Psicologia di una Colonia: Il Sud deve evadere dal carcere mentale!
Societa' Campania Napoli

Psicologia di una Colonia: Il Sud deve evadere dal carcere mentale!

domenica 14 giugno, 2020

NAPOLI, 15 GIU - Mi si perdonerà lo stile che andrò ad adoperare di seguito, di certo non un classico stile giornalistico, ma ho le mie ragioni. Innanzi tutto voglio premettere di non essere un neoborbonico, poiché sono un repubblicano. Perché questa premessa? Perché ormai nel mainstream italico si usa bollare chiunque adduca tesi meridionaliste come un neoborbonico, al fine di sminuire le tesi riportate (non importa se solide e certificate); con questo non voglio sminuire i neoborbonici di cui non ho mai letto nulla, semplicemente prendo atto che questa particolare etichetta venga usata come fallacia logica per evitare di rispondere argomentando.

Non è prettamente di storia che voglio parlare, ma per lo più di un fenomeno sociologico, molto ben documentato dalla letteratura scientifica, ovvero quello che concerne e comporta la "psicologia dei vinti". Perché una parte della "popolazione italiana" è fatta da vinti (altro che "unione", ci fu una guerra subdola e sanguinosa), in quanto ci fu un'annessione di un regno ad un altro! Questa unione per altro fu fatta con un bagno di sangue che comportò un vero e proprio genocidio. Molti storici vorrebbero far passare la tesi secondo cui molti al Sud fossero felici di essere stati conquistati dai piemontesi, sebbene così non si spiegherebbero le feroci rivolte durate per 10 anni dal 1861 al 1871; rivolte che si risolsero solo dopo una spietata repressione, che comportò: 1 milione di vittime, oltre 100.000 deportati (al minimo, dai documenti che sono emersi fino ad ora), 58 paesi rasi al suolo e oltre 5000 prigionieri condannati a morte (fonte "Carnefici" di Pino Aprile, il quale, sebbene non sia uno storico, a sua volta riporta meticolosamente tutte le prove e le fonti di questi numeri).

Molti dei più famosi detrattori di questa opera di revisionismo storico, che sta prendendo sempre più piede in modo esponenziale (ad esempio, vivendo in Polonia per lavoro, ho recentemente scoperto il lavoro del professor Jacek Bartyzel, storico dell'Università di Torun che, tra i tanti studiosi del mondo, ha sposato a pieno le tesi del revisionismo sul "Risorgimento"), sono spesso dei meridionali (anche quando messi di fronte ad evidenze innegabili). Ciò non deve sorprendere, è un fenomeno in piena linea con il fenomeno psicologico a cui accennavo prima, quello del vinto che come meccanismo di difesa cerca un suo posto nella storia raccontata dal vincitore, pur di farne almeno parte.

Bisogna considerare un altro fattore, che è tipico di tutti i colonialismi europei che si sono susseguiti nei secoli passati, quello che potremmo chiamare "uccisione della storia". Questa era una tecnica tipica dei gesuiti, e veniva adoperata da tutti i popoli cattolici quando gli europei conquistavano alcune zone di altri continenti; come prima cosa i gesuiti uccidevano gli sciamani dei popoli indigeni, per recidere il loro legame con il proprio passato (sciamano è una parola che viene dal sanscrito, vuol dire "uomo che sa"; di sciamano in sciamano si trasmettevano le conoscenze e quell'insieme di saperi che le popolazioni si tramandavano di generazione in generazione). In questo modo i popoli perdevano la propria identità e diventavano malleabili (ricordiamo che, come diceva Foucault, "sapere è potere") ed era possibile instillare in loro il senso di colpa, che è un potentissimo strumento di controllo. 

Perché questo lungo "pippotto" introduttivo? Perché è esattamente questo il punto cruciale del mio scritto: si è cominciato a raccontare una storia fittizia che prevede che il Sud sia sempre stato povero. E perché si è voluto raccontare questa menzogna? Perché così si è potuto giustificare lo sciacallaggio coloniale perpetrato a danno dei meridionali da più di 150 anni. Perché raccontando che il Sud sia sempre stato povero, si possono attribuire le condizioni attuali di povertà ad una mentalità intrinseca dei cittadini meridionali, mascherando un furto di risorse sistematico e indecente (oltre che illegale, in quanto la Costituzione, come vedremo più avanti, prevede dei meccanismi che non vengono applicati... come i LEP).

Uno studioso del calibro di Piero Bocchiaro, autore del libro "La psicologia del male", arriva a descrivere il sistema Italia come un carcere... e, a suo avviso, i carcerati sono i meridionali, fin da quando il Regno delle Due Sicilie fu conquistato e depredato delle sue grandissime ricchezze (il tutto argomentato e dimostrato con passaggi matematici). Questo "peccato originale" di essere terrone ancora esiste ed è alimentato del razzismo territoriale mediatico che è costante in Italia (eredità delle teorie razziali che vigevano nel regno d'Italia, vedasi le teorie pseudoscientifiche di Lombroso, molto in voga in quel tempo). Gli esempi sono innumerevoli, se si vogliono esaminare le storture e le ingiustizie di questo sistema che prevede due pesi e due misure quando si parla dei meridionali e dei settentrionali. Diciamo che fa comodo raccontarsi la storiella di essere più bravi e meritare il proprio benessere, quando si gode dello sciacallaggio sistematico dei fondi destinati a qualcun altro (questo per altro lo fanno tutti i popoli occidentali con gli altri popoli, oggi come un tempo; sebbene soltanto in Italia questo meccanismo si verifica all'interno della stesso Stato).

Il punto cruciale è quindi questo: il Sud era più ricco del Nord prima dell'unità d'Italia, mentre oggi è estremamente più povero. Come è possibile? Buona lettura!

Che l'economia del Regno delle Due Sicilie fosse superiore a quelle del Nord Italia è acclarato da diversi fonti autorevoli e autorità scientifiche in economia. Ne cito alcuni:
- Vito Tanzi (una delle massime autorità scientifiche del Fondo Monetario Internazionale), docente alla Washington University (che scrisse il libro "Italica", prendendosi un anno sabbatico per studiare l'unità d'Italia dal punto di vista economico finanziario);
- Dipartimento di storia dell'economia di Bruxelles;
- Uffici degli studi della banca d'Italia.

La verità, come dimostra il professor Vittorio Daniele, è che, al momento dell'unità, l'indice Gini (indice con cui si misurano le ineguaglianze sociali di un sistema economico) tra nord e Sud era uguale; mentre prima dell'unità (quindi al massimo del Regno delle Due Sicilie) dimostra che nelle zone della pianura padana fosse di 4 punti più alto che nel Regno delle Due Sicilie (cioè che ci fosse più povertà; i ricchi al Nord erano più ricchi e i poveri più poveri).

PS da quel momento sarebbe interessante vedere come fu ripartita la spesa sociale; oltre ciò fu instaurata la leva obbligatoria, che prima al Sud non esisteva (in quanto esisteva un esercito di professionisti), sottraendo la forza lavoro a chi viveva di agricoltura, che si vide subissato da tasse che non poteva pagare... soldi delle tasse che finivano quasi interamente al Nord (per finanziare la spesa sociale delle regioni settentrionali e la costruzione del triangolo industriale).

In Italia più del 50% delle persone impiegate nelle industrie erano nel regno delle Due Sicilie (alla fine dell'articolo allego il link di un video in cui sono elencate alcune delle eccellenze industriali presenti nelle regioni meridionali fino al 1861).
Poco più dei due terzi di tutti i braccianti italiani erano impiegati nei campi del Nord (meno di un terzo nel regno delle Due Sicilie).
Quasi la metà di tutti i commercianti italici erano nel regno delle Due Sicilie.
Se si vuol fare la proporzione interna al Regno, solo il 60% lavorava nei campi (ma in tutti gli altri statarelli italici la proporzione era ben più alta, perché il Regno delle due Sicilie era il più industrializzato).
Quasi tutto l'oro era delle casse del Regno delle due Sicilie; poi certamente c'era tanta povertà, ma il welfare era molto superiore a quello delle zone del nord (ecco perché non c'era emigrazione); erano altri tempi e ovunque c'era povertà (al Sud però non si moriva di fame; a differenza del nord, dove pare che un ventenne su due fosse scartato dalla leva militare perché debilitato e denutrito).

La sostanza è: al Sud non si emigrava per tutti questi motivi elencati, al Nord emigravano in massa (dal Veneto, ora ricchissimo ad esempio, tantissimi).

Le industrie smantellate e ricostruite al Nord hanno creato un meccanismo coloniale e di dipendenza economica (Camilleri, per fare solo un esempio, ricordava spesso di migliaia di telai presenti in Sicilia, smantellati dopo l' "unità" e ricostruiti a Biella; vale per l'industria della Seta catanzarese, ricostruita nel bresciano, etc...). Ancora oggi il Sud è colonia e compra oltre i due terzi di quello che il Nord esporta (come disse Carlo Bombrini, "il Mezzogiorno non dovrà più essere in grado di intraprendere").
Il rapporto Openpolis dimostra come al Sud manchino almeno 61 miliardi all'anno dal 2009 ad oggi (poiché non vengono applicati i Livelli Essenziali delle Prestazioni e nella redistribuzione ci si basa sulla Spesa Storica che ha visto ripartire i fondi con un netto vantaggio per le regioni del nord).
Senza contare che in Italia la sola Lombardia ha più treni che 8 regioni che insieme fanno il 41% del territorio (Calabria, Sicilia, Campania, Puglia, Basilicata, Molise, Abruzzo e Sardegna); e va detto che in queste regioni si trovano tratte antiquate (alcune di fine 800 e quindi non ancora elettrificate) e treni vecchi e scadenti, scartati dalle regioni del Nord; oppure pensiamo ai 4 miliardi in meno all'anno alla sanità del Sud (che vuol dire altri 4,5 miliardi di euro all'anno di rimborsi alle strutture del Nord per pazienti del Sud che ai spostano)...

In conclusione, le regioni del Sud non sono povere per una ragione atavica o per una sorta di inferiorità genetica, la causa è evidente ed è "esterna": è una classica ragione coloniale che dura da troppi decenni ormai. Sarebbe ora che i meridionali prendessero coscienza di ciò e cominciassero a prendere in mano le redini del proprio destino, ricordando che si fa politica anche nelle piccole cose, ad esempio anche scegliendo di comprare prodotti del Sud, per incentivare le aziende autoctone e rompere il meccanismo di dipendenza economica. In fine è essenziale fare fronte comune tra le varie regioni, indipendentemente dal colore politico delle varie giunte regionali (come fanno le regioni del Nord quando ad esempio chiedono le autonomie) per chiedere a gran voce ed ottenere la giusta redistribuzione dei fondi. 


Di seguito il link di una bellissima puntata del programma Ulisse, di Alberto Angela, di cui riporto scritto un piccolo estratto della presentazione:

"Su questo regno si è detto molto. È opinione diffusa che fosse un mondo retrogrado, con una povertà diffusa e soprattutto (ride) una burocrazia lenta, farraginosa e corrotta. Invece non è così, anzi, era persino all'avanguardia in Europa nella tecnologia, nell'industria, nell'economia e soprattutto era ricchissimo di cultura e di tesori."


Video in cui, nella prima parte, sono riportate alcune eccellenze industriali mondiali in quel periodo, presenti nel Regno delle Due Sicilie: 

 


Eduardo Fazzari


Autore
https://www.infooggi.it - Il Diritto Di Sapere

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