Le Iconoclastie di Giorgio Tentolini
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Le Iconoclastie di Giorgio Tentolini

martedì 21 febbraio, 2017

MILANO, 21 FEBBRAIO 2017 – Pochi giorni ancora per visitare Iconoclastie, la personale di Giorgio Tentolini (1978) curata da Matteo Galbiati e ospitata nello Spazio Aperto San Fedele di Milano – fino al 25 febbraio 2017.
In mostra una serie di lavori realizzati per l’occasione, che accolgono la riflessione sulle opere d’arte andate perdute nel corso dei secoli a causa di un conflitto o di calamità naturali, di eventi drammatici come i roghi nazisti. Attraverso strati di rete in fibra intagliata a mano o strisce di carta, Giorgio Tentolini fa rivivere parte di un’eredità culturale altrimenti destinata all’oblio, dipanando con poesia un’altra “storia della bellezza”.[MORE]

Intervista all’artista Giorgio Tentolini

Quali sono le idee portanti che fanno da substrato al progetto della mostra?
“Iconoclastie” raccoglie buona parte degli aspetti legati alla sperimentazione del mio percorso artistico di questi ultimi anni. È un progetto sulla memoria, nelle sue diverse chiavi di lettura, che pertanto rimanda a una memoria fuggevole, a una memoria che langue nell’oblio del perduto o ancora, a una memoria più stabile e ancorata a documentazioni tangibili. Memorie di ferite, dolori, disarticolazioni, perdite e oblii.

Come descrive il suo lavoro?
In prima battuta parto sempre da una ricerca quanto più dettagliata possibile sull’incipit dell’esposizione; successivamente analizzo la tecnica e i materiali con cui affrontare il progetto, per poi concentrarmi sulla scelta del soggetto. Quest’ultimo è solamente un pretesto, poiché il vero protagonista è il medium artistico, la tecnica e/o il materiale adoperato. Il mio lavoro è fatto di sovrapposizioni, le parole chiave sono “svelamenti” (togliere i veli) e “rivelazioni” (mettere i veli) due sinonimi che analizzati etimologicamente si rivelano contrari. Il punto di partenza è spesso la fotografia che, tramite elaborazione digitale, destrutturo e ricompongo sedimentando materiali sulla traccia del chiaroscuro originale.

C’è stato lungo il suo percorso un incontro o una suggestione che ha cambiato il corso degli eventi o il suo modo di rapportarsi all’arte?
Le prime mostre risalgono al 2002, dopo aver completato gli studi artistici, quando ho iniziato a esporre quasi senza motivo, come se fosse naturale e non ci fossero alternative, o per soddisfare un’esigenza. Da allora non è cambiato nulla: di fatto, nel corso degli anni, ho sempre fatto le stesse cose e analizzato gli stessi aspetti… è stato un crescendo di esperienze intorno allo stesso fulcro. Espongo perché ho bisogno di un pubblico. Ho tanti debiti di gratitudine con il mio pubblico, con gli specialisti che mi hanno aiutato nelle ricerche, con i galleristi che mi hanno introdotto al mercato (non da ultimo Colossi di Brescia che attualmente mi rappresenta). I curatori e i critici che mi hanno dato cosi tante chiavi di lettura per interpretare i miei pensieri. La mia famiglia e Fabrizio che hanno creduto nel mio lavoro e mi hanno sostenuto.

Mai senza…
Nastro adesivo di carta e forbici. Li ho sempre in borsa. A volte gli amici mi deridono per questo, poiché ogni occasione sembra buona per raccogliere materiali, valutare come si comportano dopo averli sagomati e sovrapposti.

Domenico Carelli

(Foto: courtesy Giorgio Tentolini)


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