Vangelo della Domenica XXXII del Tempo Ordinario. Ma io do l'esempio?
Parola e Fede Calabria

Vangelo della Domenica XXXII del Tempo Ordinario. Ma io do l'esempio?

sabato 7 novembre, 2015

 Vangelo della Domenica
Diceva loro nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».
Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».[MORE]


Breve pensiero spirituale

In chi e in cosa poniamo la nostra fiducia? Ogni uomo è libero di confidare in chi vuole e in cosa vuole. Le conseguenze di questa liberta non sono le stesse. Dio ha parlato una volta per tutte mettendo l’uomo dinanzi alla verità: “fai così e vivrai”. Da qui la sua e la nostra scelta.
L’inferno è sofferenza indicibile eterna, frutto di stoltezza. Il purgatorio è anch’esso sofferenza indicibile, ma temporanea. Essa opera la purificazione dell’anima, la libera da ogni pena temporale dovuta ai peccati e quando questo percorso sarà terminato, l’anima sarà accolta nel Paradiso, nella gioia del suo Signore. Per i dannati invece questa speranza è morta per sempre ed è la disperazione. Se i dannati potessero tornare indietro, preferirebbero essere inchiodati e rimanere su una croce anche per un milione di anni. Un milioni di anni passano, l’inferno rimane. Da quella sofferenza non si esce. La disperazione è eterna.


E’ questo oggi che non si vuole capire. Ed è molto pericoloso predicare una falsa misericordia, una misericordia che non si può realizzare perché va contro Dio.


L’antica teologia distingue per i dannati due pene: quella del danno e quella del senso. Quella del senso sono le sofferenze indicibili eterne che avvolgono anima, corpo, spirito. Quella del danno invece è quel rimorso eterno che non muore mai: per una stoltezza, un momento di fugace piacere illecito, non santo, si è perso il vero bene, Dio e la sua eterna gloria nel Cielo. Tra il fugace piacere e il bene che si è perso non vi è alcun paragone. Tra il niente e il tutto vi è paragone, tra un istante e l’eternità non vi è paragone possibile. Si è perso Dio, la sua eterna di gioia, la sua comunione di luce, si è in un luogo di tormenti per una gioia effimera, di soli pochi istanti. È la perdita di Dio la disperazione del dannato. Ho perso per sempre il mio vero Bene.
Dopo il peccato di Adamo nel giardino dell’Eden, la vita è divenuta sofferenza. Quel poco di bene che l’uomo ha in dono dal Signore deve essere frutto di una sofferenza accolta, vissuta, offerta. Il Creatore dell’uomo fin dall’inizio ha posto dei limiti che mai l’uomo potrà superare, pena la sua morte eterna. Il primo limite era quello di non gustare dell’albero della conoscenza del bene e del male. Il gusto di quel frutto ha provocato la morte, ogni sofferenza, ogni dolore. Dopo il peccato il Signore pone all’uomo un altro limite: tutto ciò che gli serve per questa vita dovrà essere frutto del sudore della sua fronte. Il lavoro diviene così sofferenza espiatrice, sofferenza redentrice, sofferenza per la vita. Dalla sofferenza nasce la vita.


Il limite entro il quale ogni sofferenza va vissuta sono i comandamenti. Comandamenti e gioia sono una cosa sola. A nessuno è consentito gioire trasgredendo queste leggi divine. La trasgressione è un aumento di gioia illegittima, non consentita e per questo peccaminosa, da sancire con la condanna alla pena eterna, a meno che l’uomo non si converta, si penta, chieda perdono al Signore e ritorni a godere solo quella gioia legittima che gli viene data dal Signore nella sua santa legge. Neanche il giorno del Signore potrà essere usato per aumentare la nostra gioia, togliendo ad esso la sacralità che lo connota e lo specifica. Sei giorni sono tuoi, il settimo è consacrato al Signore, è suo. Per questo si chiama “domenica”: Giorno del Signore.


Perché gli scribi riceveranno una condanna più severa? Perché saranno scaraventati nell’inferno? Perché essi sono stati costituiti da Dio maestri per insegnare ad ogni uomo come si vive la sofferenza nel rispetto dei comandamenti. Invece, contro ogni legge del Signore, violando ogni precetto del loro Dio, essi erano tutti intenti a procurarsi ogni gioia, disprezzando il Signore e gli uomini, approfittando delle vedove, deboli e indifese. Facendo scempio della religione. Così da maestri della sofferenza accolta e vissuta con amore, si trasformano in maestri del falso, del raggiro, dell’inganno, della cattiveria, della superbia, della stoltezza. Anziché essere via di luce erano per il popolo sentiero di tenebre e di grande immoralità.
Quando un ministro del Signore trasforma il suo ufficio di luce, verità, carità, giustizia, misericordia, pietà, santità, orientamento verso Dio in ufficio di tenebra, falsità, odio, ingiustizia, spietatezza del cuore, peccato, ogni trasgressione, allora la condanna nell’ultimo giorno sarà più che severa. Anziché attrarre verso Dio con il suo insegnamento e la sua vita, ha allontanato molti cuori della vera pietà e dalla santa religione. Per un inferiore la misericordia del Signore è grande. Per un ministro di Dio, un amministratore della luce, che diviene dispensatore di tenebre e di iniquità, la condanna è severa. È di morte eterna. Il ministro di Dio è responsabile della morte eterna di ogni uomo che perisce per sua grave omissione.
 

Don Francesco Cristofaro

www.donfrancescocristofaro.it


Autore
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