Il serial killer sadico. Intervista alla Psicologa Chiara Camerani
Criminologia Lazio

Il serial killer sadico. Intervista alla Psicologa Chiara Camerani

lunedì 23 ottobre, 2017

ROMA, 23 OTTOBRE 2017 - Da cosa nasce, in alcuni assassini seriali, l’intenso desiderio di infliggere umiliazione e atroci sofferenze alle vittime? Nella loro mente, a volte, non basta esercitare l’assoluto controllo psicofisico sul soggetto vittimizzato e porre fine in modo efferato alla sua vita, ma avvertono l’incontrollabile ed irrefrenabile impulso di prolungarne l’agonia per trarre il massimo del ‘piacere’.

La Dottoressa Chiara Camerani - Psicologa, dirigente del Centro Europeo di Psicologia Investigazione e Criminologia, docente universitario e scrittrice - ci guiderà alla scoperta delle dinamiche psicologiche più profonde di alcuni serial killer per spiegare da dove ha origine il loro comportamento sadico.

Dottoressa, cosa si intende per sadismo sessuale? Da quali fattori ha origine il fenomeno?
“Il sadismo sessuale è una forma di perversione sessuale. In Psicologia Clinica prende il nome di Parafilia: un insieme di impulsi, fantasie e di comportamenti ‘stabili’ che non sono temporanei ma persistono per almeno sei mesi. Si tratta di un bisogno profondamente interno che provoca eccitazione e soddisfazione sessuale e che si incentra sull’umiliare le persone, infliggere loro sofferenza. Possiamo dire che le persone affette traggono piacere e godono dall’infliggere agli altri il dolore. La perversione deriva da un blocco dello sviluppo psicosessuale in età infantile. Spesso ha origine da traumi, da forme di abuso, anche se il trauma non sempre è qualcosa di così evidente. A volte, può trattarsi anche di un disinvestimento molto forte da parte dei genitori. Nella storia, soprattutto nell’infanzia di molti serial killer sadici, troviamo degli eventi molto gravi e destabilizzanti dal punto di vista psicologico. La perversione sessuale impatta tutte le altre sfere: da quella relazionale a quella dell’identità. Immaginiamo il sadico come un individuo che ha problematiche profonde anche nell’avvicinarsi agli altri. In questo senso, la perversione è un compromesso per riuscire a preservare il piacere sessuale dopo che si è subito un abuso. Oppure è un modo per avvicinarsi alle altre persone quando mancano gli strumenti di base che tutti noi sviluppiamo a seguito di traumi infantili o per altre problematiche. Di fronte ad eventi infantili che hanno minato un po’ la personalità del soggetto, queste persone cercano di superare quelle angosce, cercano di trovare un modo per relazionarsi agli altri. Nel necrofilo sarà quello di rendere l’altro non minaccioso uccidendolo e scegliendo il corpo piuttosto che la persona nella sua interezza. Nel sadico, invece, sarà quello di imporre il proprio potere e il proprio dominio”.

 


Quali sono i comportamenti sadici che un seriale può praticare?
“L’obiettivo del sadico è l’annientamento dell’altro, la deumanizzazione, la sofferenza e di conseguenza le attività del sadico hanno questa funzione: annullare la persona sia dal punto di vista mentale che fisico. Avremo dunque una serie di condotte. Per esempio, lo stupro, dal punto di vista sessuale, diventa un’arma. Non è più uno strumento di sfogo sessuale bensì un modo per offendere ancora di più la vittima. Lo dimostra il fatto che le attività sessuali dei seriali sadici tendono ad essere quelle peggiori, più umilianti. Più frequentemente tendono ad imporre prima di tutto il rapporto anale, poi quello orale e infine, ma non sempre, quello vaginale. Possono usare degli oggetti e tutto ciò che può infliggere maggiore sofferenza. Di contro, amano anche giocare al gatto col topo, illudendo le vittime. Fanno credere loro che in qualche modo possono difendersi o salvarsi. Poi, il seriale prende di nuovo il potere eccitandosi nel carpire lo sconforto, l’angoscia, il panico e la disperazione nelle vittime. In virtù di ciò, il sadico, rispetto ad altri tipi di aggressori sessuali, generalmente tende a tenere con sé le vittime per lungo tempo. Utilizza spesso torture, può strangolare e poi allentare la presa in modo da prolungare il più possibile l’agonia del soggetto vittimizzato”.[MORE]

Qual è la differenza tra il disturbo di personalità sadica e disturbo parafilico da sadismo sessuale?
“Nel disturbo di personalità sadica, i soggetti provano piacere mentale oppure hanno dei tratti caratteriali che li spingono ad imporsi sugli altri, ad umiliarli e a trarre soddisfazione dalla sottomissione, dal dolore e dalla sofferenza altrui. Questi individui, però, non traggono eccitazione sessuale. Nel disturbo parafilico da sadismo sessuale, invece, i soggetti non raggiungono l’eccitazione se non vedono e sentono la sofferenza altrui. Nel sadismo ci può essere connessione con la sessualità, ma non sempre alcuni arrivano al coito. L’aspetto della violenza, della rabbia e della sessualità sono a volte collegati ma non sempre queste persone giungono all’orgasmo fisico. Raggiungono un orgasmo mentale: umiliare, torturare, stuprare con alcuni oggetti diventa ancora più eccitante. Magari, possono masturbarsi in un secondo tempo. Inizialmente, questo aspetto ha un po’ confuso le idee agli addetti ai lavori, che avevano ipotizzato che il serial killer fosse impotente. Tra gli assassini seriali, comunque, c’è una parte di essi che ha problemi di impotenza o disfunzioni sessuali. Molti non hanno queste problematiche e, semplicemente, l’aspetto aggressivo è soddisfacente anche dal punto di vista sessuale anche se non sempre arrivano al coito”.

Secondo alcuni autori, il sadismo potrebbe rappresentare la necessità di affermazione dell’Io. Ci spiegherebbe il significato di questa espressione e se ne è concorde?
“Sono assolutamente d’accordo con questa affermazione. Le ipotesi, in realtà, sono molte. Si parla di una sovversione del trauma, cioè di soggetti che hanno subito abusi da piccoli e un vissuto di impotenza terribile, disorganizzante e che poi, una volta adulti, hanno superato diventando loro stessi gli aggressori. Infliggono ciò che hanno vissuto, ma con la differenza che oggi sono loro a controllare l’evento avendo il potere pur rivivendo l’abuso ed uscendone ‘trionfanti’. Altre interpretazioni hanno a che fare con un forte vissuto di indegnità, incapacità e inadeguatezza che porta ad un crescendo di rabbia e desiderio di rivendicazione, ma anche di percezione degli altri come se fossero una minaccia. Alcuni autori sostengono che il seriale sadico, in un certo senso, leghi, frusti, maltratti la vittima perché convinti che questa non meriti di essere amata”.


Seriale sadico che si avvale dell’arma da taglio. La lama, a livello inconscio, rappresenta sempre il sostituto del pene o ne rafforza la funzione?
“Se vogliamo dare un’interpretazione e un significato psicoanalitico, il coltello è un simbolo fallico. C’è anche il fatto che rispetto ad altri tipi di oggetti offensivi, la lama permette una maggiore vicinanza con l’altro. La scelta dell’arma bianca è spesso legata a livelli molto alti di rabbia. Con il coltello, a differenza della pistola o magari di altre armi, l’offender deve essere vicino alla vittima. E’ come se il seriale volesse sfidare la resistenza della pelle, della carne, e quindi c’è un contatto maggiore. Si sporca, avverte un desiderio più intenso di violenza”

 

Perché accanirsi sul corpo della vittima anche dopo la morte?
“Richard von Krafft-Ebing, psichiatra e neurologo tedesco, quando parla di sadismo si riferisce a diverse relazioni che il soggetto ha con la vittima. L’autore asserisce di una realtà sadica che si può svolgere ad esempio dopo il coito perché in quel caso il rapporto sessuale non è stato soddisfacente o non ha soddisfatto l’impulso, la libidine dell’aggressore e di conseguenza la violenza serve a scaricare la tensione. Oppure, esistono persone che si eccitano con la violenza e non riescono ad avere un coito senza che prima ci siano azioni aggressive e violente. Nell’ultimo caso, la violenza diventa una modalità di eccitazione. Oppure, stando sempre all’autore, la violenza è in sostituzione del coito: l’impulso aggressivo deve sfogare in altre direzioni e quindi può portare a tutta una serie di atti violenti. Nonostante la vittima sia morta, l’assassino ha bisogno di sfogare ancora di più e, in questo caso, ci riferiamo al necrosadismo: si infligge dolore anche quando la vittima è incosciente o quando è morta”.

 

Alcuni serial killer sadici recidono i seni o i genitali femminili. Perché infierire sui simboli della femminilità? Inadeguatezza oppure odio poiché in condizioni ‘normali’ non riuscirebbero a praticare in modo soddisfacente un rapporto sessuale?
“La defemminilizzazione con l’asportazione o comunque il danneggiamento di quelle che sono le aree sessuali della vittima generalmente ha a che fare con un’insicurezza, una paura del femminile. Si asportano gli elementi caratterizzanti che vengono vissuti come estremamente angosciosi o anche, appunto, come risposta ad una rabbia talmente forte verso l’universo femminile da dover annientare le caratteristiche specifiche. Generalmente, quando c’è una componente rabbiosa, però, si trova una scena del crimine nella quale la vittima è posta in posizioni particolari.

Nella maggior parte dei casi, gli assassini seriali sono sani di mente anche se, per i non addetti ai lavori, le loro azioni mettono a dura prova il concetto di sanità mentale. Sono soggetti recuperabili?
“La discussione relativa alla sanità di mente resta aperta, se ne parla ancora molto. Certo è, che se vogliamo associare il discorso alla follia è più difficile: sono pochi gli assassini psicotici e non sono così tanti rispetto agli altri apparentemente ‘normali’. Spesso, alla base vi sono gravi disturbi di personalità. Nel caso del seriale sadico, si riscontra spesso una correlazione con la Psicopatia. Gli individui affetti da tale disturbo avrebbero deficit emozionali, non proverebbero empatia e quindi non riescono a mettersi nei panni degli altri. Non provano pietà, compassione, senso di colpa o rimorso e questa cecità emozionale li porta a commettere un maggior numero di crimini rispetto ad altri tipi di criminali. Quando sono criminali sessuali, la mancanza di emozioni li porta ad essere molto più pericolosi e violenti. I primi studiosi di Psicopatia definirono il disturbo come “mania senza delirio” perché i soggetti che se sono affetti sembrano normali. Il primo studioso al mondo ad occuparsi dei criteri e a dare una definizione di Psicopatia è stato Cleckley. Per l’autore è come se gli psicopatici indossassero la maschera della sanità: sono persone apparentemente normali ma con delle menomazioni a livello emotivo che le porta a commettere atti atroci. Se questo disturbo di personalità si associa al sadismo sessuale, i soggetti affetti sono particolarmente pericolosi e hanno alti livelli di recidive”.

Si ringrazia la Dottoressa Chiara Camerani


Luigi Cacciatori

 

 

 


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