitman, che io leggo come un inno alla vita e che penso debba ispirare ogni lavoro che intenda studiare l’uomo e il suo posto nella natura: «Canto la vita immensa in passione, pulsazioni e forza,/Lieto, per le più libere azioni che sotto leggi divine si attuano,/Canto l’Uomo Moderno.».

Maria Primo, Alle radici della parola. L’origine del linguaggio tra evoluzione e scienze cognitive, Quodlibet, Macerata, Maggio 2012.


Valeria Nisticò


Autore
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