Il matrimonio come "dono totale di sè"
Parola e Fede

Il matrimonio come "dono totale di sè"

lunedì 7 maggio, 2012

Oggi risponde alla domanda di Alberto da Salerno don. Francesco Brancaccio, docente presso l’Istituto Teologico “Redemptoris Custos” di Cosenza.

D. Io sono stato lasciato da mia moglie. Io non ho colpa perché non posso risposarmi?

RCapisco la tua difficoltà Alberto. Mi rendo conto del difficile sacrificio che rimane a carico di chi subisce una separazione o un divorzio. Portiamo l’attenzione per un momento sulla realtà oggettiva dell’unità matrimoniale e del suo scioglimento, in modo da tornare poi con più chiarezza alla prospettiva soggettiva.

La celebrazione valida del sacramento del matrimonio compone l’uomo e la donna in “un’unica carne” (Gn 2,24, Mt 19,4), un vincolo unico e indissolubile, congiunto dall’azione di Dio. Perché unità e indissolubilità sono proprietà essenziali del matrimonio? Perché il matrimonio è, nella sua natura, dono totale di sé, che gli sposi si scambiano. È missione di amore e di sostegno reciproco che coinvolge la totalità della persona e trasforma la finalità della sua vita: per tutta l’esistenza terrena l’uno è per l’altra, in un legame che comporta per ciascuno il beneficio di ricevere dal coniuge “un aiuto che gli corrisponda” (Gen 2,18) e al contempo la responsabilità di assumersi le esigenze del bene altrui. Una qualsiasi limitazione all’unità e all’indissolubilità sarebbe dunque un impedimento alla pienezza dell’amore reciproco degli sposi. Inoltre, essendo finalizzato anche alla procreazione, il matrimonio richiede unità e indissolubilità anche perché sia stabile e totale il dono di amore verso i figli.[MORE]

Sia l’atto di creare l’unità degli sposi in una sola carne, sia la capacità di viverla nell’amore e nella dedizione, sono frutti resi possibili solo dalla grazia di Dio, accolta nella fedeltà a Lui. Spesso non si considera proprio questa condizione essenziale della missione matrimoniale, che rende possibile anche l’unità e l’indissolubilità: essa richiede il permanere e il crescere nella grazia di Dio, in una relazione di compimento della sua Parola, di preghiera, di comunione nel suo corpo che è la Chiesa. Solo la grazia di Dio permette ai coniugi di perseverare anche nel sacrificio, dove è richiesto, e di offrirlo come vero atto di amore e come via di salvezza e santificazione.

La separazione e il divorzio, pur sciogliendo la vita comune, non dissolvono il vincolo sacramentale che è creato da Dio. La grazia di Dio crea l’unità di una sola carne sulla base del consenso libero e cosciente manifestato dagli sposi per amore nel momento delle nozze. Poiché questa unione non può essere sciolta dall’uomo (Mt 19,6), il vincolo matrimoniale resta valido, nella sua unità e indissolubilità, fino al termine della vita terrena. Da qui scaturisce l’impedimento a celebrare un “nuovo matrimonio”.

Questo impedimento non è dunque da intendere come una pena o una punizione comminate a chi si sia maggiormente addossato la colpa della precedente separazione. L’impedimento è una conseguenza che resta tale per chi ha provocato e per chi ha subito il divorzio, per il fatto che rimane valido il loro matrimonio.

Si potrebbe dunque lamentare: non è giusto che chi ha subito la separazione paghi anche le conseguenze dell’impedimento a celebrare nuove nozze! Sono d’accordo, non è giusto! Ma questa ingiustizia non è certo da imputare all’istituzione matrimoniale, la cui natura indissolubile è piuttosto un’esigenza dell’amore vero, fatto di dono reciproco totale. L’ingiustizia è nell’atto di distruggere il matrimonio, non nella legge della sua verità e della sua santità.

Cosa succede dunque quando la separazione è subita e non voluta da uno dei coniugi? Purtroppo si ripete in questo caso ciò che scaturisce da ogni ingiustizia umana: anche l’innocente viene caricato di una croce da portare. E’ vero, il coniuge abbandonato è caricato della croce di vivere la propria fedeltà al patto matrimoniale senza il sostegno a lui corrispondente, senza la vicinanza della persona con cui formare una sola carne. Si tratta di un vero sacrificio di amore. È un concetto che può essere compreso solo guardando Cristo e con la forza del suo amore. La sua croce è stata causata dall’infedeltà dell’umanità, con cui Egli era venuto a celebrare nozze eterne di fedeltà e di salvezza. Dio stesso si addossa in Cristo il carico del ripudio da parte dell’uomo. E resta fedele. È venuto per amare. Ama quando il suo amore è accolto. Ama fino alla croce quando il suo amore è rifiutato e combattuto. Ama offrendo se stesso.

Chiunque si unisce a Cristo, con lui può portare la propria croce. È santificazione il matrimonio vissuto nella fedeltà del sostegno reciproco. È santificazione anche il matrimonio vissuto forzatamente come croce. In ogni caso, solo in Cristo e nella Madre sua si può trovare la forza di amare e donare se stesso.

Fin qui ho spiegato un principio di fede. Attuarlo nell’esistenza soggettiva non è semplice, lo so. Però ognuno che si trovi in situazioni analoghe può confrontare i dubbi che restano in coscienza in un dialogo di guida spirituale con un sacerdote. Nella preghiera alla Vergine Maria si trova forza e conforto. Nella Confessione e nell’Eucaristia si attinge all’amore più grande, perché i desideri, il cuore, l’anima e lo spirito trovino pace, conforto e pienezza di vita.

Don Francesco Brancaccio

Si ricorda che ognuno può porre i propri dubbi, i propri interrogativi scrivendo al seguente indirizzo di posta elettronica [email protected].

 


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