Green Hill, la Corte d'Appello di Brescia conferma la condanna per i vertici dell'azienda
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Green Hill, la Corte d'Appello di Brescia conferma la condanna per i vertici dell'azienda

mercoledì 24 febbraio, 2016

ROMA, 24 FEBBRAIO 2016 - È stata emessa ieri la sentenza della Corte d'Appello di Brescia che conferma tutte le condanne di primo grado nei confronti dell'allevamento bresciano di Beagle "Green Hill", di proprietà della multinazionale Marshall, posto sotto sequestro il 18 luglio del 2012. Il veterinario ed il cogestore sono stati condannati ad 1 anno e 6 mesi, mentre il direttore della struttura è stato condannato ad 1 anno. I capi di accusa erano relativi ai reati di uccisione e maltrattamento di animali, disciplinati dagli articoli 544bis e 544ter del Codice Penale. A Green Hill pare che ci fosse la pratica di uccidere i cani affetti da patologie per contenere i costi e perché non più idonei ad essere ceduti alla aziende farmaceutiche che praticano la sperimentazione animale. La Corte ha confermato, per i condannati, anche la sospensione dalle attività per due anni e la confisca dei cani. 

La Lega Anti Vivisezione, parte civile nel processo, attraverso un comunicato stampa, commenta quanto disposto dalla sentenza: "Con questa nuova sentenza, si confermano rigore morale ed equità nell’applicare il diritto a esseri viventi capaci di provare sofferenze e dolore, e con necessità etologiche che devono rispettate anche se in gioco ci sono gli interessi economici di una multinazionale americana come la Marshall. Con questa sentenza storica, senza precedenti per numero di animali tratti in salvo e per la portata innovativa sul piano giuridico, è stato smantellato, dunque, l’inaccettabile teorema del cane 'prodotto da laboratorio' e per questo 'usa e getta'.

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I legali di Green Hill annunciano che faranno ricorso in Cassazione, sottolineando l'estraneità alle accuse rivolte ai vertici dell'allevamento: "Il processo è stato fin dalle fasi iniziali fortemente influenzato da una campagna animalista ingiustamente accanita che in realtà vuole vedere l’azienda condannata non per i metodi di allevamento ma piuttosto per le finalità di quest’ultimo e non ne considera la necessità per la ricerca medico-scientifica. Non sono stati presi in considerazione la gran quantità di documenti e materiali prodotti dalla difesa che certificano il rispetto del benessere animale, l’assenza di maltrattamenti e l’eccellenza dell’allevamento". 

L'onorevole Michela Brambilla, autrice del Decreto Legislativo 26/2014 che vieta in Italia l’allevamento di cani, gatti e primati a fini sperimentali, a commento della decisione della Corte d'Appello di Brescia, ha dichiarato quanto segue: "La sentenza, con il secondo grado di giudizio, è una vittoria della giustizia e mette di fatto il suggello su una vicenda che mi ha visto da sempre in prima linea: contro la vivisezione in generale e in particolare contro la vergogna di un allevamento di cani destinati ai laboratori che, grazie alla norma che ho scritto, non potrà mai più aprire nel nostro paese".  

Aaron 


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