I Riti e le speranze che ci lascia la Santa Pasqua
Fantasticherie del cuore Calabria

I Riti e le speranze che ci lascia la Santa Pasqua

mercoledì 19 aprile, 2017

In tutti i Paesi della Calabria e dell’Italia una miriade di riti pasquali hanno scosso l’animo di ognuno. Probabilmente in un modo diverso, ma sempre comunque in direzione di una riflessione profonda, legata al mistero della morte e della resurrezione di Cristo. [MORE]

Un approccio particolare che lascia il segno; a volte anche nella inconsapevolezza di chi nella settimana santa si è guardato intorno con serenità e voglia di capire. Nel mio paese natio, Borgia, in provincia di Catanzaro, è tradizione suonare la notte del mercoledì santo per le vie del centro abitato “u’ tamburru”. Colpi scanditi con regolarità nella notte alla ricerca di Gesù. Molti lo seguono in silenzio, quasi ad accompagnare l’inizio di quelle giornate che porteranno Gesù sulla Croce. Poi la processione della sera di venerdì fino all’alba. La madonna vestita di nero e il sepolcro di Gesù, al suono triste della banda musicale, lasciano per le strade il profumo amaro di un dolore che attraversa il cuore dei presenti alla processione. Domenica poi a “cunfrunta”. Cade il mantello nero e Maria incontra Gesù Risorto, tra fuochi d’artificio, applausi, brani musicali di festa e di gioia.

Noi cristiani, al di là dei riti tradizionali che vanno rispettati e mantenuti, dovremmo interrogarci spesso su un grande mistero, come la resurrezione di Cristo, che ha cambiato l’andamento della storia dell’umanità. È necessario che l’alto senso di questo mistero intervenga oggi sul nostro modo di essere uomini del nostro tempo.  Non vorrei che ci limitassimo, in modo magari sofisticato e tecnologico, ad imitare a distanza i sapienti del Sinedrio che tendevano, persino, a dettare “l’agenda di Dio”, come si trattasse magari di un governante di quel loro territorio. La politica anche oggi è molto distante da una cornice evangelica, in grado di rivoluzionare l’attuale corso di crisi perenne, legato al cancro dell’insipienza umana. Una condizione che purtroppo tutto trascina nell’immoralità e quindi nel baratro di ogni debole sovrastruttura umana, utilizzata dalla società in cui viviamo, per tentare di rinascere in una economia più sana ed in una nuova dimensione etica.

Proprio nei Vangeli troviamo alcune notizie che necessariamente devono interrogare la nostra coscienza. Pietro e Giovanni, dopo aver constatato la risurrezione di Gesù se ne tornano di nuovo a casa. Per loro questo evento che ha sconvolto il cielo e la terra, donando all’intera creazione una nuova forma di essere, una nuova natura, non smuove ancora il loro cuore, perché non lo risuscita ad una dimensione nuova, spirituale,

incorruttibile, ad una dimensione celeste e non più terrena. È bene qui ricordare che con la resurrezione del Figlio dell’uomo la natura corporea è stata trasformata in natura spirituale, di luce, come Dio è spirito e luce. Ma in quel momento, tutto questo, nei due discepoli, non diventa conseguenza storica. Si legge in Matteo: “Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti. I discepoli perciò se ne tornarono di nuovo a casa”.

Con il nostro comportamento, legato soltanto ad una ritualità di tradizione concorriamo, per la nostra parte, a far sì che milioni di Eucaristie al giorno, diventino come acqua versata sul marmo. Dobbiamo riflettere e meditare. Dobbiamo interrogare il nostro cuore. Non possiamo lasciare che tutto vada come finora è andato. Siamo responsabili, per la nostra parte, di un così grande mistero. È chiaro che noi ci accostiamo spesso alla risurrezione di Gesù senza fede, senza speranza, senza carità. La riceviamo da delusi, distratti, tristi, stanchi, oberati, affannati.

La riceviamo solo con il corpo. Il nostro cuore è distante, perché viaggia in tutt’altra direzione. Cosa fare? Mons. Di Bruno ci invita a: “Divenire come Lui. Amare come Lui. Servire come Lui. Essere obbedienti come Lui. Morire come Lui. Risorgere come Lui. Entrare nella beatitudine eterna come Lui”. La strada è questa se vogliamo dare speranza alla storia in tutte le sue essenziali articolazioni sociali e culturali.




Egidio Chiarella

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