In caso di condanna a un non facere risponde in proprio il conduttore subentrante in un immobile
L'Avvocato INFOrma Calabria Crotone

In caso di condanna a un non facere risponde in proprio il conduttore subentrante in un immobile

lunedì 28 dicembre, 2020

CROTONE, 28 DICEMBRE - L’accertamento contenuto nella sentenza costituente titolo esecutivo relativo allo svolgimento all’interno di un immobile di una attività contraria al regolamento di condominio produce effetti anche nei confronti di un nuovo e diverso conduttore che ha conseguito la detenzione dell’immobile solo dopo la formazione del suddetto titolo esecutivo. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza n. 29131/2020, depositata il 18 dicembre.

Il caso. Due condomini proponevano opposizione all’esecuzione, ai sensi dell’art. 615 c.p.c., avverso l’atto di precetto di pagamento loro intimato da un’altra condomina sulla base di titolo esecutivo costituito da una sentenza che li aveva condannati al pagamento di una somma di danaro ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c., per ogni giorno di inosservanza al divieto di svolgimento, in un appartamento di loro proprietà, di una determinata attività contraria al regolamento di condominio. L’opposizione veniva rigettata dal giudice di primo grado e tale pronuncia veniva confermato dalla Corte di Appello distrettuale.

 

Avverso tale sentenza gli appellanti proponevano ricorso per cassazione eccependo la violazione dell’art. 2909 c.c., dell’art. 24 Cost., nonché degli artt. 2043 c.c. e 3 e 24, comma 1, Cost., art. 6, comma 1, Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. La Suprema Corte evidenziava la manifesta infondatezza e la parziale inammissibilità della censura mossa dai ricorrenti riguardo al fatto che l’accertamento contenuto nel titolo esecutivo non aveva valore in relazione all’attività svolta da una nuova conduttrice dell’immobile, subentrata alla precedente dopo l’emanazione della sentenza di primo grado. I Giudici di legittimità ritenevano che, come correttamente osservato dalla Corte di Appello distrettuale, la pronuncia di cui al titolo esecutivo consistente nella condanna a cessare lo svolgimento dell’attività ritenuta contraria al regolamento di condominio nell’immobile dei ricorrenti, era stata emessa anche direttamente nei confronti di questi ultimi, così come la condanna al pagamento di una somma di denaro per l’eventuale inosservanza dell’obbligo.

Conseguentemente, il titolo aveva efficacia diretta nei loro confronti, anche nella parte relativa al pagamento della somma di denaro per l’inosservanza dell’obbligo di non facere, ai sensi dell’art. 614-bis c.p.c., per il solo fatto che l’attività vietata aveva continuato ad essere svolto nel loro immobile, e questo indipendentemente del relativo conduttore la cui la mancata partecipazione al giudizio era irrilevante. Con riguardo all’accertamento della violazione del divieto sanzionato nel titolo con il pagamento di una somma di denaro, la censura risultava inammissibile; la Corte condividendo quanto accertato dalla Corte di Appello, riteneva che l’attività originariamente svolta dalla prima conduttrice, aveva continuato ad essere svolta nei locali di proprietà dei ricorrenti anche dalla nuova conduttrice che aveva di fatto riaperto la medesima attività contraria al regolamento condominiale. Si trattava di accertamenti di fatto operati dalla Corte territoriale sulla base della valutazione del materiale istruttorio acquisito nel corso del giudizio.

Ciò era a dirsi, diversamente da quanto sostenuto dei ricorrenti, anche con riguardo all’interpretazione dell’effettivo contenuto del titolo esecutivo, in base al costante indirizzo della Corte di legittimità (che il ricorso non conteneva argomenti idonei ad indurre a rivedere) per cui "l’interpretazione del titolo esecutivo compiuta dal giudice dell’esecuzione o da quello chiamato a sindacarne l’operato nell’ambito delle opposizioni esecutive, si risolve nell’apprezzamento di un "fatto", come tale incensurabile in Cassazione se esente da vizi logici o giuridici, senza che possa diversamente opinarsi alla luce dei poteri di rilievo officioso e di diretta interpretazione del giudicato esterno da parte del giudice di legittimità, atteso che, in sede di esecuzione, il provvedimento passato in giudicato, pur ponendosi come "giudicato esterno" (in quanto decisione assunta fuori dal processo esecutivo), non opera come decisione della controversia, bensì come titolo esecutivo e, pertanto, non va inteso come momento terminale della funzione cognitiva del giudice, ma come presupposto fattuale dell’esecuzione, ossia come condizione necessaria e sufficiente per procedere ad essa" (Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 15538 del 13/06/2018; nel medesimo senso: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 14727 del 21/11/2001; Sez. 3, Sentenza n. 1114 del 24/01/2003; Sez. 3, Sentenza n. 4382 del 25/03/2003; Sez. 3, Sentenza n. 7530 del 12/04/2005; Sez. 3, Sentenza n. 19057 del 05/09/2006; Sez. 3, Sentenza n. 15852 del 06/07/2010; Sez. 3, Sentenza n. 760 del 14/01/2011; Sez. L, Sentenza n. 13811 del 31/05/2013; Sez. 3, Sentenza n. 26890 del 19/12/2014).

 

Per questi motivi la Corte di Cassazione rigettava il ricorso e condannava i ricorrenti alla rifusione delle spese di lite in favore della parte contro ricorrente.

 

Avvocato Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express

 



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