Libia: perché non ci si libera di Gheddafi
Editoriale Lazio

Libia: perché non ci si libera di Gheddafi

lunedì 20 giugno, 2011

TRIPOLI, 20 GIUGNO - I bombardamenti Nato si fanno sempre più pressanti e, da quanto gli alleati vogliono far credere, la fine del rais libico è vicina. I fatti però parlano chiaro: i tempi della missione sono stati prolungati, civili continuano a perdere la vita, i ribelli sono privi di aiuti e la capitolazione del Colonnello sembra quasi un miraggio.[MORE]

Rintanato nel suo bunker, non ha la benché minima intenzione di arrendersi. Come dargli torto. Il problema principale che probabilmente non è stato preso in considerazione (o non si è voluto prendere in considerazione) è solo uno: cosa ha da perdere Gheddafi? Il leader libico lotterà fino alla fine poiché è l’unica cosa che gli resta e utilizzerà tutti i mezzi a disposizione per lottare fino alla sua completa disfatta o fino a quando gli alleati non troveranno migliori teatri di guerra nei quali portare democrazia e difendere i propri interessi economici. Per non parlare poi della brillante idea della Corte Penale Internazionale di chiedere un mandato d’arresto per il Colonnello con l’accusa di crimini contro l’umanità. Gheddafi è così diventato un “morto che cammina” e ciò lo porterà a compiere qualsiasi gesto e provare con ogni mezzo a portare avanti la sua personalissima lotta rivoluzionaria.

Probabilmente l’Occidente ha sottovalutato l’intelligenza, o meglio dire l’estremo fanatismo, di quest’uomo. Egli ora ha una sola carta da giocare: il tempo. La Libia rischia di diventare una nuova Somalia e il rischio che questa guerra civile possa durare ancora molto è quasi certezza. E ciò è proprio quello a cui punta Gheddafi. Il tempo. Quello che viene costantemente sprecato dalla Nato, dalla diplomazia disomogenea occidentale, dalle disquisizioni relative agli interessi economici in Libia, dalle formulazioni di previsioni su una sistemazione futura di questo Paese. Tempo che invece è l’unico aspetto che può aiutare il Colonnello. Vero è che la maggior parte dei pozzi petroliferi si trovano nelle mani dei ribelli e vero è anche il fatto che molti beni della famiglia del Rais sono stati congelati. Rimane il fatto che Gheddafi può contare ancora su una cospicua quantità di denaro e sull’appoggio di alcuni Stati vicini ma anche occidentali.

Nonostante la crociata per la democrazia che le potenze occidentali stanno eroicamente portando avanti, per lo meno a parole, gli interessi in ballo sono troppo alti per riuscire ad eliminare il feroce dittatore. Lo scopo dell’intervento Nato è esplicitamente Gheddafi. Vivo o morto. Ma si continua a sorvolare la Libia e sganciare qualche missile sui civili, nella speranza che, prima o poi, casualmente, qualche bomba finisca esattamente sulla testa del Colonnello. Tanta fretta per la Risoluzione Onu, per la no-fly zone, per l’intervento aereo. Parole minacciose verso il regime, promesse di liberazione e di aiuti per gli eroici insorti, esultanza per il vento di cambiamento nel mondo arabo. Allora perché, rendendosi conto che la situazione è ormai paralizzata, non si opta per un intervento di terra? Fondamentalmente un intervento di terra ridurrebbe di molto la possibilità di vittime civili ma esporrebbe gli alleati agli attacchi delle unità regolari e delle milizie del colonnello libico. I bombardamenti aerei, invece, rendono quasi nulla la possibilità che velivoli della coalizione possano essere abbattuti ma creano molte più vittime civili e danni ad infrastrutture ed edifici.

Grandi proclami, pochi fatti, molte vittime. Se questa, come si sostiene, è una prova di credibilità per Onu, Nato e comunità internazionale (più che altro occidentale), allora l’esito non può che essere, fino ad ora, negativo. A questo punto solo un intervento di una coalizione per via terrestre potrebbe disintegrare il regime che è ancora solamente ferito.

Parlare di una primavera araba è piacevole, quasi utopico. Probabilmente la conclusione che il 2011 sia stato un 1848 del mondo arabo è stata troppo affrettata. In Egitto e Tunisia le rivolte sono iniziate dal basso, i mezzi di comunicazione hanno giocato il loro ruolo fondamentale, come anche la richiesta di diritti e di democrazia. Ma non bisogna sorvolare sul fatto che il sovvertimento del regime è avvenuto grazie ad un colpo di stato in cui i militari hanno avuto un peso consistente. Ora si spera che i nuovi governi possano avviare processi democratici e mettere fine ad un lungo periodo di violazioni di diritti e regimi dittatoriali e personalistici. Ma nessuno ci assicura che da questi nuovi governi non possano arrivare aiuti per il leader libico.

Un altro aspetto che è necessario considerare per poter comprendere le difficoltà di una fine immediata della guerra civile libica è anche l’inconsistenza numerica della popolazione e la totale assenza di una Nazione. A differenza di Egitto, Tunisia, Siria, in Libia non esiste un’unica Nazione. In questo Paese, grande quasi sei volte l’Italia, sono presenti solo 7 milioni di persone e le due principali città, Tripoli e Bengasi, sono lontane geograficamente ma soprattutto storicamente. La Cirenaica, regione in cui ora si trovano gli insorti, è da sempre stata ostile al regime e Bengasi è stata più volte il centro nevralgico di proteste e scontri. Ma è sbagliato anche parlare di due fazioni contrapposte, lealisti e ribelli. In realtà anche tra i ribelli non esiste un fronte unico. La particolarità della Libia sta proprio nell’esistenza delle numerose tribù. Le tribù della Cirenaica sono già in lotta contro il Rais. Il maggiore storico del colonialismo italiano, Angelo Del Boca, sostiene che se anche le tribù della Tripolitania si uniranno agli insorti allora la fine di Gheddafi sarà vicina. Le comunità tribali presenti nel Paese, Tebu, Tuareg, Zawiya, Warfalla, costituiscono i principali fattori di instabilità dell’unità nazionale e soprattutto hanno una forte tendenza a cambiare campo facilmente e ad essere imprevedibili. A maggior ragione se un uomo dell’importanza di Gheddafi è disposto a pagare per comprare la loro fedeltà. Anche l’esercito è costituito da appartenenti a diverse tribù e ciò è stato forse un elemento a sfavore del Colonnello. Numerose sono state, infatti, le defezioni poiché, giunto il momento di scontrarsi con la popolazione, molti soldati hanno scelto di schierarsi con la propria tribù.

Il punto fondamentale è che la Nazione in Libia era Gheddafi. E il problema che ne segue costituisce un altro motivo di difficoltà per la conclusione di questa guerra: chi governerà nel post - Gheddafi? In un territorio privo di Nazione e di Stato, la sconfitta di un dittatore può aprire la strada ai più disparati scenari. Ed ecco che si ipotizza una nuova Somalia, o la presa del potere da parte di fondamentalisti islamici, oppure un intervento internazionale, che però rischierebbe di sembrare (o forse è) una nuova colonizzazione. Quest’ultima ipotesi è forse la più probabile non tanto perché urge fermare i massacri e le stragi di civili, ma poiché uno stallo della guerra civile sarebbe solo uno spreco di risorse per l’Occidente e gli interessi in gioco sono troppo elevati. O con Gheddafi o con gli insorti, il petrolio ed il gas sono necessari, non importa quale sia l’interlocutore, l’importante è che si ritorni alla “normalità”.

Filomena Maria Fittipaldi


Autore
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