CYBERCRIME E DIGITAL COMMUNICATION. IL CYBERBULLISMO
Criminologia Toscana

CYBERCRIME E DIGITAL COMMUNICATION. IL CYBERBULLISMO

martedì 11 settembre, 2018

L’analisi di Cyberbullismo, Cyberpedofilia e Cyberstalking, nell’ambito di un’estesa casistica di Cybercrime (non meno allarme sociale destano infatti i blog che istigano all’omofobia o all’eccessiva magrezza), evidenzia quanto l’aspetto “non reale” di questi reati sia calato nella sfera quotidiana dei “millennials” o “nativi digitali”, con ripercussioni preoccupanti sulla formazione e la crescita degli stessi.[MORE]

L’espressione “nativi digitali” (dall’inglese Digital Natives), usata per la prima volta dallo scrittore Mark Prensky, indica la generazione dei nati negli Stati Uniti dopo il 1985, anno di diffusione di massa del personal computer ad interfaccia grafica e dei primi sistemi operativi Windows. L’avvento di Internet ha condizionato l’organizzazione sociale, la vita lavorativa e le relazioni interpersonali di miliardi di persone. Fino alla fine degli anni 90 però, soprattutto in Europa, la rete era un territorio nuovo. I costi di accesso elevato lo rendevano appannaggio di aziende e di privati “d’élite”. L’ingresso dei giovani nel mondo digitale era ancora lontano poiché le famiglie erano solo in parte connesse ad Internet, il termine “social network” era sconosciuto e la fruizione delle poche chat line esistenti era a pagamento. Con il prosieguo degli anni e la gratuità dell’accesso alla rete, la diffusione dei pc prima e degli smartphone poi ha portato alla nascita di prodotti interamente dedicati alla socializzazione: Google ha fagocitato i motori di ricerca precedenti, Facebook è diventato il social network per eccellenza e Youtube, con lo slogan “Broadcast Yourself”, si è affermato come la seconda piattaforma web più cliccata al mondo (alle spalle solo di Google). Sostanzialmente a partire dagli anni duemila tutto è cambiato ed i giovani hanno particolarmente apprezzato le nuove potenzialità del web. Il traslare, il “vivere” parte del quotidiano all’interno di un social network ha infatti portato alla nascita di nuovi pericoli. Si tratta spesso di rischi “tradizionali” che nella loro manifestazione virtuale si sono acuiti o modificati, assumendo spesso nomi e definizioni nuove e presentandosi in forme complesse da combattere.

                                                      Il bullismo e la sua componente hi-tech

Mi sentivo addosso gli sguardi degli altri […] Dieci metri di cortile, 156 gradini e un corridoio ci separavano dalla classe. Questo per me era come il percorso del combattente. Schivare i colpi, i calci, gli sputi. Chiudere le orecchie per non sentire gli insulti e le prese in giro. Controllare il mio zaino ed i capelli. Trattenere le lacrime. Ancora e ancora. Durante questi minuti infiniti”. E. Monk.

Emilie Monk amava gli animali e sognava di diventare veterinaria. Nel dicembre 2015 si è gettata dalla finestra di casa sua all’età di diciassette anni. Era vittima di bullismo da quando ne aveva dodici. Un mese dopo la sua morte, i genitori hanno deciso di reagire pubblicandone il diario segreto. Emilie annotava le umiliazioni e gli insulti che era costretta a subire tra i banchi di scuola sotto gli occhi indifferenti degli insegnanti.

Con i destinatari dei video intrattenevo relazioni virtuali in un periodo di depressione e fragilità. Ho girato e diffuso quei sei filmati volontariamente ed in piena coscienza ma non avrei mai dato il mio consenso alla loro diffusione. Voglio giustizia. Chiedo il sequestro di questi siti che mi stanno rovinando la vita”. T. Cantone.

Tiziana Cantone è morta suicida dopo la diffusione di alcuni suoi video hard divenuti virali. Tiziana – benché fidanzata – aveva accettato di intrattenere rapporti sessuali con altri uomini e di filmarli. A ciò non si era opposto Sergio, il fidanzato. Lei stessa lo aveva definito “cornuto” e glieli aveva spediti. I video sono stati però divulgati dallo stesso per via whatsapp e immessi su Facebook, su alcuni motori di ricerca e altrettanti siti porno. Nel luglio del 2015 Tiziana aveva chiesto al giudice di Aversa la rimozione di quei filmini, cambiato cognome e residenza per sfuggire agli sguardi dei concittadini. Si è suicidata il 13 settembre dell’anno successivo. Sono state aperte due inchieste: una per istigazione al suicidio e l’altra per diffamazione. La prima, a carico di ignoti, è stata archiviata il 14 dicembre 2017. I video sono ancora in circolazione.

Non fidatevi del ragazzo con i pantaloni rosa, è frocio”. I ragazzi del liceo Cavour.

Nel novembre del 2012 un ragazzo di 15 anni, Andrea Spezzacatena, noto come “il ragazzo dai pantaloni rosa”, si è impiccato dopo essere stato deriso per mesi dai compagni di scuola. “Lo smalto era stata un’idea mia, voleva smettere di mangiarsi le unghie per poter riprendere a suonare il pianoforte, lui aveva scelto il rosa perché era estroverso. I pantaloni rosa, un paio di jeans che un lavaggio sbagliato aveva cambiato di colore, che non metteva mai. Una sola maglietta rosa nell’armadio e sì aveva anche un quaderno rosa”. Cosi aveva dichiarato la madre dopo la scoperta dell’esistenza di una pagina facebook che era stata creata per prendere in giro Andrea e di cui la stessa era completamente all’oscuro.

La delicata questione della vittimizzazione tra pari costituisce grave problematica dell’odierno contesto sociale e la connessa proiezione nel cyberspazio aggrava notevolmente l’attitudine lesiva delle relative condotte. Si pensi al caso di un pestaggio accompagnato da consenso ed incitamento dai membri di un branco, ovvero ad un’offesa verbale a scuola o in un altro contesto in cui si svolge la vita di ognuno. Questi comportamenti saranno probabilmente conservati nei ricordi e riprodotti in racconti, ma non restano indelebili su pagine internet, profili facebook o social network. Differentemente da quanto avviene nel contesto reale, il mondo virtuale cristallizza l’umiliazione e la vessazione della vittima in modo spesso irreversibile.
Poste tali premesse sull’indubbia gravità delle condotte prevaricatorie e persecutorie realizzate con l’ausilio dei mezzi informatici, occorre domandarsi che cosa si intende con il termine bullismo: esso designa “un comportamento aggressivo assunto da uno o più individui, ripetutamente nel corso del tempo, ai danni di una o più vittime al fine di esercitare un potere o un dominio su di esse”.


La distinzione tradizionale individua due grandi categorie di bullismo:

Diretto = presuppone una violenza fisica (es. calci) o verbale (es. umiliazioni) ergo un contatto diretto tra aggressore ed aggredito;
Indiretto = si caratterizza per il modus operandi subdolo del persecutore: il bullo può ricorrere a diverse modalità di esclusione della vittima dal gruppo dei pari ovvero alla manipolazione sociale, inducendo altri componenti del gruppo medesimo ad attaccare la vittima (attraverso pettegolezzi, calunnie) senza esserne apparentemente coinvolto in prima persona.

Il cyberbullismo discende da quest’ultima tipologia, assume un volto più tecnologico e al tempo stesso maggiormente invasivo. I nativi digitali sono cresciuti utilizzando internet e smartphone e trovano quindi normale relazionarsi attraverso monitor e tastiera. Se da una parte questo ha favorito la socializzazione, dall’altra è diventato mezzo per prevaricare e sopraffare i coetanei. Il cyberbullismo consiste in atteggiamenti e comportamenti da parte del cyber-predatore, finalizzati ad offendere, spaventare e umiliare la vittima tramite i mezzi elettronici (l’e-mail, la messaggeria istantanea e/o i siti web). Il cyberbullo – agevolato dalla pervasività e dall’ accessibilità della rete che gli consentono di raggiungere la vittima in qualsiasi momento – trova divertente ridicolizzare gli altri utilizzando un linguaggio volgare, deridendo i newbie (c.d. neofiti della rete), formando gang e pertanto agendo in gruppo e molestando un preciso obiettivo.


Caratteri imprescindibili affinché si possa parlare di bullismo sono la reiterazione, sistematicità, intenzionalità ed invasività degli attacchi nonché la soddisfazione nel porli in essere.
L’anonimato del bullo telematico (se di anonimato tout court si può parlare) associato alla possibilità di assumere una maschera virtuale sono in grado di abbattere qualsiasi tipo di remora morale: mancanza di feedback emotivo ed impossibilità di percepire direttamente la sofferenza e l’umiliazione provocata aumentano lo spazio psicologico dell’indifferenza. In questo contesto possono inserirsi i c.d. bystander (spettatori) capaci di aumentare l’intensità dell’azione del bullo. Infatti, contrariamente a quanto normalmente avverrebbe in uno scenario educativo normale (in cui un comportamento scorretto verrebbe scoraggiato dall’isolamento del soggetto agente), gli spettatori potrebbero essere animati da uno spirito di condivisione.

Foto [Vita Bookazine]

Anna Vagli


Autore
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