Bangladesi in Italia e le scelte di Hobson
Editoriale Campania

Bangladesi in Italia e le scelte di Hobson

martedì 14 luglio, 2015

PALMA CAMPANIA, 13 LUGLIO 2015 – «Solo una cortesia: possiamo tornare a casa prima di mezzanotte? Domani devo lavorare!», disse R., nel suo italiano maciullato ma elegante, corretto. Fu un venerdì sera di gennaio, quando avevo invitato R., bangladese di appena 19 anni, ad una serata a casa di amici; erano le 22.00 quando limitò i nostri tempi, e avevamo pure qualche chilometro da fare. Me lo disse con l'aria incantata di un Cenerentolo Moderno a cui era stato concesso un ballo in mezzo agli italiani, per la prima volta; una magia insolita, che si infrangeva sulle rocce di una sveglia all'alba, il giorno dopo, e l'immersione nelle sue quotidiane ore di lavoro.

R. è un nome, anzi una lettera di fantasia. L'ho scelta a caso: ho aperto un libro – a caso –, ho aperto una pagina – pure a caso –, e quella pagina cominciava con la lettera R. Ché tanto R., per molti aspetti, non esiste. Non per tutti gli aspetti, ma per molti. E non lo dico per stuzzicare commozione o per puro istinto di retorica, no no: R. non esiste davvero per esempio già nel suo contratto di lavoro, un foglio di carta necessario affinché lui possa rinnovare il suo permesso di soggiorno, che sulla carta gli garantirebbe (sic) quattro euro all'ora, ma che nella pratica non ne guadagna più di due; non esiste nemmeno per la comunità in cui ha scelto di vivere, ché forse non l'ha mai visto, forse, perché R. non ha tempo di uscire, deve lavorare, dodici, tredici ore al giorno, pure di sabato e di domenica, se serve, per garantirsi i suoi 500 euro al mese, per l'affitto e le utenze e tutto il resto; esiste però quando cucina, R., che dalla finestra che affaccia sulla strada lascia impregnare l'aria di un laido odore di cipolla, che tanto intacca gli olfatti e tanto disgusta i palati raffinati dei cittadini di Palma Campania, o esiste quando, in fila alle poste, il pungente odore della pelle di R. ripugna i frengi dal Ph delicato. R. insomma c'è e non c'è, esiste a tratti e fino a un certo punto; quella sera di gennaio, però, a bordo di quella zucca a metano, si sentiva straordinariamente vivo.

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R. ha affollato lo Stivale come tanti dei suoi compatrioti han fatto negli ultimi vent'anni: la comunità bangladese ha infatti avuto una crescita esponenziale in pochi decenni in numerose realtà italiane. Prima di tutto nelle grandi città, Roma e Milano, ma anche in centri minori come Monfalcone e Arzignano, piccole realtà nelle quali la necessità di forza lavoro in due o tre settori specifici ha attirato le grandi masse del subcontinente indiano dirette verso l'Europa. Stando ai dati del sito comuni-italiani.it, e prendendo in esame nello specifico cinque città (Roma, Milano, Monfalcone e Arzignano, più Palma Campania, in provincia di Napoli), nel 2010 facendo una media tra popolazione e numero di bangladesi – residenti – il primo posto se lo aggiudica Monfalcone, con un 5,2% (27.856 abitanti e 1.455 bangladesi con regolare residenza); al secondo posto, invece, Arzignano si becca un bel 4,3% (25.957 abitanti e 1.126 bangladesi residenti); medaglia di bronzo per Palma Campania, con un 3,2% (15.170 abitanti e 486 bangladesi residenti), mentre Roma e Milano, con i loro milioni di abitanti, spengono i riflettori di questa speciale classifica rispettivamente dietro un 1,08% e uno 0,5%.

E questo nel 2010. Ciò che spinge a trasportare tutte le luci di scena verso la provincia di Napoli è il semplice fatto che nel giro di appena quattro anni Palma Campania riesce a farsi parecchia strada sul podio: i rapporti e le percentuali le fanno scavalcare sia Arzignano, in calo a 3,54% (25.925 abitanti contro 917 bangladesi residenti), sia Monfalcone, che sale sì a una percentuale di 8,25% (22.605 abitanti contro 1.866 bangladesi residenti) ma nel frattempo Palma Campania ha quasi triplicato con un sonoro 9,43% (13.982 abitanti contro 1.318 bangladesi residenti), tanto da guadagnarsi il titolo nazionale di “Reginetta dalla percentuale più alta”.

I dati sopra elencati sono aggiornati al mese di marzo 2015, e ovviamente non considerano i tanti irregolari che vivono in Italia. Nella sola Palma Campania, rumors e voci di corridoio portano il numero dei bangladesi a oltre 5.000 unità.

Perché l'Italia: i flussi stagionali

Quella sera con R. ho preferito lasciare completamente la parola a un suo racconto verosimile, una sorta di raccolta di tutto ciò che si dice e che si sa, ma che nessuno dice o nessuno vuol sapere. Nell'umiltà di considerare un lavoro del genere “limitato” per parecchi aspetti, ho lasciato che R. parlasse un po' al posto mio e di tante altre cose e persone. R. aveva raggiunto l'Italia all'età di 16 anni, e da minorenne era arrivato prima nei pressi di Santa Maria Capua Vetere in un centro di accoglienza per minori, poi raggiunta la maggiore età e una carta di identità s'era spostato a Melito in Campania, dove aveva avuto la fortuna e la tenacia di ascoltare una «santa donna», come la chiamava lui, che in poco tempo era riuscito a cavargli di bocca tra le migliori articolazioni romanze che avevo mai ascoltato da un cittadino straniero.
R. riusciva ad avere una padronanza della lingua italiana superiore alla media, ed era sempre lì pronto a mettere in discussione le sue conoscenze, chiedendo e facendo errori come solo un testardo studente di lingue sa fare.

«Da Melito poi sono venuto a Palma Campania, dove c'erano i miei fratelli. Adesso sono io che gestisco tutte le faccende burocratiche, grazie al mio italiano», continuava a dirmi, mentre la mia auto proseguiva nel buio dell'agro nocerino-sarnese. «In tanti arrivano qui in Italia grazie ai flussi stagionali, tu sai cosa sono i flussi stagionali?».

I flussi stagionali sono autorizzazioni che il governo italiano concede a lavoratori stranieri per poter entrare regolarmente in Italia. Partono in sostanza da richieste fatte da associazioni di categoria – normalmente dell'agricoltura, marginalmente per il settore del turismo – con la necessità di ricevere mano d'opera in determinati periodi dell'anno. Il governo stabilisce il numero di manodopera straniera esatto che può arrivare in Italia tra una rosa di paesi, in genere dovuta a specifici rapporti bilaterali che l'Italia ha intrapreso con essi.

In linea di massima, però, le pratiche burocratiche, già complesse di loro, diventano particolarmente articolate quando si scontrano con la corruzione, che nel caso del Bangladesh è particolarmente dilagante: il bangladese giunge in Italia in un periodo in cui sia il suo permesso di lavoro sia il periodo di lavoro per il quale l'azienda lo aveva chiamato per lavorare sono in effetti già scaduti. «Arriviamo qua già clandestini, nonostante abbiamo tutte le carte in regola», cercava di sintetizzare R., «è come se si creassero automaticamente dei “Clandestini Legali”», ironizzò poi. «Se ci pensi un attimo, perché io dovrei chiamare uno straniero che non ho mai visto, che non conosco? A lavorare nella mia fabbrica, a raccogliere i miei pomodori?».
 

La condizione di clandestinità è la naturale anticamera della ricattabilità, un terreno fertile dove economia sommersa e criminalità sguazzano. Dalle parole di R., anche quelle non dette, quelle che non aveva il coraggio di dire, trapelavano le migliaia di euro che spesso una semplicissima operazione di un bangladese necessita, richieste fino a 5.000 euro per un pezzo di carta da passare rigorosamente sotto banco. Non è manco fatto tanto raro che spesso bangladesi residenti sul territorio da più tempo mediano con i propri connazionali appena arrivati, non trascurando l'aspetto di altissime richieste economiche, com'è prassi nel territorio italiano. La figura ha addirittura un nome, l'adam bepari, una sorta di 'sanzaro' ma senza le distintive calze rosse. «Noi sappiamo che qua in Italia funziona così, che con i soldi puoi comprare tutto. E allora lavoriamo tanto anche per questo». Incastrati in un paese lontano migliaia di miglia dal proprio, dove la sola soluzione per tanti bangladesi è l'attesa della prossima sanatoria, l'unica scelta possibile da compiere è la Scelta di Hobson: come diceva Thomas Ward nel 1912, “where to elect there is but one, 'tis Hobson's choice – take that or none”. I paradossi dell'immigrazione in Italia – e negli ultimi tempi di esempi in negativo non mancano – hanno sostrati interessanti, che sarebbero da soli capaci implicitamente di descrivere milioni di ombre del nostro paese, così com'è diventato oggi.

I rapporti con i locali

R. è giovane rispetto ai suoi due fratelli, che invece hanno entrambi un'età poco al di sotto dei 40 anni. Sanno che R. è un ragazzo spigliato e intelligente, e soprattutto parla molto bene l'italiano. «Mio fratello mi impedisce di uscire di casa da solo, preferisce stare sempre con me. Ha paura che nella mia ingenuità io posso 'parlare troppo', dire cose che non devo dire», mi spiegò R., sposando appieno le ragioni di chi ritiene che “la comunità bangladese a Palma è una comunità chiusa, poco aperta al dialogo”, coloro che in questo modo riescono a scrollarsi di dosso il peso della propria accidia, nella volontà di creare un rispettoso contatto. Sarà anche vero che la comunità “non brilli in quanto a comunicazione”, ma il problema pare non essere soltanto culturale. Non sarebbe da sottovalutare la possibilità che giungere in un paese che ti costringe a vivere di sotterfugi e di illegalità ti farà probabilmente guardare bene da instaurare tanti rapporti interpersonali. Lo stesso R. sembrava addestrato al punto da “parlare fino a un certo punto”, e difatti numerosi aspetti 'torbidi' delle sue vicissitudini in Italia ha preferito tenerli completamente nascosti.


Palma Campania è un paese abituato alle comunità di stranieri: prima erano gli ucraini, poi i magrebini, e nel corso degli ultimi decenni tante ne sono passate, finché non sono apparsi i primi bangladesi, volgarmente detti 'i bangladesh' o più genericamente 'gli indiani'. E gli 'indiani' cosiddetti erano pure 'i bravi stranieri', quelli che 'non danno fastidio, sono tutti bravi'. Il problema è giunto dopo, quando la comunità ha avuto una crescita esponenziale, e da quel momento da un 'tutti bravi' sono diventati che 'son troppi, che se ne tornino a casa loro, puzzano e hanno malattie infettive', sposando appieno la rottura dell'argine tipica dei giorni nostri. Proverbiale caso di xenofobia cavalcante, in uno pseudo-delirio di timore di invasione imminente.
 

Ordinanze palmesi

La situazione è un po' sfuggita di mano sia all'opinione pubblica sia alle varie autorità competenti del paese. Non è una novità che l'odio è l'oppio dei più deboli, di quelli che sentono tutto come una minaccia ai propri equilibri. Da un punto di vista sociale, la crescita della comunità bangladese unita a una sua spiccata propensione alla libera iniziativa – specie con l'apertura di attività commerciali – è stata probabilmente interpretata dai tanti come una minaccia al tessuto economico locale, spesso additata indirettamente come “concorrenza sleale” per un mero fatto di provenienza geografica. (Con una brevissima parentesi, sarebbe interessante contare, per esempio, quante pizzerie hanno aperto negli Stati Uniti nei primi decenni dello scorso secolo).

La situazione, se la si lascia alla mercé del 'giudizio facile', sfuggirebbe di mano ben due volte: se il problema fosse l'enorme ondata di nuovi possibili acquirenti, che però preferiscono spendere nelle botteghe dei propri connazionali, è facile sentir parlare di: 'Che andassero ad aprirsi i locali a casa loro'; se invece il problema è l'Economia in sé danneggiata, non è da sottovalutare comunque che i bangladesi affitteranno locali commerciali, che in linea di massima sono di proprietà degli indigeni, e che se ad esempio si apre un negozio di frutta e verdura di certo non si attende che un piede di lattuga arrivi dal subcontinente indiano, bensì da qualche agricoltore locale, e non mi pare che faccia male, almeno per il settore, qualche commerciante in più, economicamente parlando.
A riguardo, il comune di Palma Campania ha pensato bene di regolamentare l'apertura delle attività commerciali con una controversa delibera – in corso già da due anni – che limita di fatto l'apertura di esercizi come drogherie, money-transfer, phone-center et similia, insomma le principali attività commerciali che in linea di massima vengono scelte dai cittadini stranieri. A pensar bene la delibera altro non decreta che una 'fatale coincidenza'. Una delle motivazioni 'ufficiose', e se non prettamente 'popolari' o azzarderei 'populiste', era quella di “veder deturpato il centro storico del paese dai troppi negozi, tutti uguali”; al momento la delibera prevista per l'anno 2015 è stata sospesa, previo ricorso al TAR, perché sembrerebbe in contrasto con l'articolo 42 della Costituzione.
 

È tutt'ora in corso l’ ordinanza del Comune di Palma Campania, denominata “Ordinanza Anti-sputo”, che riportiamo di seguito:


IL SINDACO
PREMESSO
 Che l'insediamento sul territorio comunale di cittadini e dimoranti appartenenti
a diverse etnie, aventi culture, usi e costumi differenti, richiede una maggiore 
sensibilizzazione verso quelle attività che sono fonte di preoccupazione per la 
cittadinanza locale, nonché una maggiore attenzione da parte degli operatori preposti
al controllo, sull'osservanza di tutte quelle norme di convivenza civile che regolano i
rapporti tra cittadini appartenenti ad una determinata comunità;
CONSIDERATO 
Che l'atto di sputare, in luogo pubblico e/o privato ad uso pubblico, rappresenta una
problematica per la comunità locale;
[…]
ORDINA 
E' vietato, per la finalità di cui sopra, sputare su area pubblica, ad uso pubblico,
 o da luoghi, anche privati, ma con aggetto su area pubblica o ad uso pubblico, nonché
 su qualunque attrezzatura, persona o cosa.
[…]

Dunque sputare diventa un fatto culturale. Sanzionabile. Alla lettura mi sovvenne subito un particolare.

Mia nonna.

Mia nonna è tra quelle persone che non s'è fatta abbindolare dalla modernità, è rimasta fedele alla propria natura di Donna Contadina (il maiuscolo non è un caso), e culturalmente non ha mai visto altro lembo di terra al di fuori dell'agro nocerino-sarnese: nata a Lavorate di Sarno e sposata a Palma Campania. Eppure mia nonna Sputa. E quando lo fa, è capace di essere pure particolarmente – e fastidiosamente – rumorosa. Mia nonna è pure ignara di una misura quale rappresenta il suddetto provvedimento, ma oltre al fatto di non essere informata, probabilmente lo troverebbe pure piuttosto stupido, ridicolo. Lei, dico, mia nonna.

È triste, in piena onestà, doversi soffermare su determinati aspetti, è culturalmente puerile, una sorta di calcio allo scroto dell'intelligenza.

Il cricket e la fuga da Palma Campania

Eravamo nel frattempo giunti a casa dei miei amici, alle 22.30. Già dalle scale, R. era sprofondato in una timidezza abissale, un misto tra educazione e 'ansia da prestazione'. Prese posto al tavolo con tutti noi, evitava pedissequamente le nostre bottiglie di birra, e faceva fatica ad interagire pienamente. Divenne mia premura coinvolgerlo nelle conversazioni, facilitato dalla presenza di amici più accomodanti di un sofà. Ci volle ben poco, prima che R. cominciasse ad aprirsi pienamente. Espandeva un sorriso mosso da genuina curiosità verso una nuova cultura, ma soprattutto dal sentirsi per la prima volta 'accettato' al tavolo con tre italiani e completamente alla pari. Dilagò senza limiti nella conversazione, che a tratti e a un certo punto pareva un fiume in piena.

Guardai l'orologio e notai che erano quasi le 23.30. Per sua stessa sollecitazione, lasciai intendere che avremmo dovuto avviarci, se volevamo rientrare a casa prima della mezzanotte, o comunque non troppo tardi. R. reagì con un silenzio triste, «Ti prego, restiamo un altro po' qui». «Ma lo dico per te, R.!, che domani devi lavorare!», «Non mi interessa, adesso. Io so solo che in questo momento il mio posto è qui. Su questa sedia».

Qualche giorno dopo andammo insieme ad assistere ad una partita di cricket. Nello spazio limitrofo alla caserma dei carabinieri di Palma Campania, ogni domenica pomeriggio si riuniscono numerosi bangladesi per giocare al loro sport nazionale preferito. S'erano creati una bella consolazione, tutto sommato, un sano svago alle alienanti ore feriali che più o meno tutti sono costretti ad affrontare. Io di cricket non ne sapevo niente, troppo da Commonwealth per quanto mi riguardava, e in fondo ero curioso di conoscerlo meglio, così che mi recai sul luogo insieme a R. che poteva spiegarmi tutte le sue regole. «Sei stanco?», gli chiesi, «Certo!», rispose ironico, «Lavoro sempre, lavoro, lavoro... e mi stanco!», sorrise, «Lo so che sono giovane, e che io adesso devo lavorare, e la fortuna è che ho tanta salute, ma a volte sono davvero stanco».

«E poi», continuò, «Devo dirti una cosa che non ti ho ancora detto. Tra una settimana parto. Vado a Milano, cerco un lavoro migliore, e un posto che può darmi di più». Era triste R., quando me lo disse, ma conservava ancora una carica energetica di quelle invidiabili, pronto a cambiare di nuovo e ad affrontare nuove sfide, che ancora gli mancavano quattro lunghi anni prima di ritornare un po' in Bangladesh, e riabbracciare la madre. La scelta di R. di allontanarsi da Palma è una scelta condivisa da tanti bangladesi presenti sul territorio comunale. Già da qualche anno, infatti, è cominciato un esodo, prima nei paesi limitrofi, poi verso altre città italiane, infine nella sicura Gran Bretagna, che per questioni post-coloniali è abituata a un certo tipo di 'differenze'.

Alla notizia della partenza di R. non riuscii a cogliere il modo migliore di reagire; fui impunemente pervaso da un terribile senso di frustrazione, per la verità, da una sorta di fallimento, da un punto di vista sociale. O piuttosto umano, prima di tutto.

Foto: Dino Buonaiuto

Dino Buonaiuto


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