Psicopatologia della Mediocrità
Resilienze Lazio

Psicopatologia della Mediocrità

martedì 13 settembre, 2016

ROMA, 13 SETTEMBRE - Premesso che scegliere una situazione virtuosa è sempre da preferirsi ad una situazione viziosa, per la mediocrità performance, non occorre un particolare talento, è sufficiente abbandonarsi alla propria natura di essere ributtante.

Il mondo in cui viviamo, e nel quale bisogna lottare ogni giorno per emergere, è senza dubbio più grigio e sgualcito di quello che s’immagina; è necessario perciò cercare di essere molto concreti e pragmatici e soprattutto mettersi nella condizione di cogliere un lato positivo in ogni situazione, anche in quello della mediocrità più disinvolta, quella che malgrado tutto avvolge, permea e attrae.

Di essa sarcasticamente si è cercato di ricostruire per così dire uno statuto epistemologico, con questi giocosi ma amari interventi, per cercare di sfiorare e farne vibrare le complesse sfaccettature.

Prima di tutto è stato necessario condividere la questione dell’autoevidenza e della “rivelazione al mondo” della mediocrità, nella misura in cui si è sempre disposti a ragionare sul giusto compromesso tra la sua verità essenziale e la coscienza critica della sua esistenza, che rende la prospettiva e l’impegno di vita della mediocrità, un dato di per sé incontrovertibile, universalmente accettabile sull’intero globo acqueo terrestre.

In ogni caso la possibilità di relativizzazione della ragione, è un effetto del programma, in tanto che l’avvertenza a rispettare poche regole pragmatiche per schivarla la mediocrità, resta inoppugnabilmente valida.
Ci si è procacciati l’aprioristico concetto di verità assoluta, per rendere possibile come tener da conto dell’impossibilità della vita senza mediocrità. Senza troppi indugi, si è fatto riferimento ai molteplici punti di riferimento, di cui la mediocrità può disporre, che ne fa di essa un’avvenente e perlomeno verosimile gap della natura umana.

Magari senza provarne piacere e soprattutto senza alcun senso di superiorità, è più facile rifarsi alle umane esperienze usando le situazioni che ci circondano come leva e spinta per migliorare noi stessi.
Questo strano, bizzarro mondo che abbiamo intorno è perlomeno tanto grande per tentare di schivarla la mediocrità, se proprio non siamo in grado - e davvero non siamo in grado- di sfuggirla la mediocrità nostra “comare”.
La crescita personale ed il miglioramento, quando è possibile realizzarlo, spingerebbero in altra direzione, ma la verità nuda e cruda, è che in fondo ciascuno sembra avocarla a sé la mediocrità anziché aborrirla.

L’esperienza di vita, insegna che quando nel corso del cammino capiterà di imbattersi in una persona mediocre, attraverso ragionamenti ottusi, nella trascuratezza e nell’approssimazione di certi atteggiamenti sfrontati; ci si dovrà confrontare, pur nell’ambiguità di determinate situazioni, nei lati oscuri di personalità reiette che vivono la frustrazione esistenziale dell’inconciliabile, ma non del “diversamente possibile” che è quest’ultima virtù anomala, ovvero comunemente priva di meriti, riconoscimenti e tributi.

Il mio sfacciato ed ilare “sberleffo” sulla mediocrità, non altri intendi ha avuto se non quello di comunicare che vi è senz’altro necessità di penetrare la superficie delle cose, ancor più delle parole, per scoprire un’essenza ed un significato autentico, originario, scevro di stratificazioni, o ancor più di storiche e interpretative distorsioni o banalizzazioni del tema.

Nel tempo, alcune parole hanno affascinato, altre hanno turbato fino a tormentarci. La Mediocrità è tra queste, anche se il senso di repulsione nei confronti del sostantivo ha per lo più smarrito l’alone di spregio, di pubblica diffidenza e del disprezzo condiviso.

Nell’immaginario collettivo il mediocre è colui che non osa, colui che non sa, colui che non vuole, colui che non decide, colui che esita e basta. In poche parole sarebbe, un meschino attendista, la cui presunta appartenenza a un’élite, o meglio ad un’aristocrazia a più bassi livelli, di bassi stimoli, con poche voglie, con poca evidenza, lo rendono “consapevole” della limitatezza dei propri strumenti.
Certo, gli sfrontati oppositori della mediocrità, sono nella piramide esistenziale alla base, cioè tra gli ultimi, tra quelli considerati sfigati, perché sempre a caccia di sentenze impietose, giudizi irreversibili, di condanne eterne alle forme di Mediocrità.[MORE]

Esorcizzare i demoni fa bene e conforta, soprattutto gli ego eccentrici e disturbatori come il mio. Pratica intrigante, poiché a volte la limitatezza che vediamo negli altri non è altro che il riflesso della nostra umana pochezza di genere umano, che nel delirio della nostra instabile onnipotenza, procediamo stancamente con andatura disinvolta con saldi verso di essa.
Questo basterebbe per mirare dritti al cuore del tema, collocata all’interno della complessa banalità di ciascuno, per preservare dall’oscurità una visione d’insieme sull’uomo contemporaneo.
Non è a dire che questo sia sommesso e singhiozzante quando gli tocca di misurarsi con la mediocrità, bensì la realizza con la durata, della brevitas temporanea, che potrebbe fargli sfuggire l’onere del dirsi mediocre oltre che dell’esserlo, per rivelarsi più appropriatamente nella propria forma di “latenza” essenziale, di cui non solo la parola si appropria.

L’etimologia del termine Mediocrità deriva dal latino mediocritas, che a sua volta deriva da medius, ovvero da ciò che sta in mezzo.

Il mediocre, quindi, non è in definitiva un infimo essere, un indegno da biasimare. Il mediocre è semplicemente colui che è in mezzo, tra gli estremi, che sta fra il molto e il poco, tra il buono e il cattivo.

Colui cioè che evita l’eccesso, che non eccelle, ma non si preoccupa, che forse nemmeno insegue grandi ambizioni, e forse resta finanche con i piedi ben piantati a terra, ricerca in definitiva un’invidiabile “moderazione”.

Di fatto, è colui che si accontenta e che si compiace del suo essere banalmente se stesso. Nel mondo latino la mediocrità era un valore, tanto che la si accompagnava spesso con un aggettivo illustre “aurea” mediocritas, per l’appunto.

Nel mondo in cui viviamo oggi, invece, fin da piccoli veniamo bombardati dal falso mito dell’eccellenza a tutti i costi, della superiorità, della fama, della gloria, in una inesausta lotta simil darwiniana, per la sopravvivenza del nostro ridondante ego.

Avocarci perciò l’Aurea mediocritas, metterebbe in dubbio non solo tutte le convinzioni utili ad esaltare lo spettacolo dell’irriverenza, grande quanto questo tentativo, di voler comprendere e riabilitarla, nel lessico della vita; ma anche il valore performante della mediocrità medesima .

La conciliazione degli opposti non è sempre facile, lo riconosco, così com’è difficile sostenere l’irrevocabile necessità dell’etimo mediocre nobilitato a virtù dei nostri malati tempi.

Ma senza perdermi in parole, per dilatare e accrescere la voglia bruta di mettere il piede dove si sprofonda, cioè nell’incertezza che è di per sé stessa vita; è bene considerare che se tutto fosse intelligibile, la fantasia magari si arresterebbe; forse la realtà che non è mai tanto perfetta quanto appare nel miraggio di una visione, intenterebbe emozioni più timide ed impacciate a ben guardare i mediocri; ed in quello spazio che giace tra l’allucinazione e il vero, finiremo tutti con lo scorgere noi altri, nella nostra più impacciata ma autentica natura di mediocri, che con troppa indulgenza studiano come aspiranti, per accompagnarsi senza colpo ferire, con qualcuno dei grandi maestri.

Perciò ai forti ma indecisi, ai perfetti a metà, a coloro che fatti di altissime imperfezioni vivono le misere indecisioni dei pietismi e assoluzioni a buon mercato, dico di carpire e comprendere sia pure con lentezza, gli stralci di sogni caduti, negli squarci di pensieri impacciati, per inserirli nella vita di ognuno con gaudente compiacimento ed con estremo accrescimento del puro divertimento, per accompagnarsi a teatranti delle emozioni ed ai mimi dei sentimenti.
La sintesi finale non è appagante, lo riconosco, è alquanto dimessa e rattrappita.

Dare una voce a queste “fantasticherie” delle umane resilienze, renderà forse demiurghi, nel prestare forma per via di significanti, il cui significato non può altrimenti essere sentito in modo svincolato ed incondizionato.

Parlo con tutti con doti delicatamente maieutiche e scopro che davanti a me c’è sempre un tale che agogna grazia, magari aspirerebbe semplicemente di essere banalmente migliorato, nel poco banale gioco della comunità che prende in carico l’altro, lo accetta e magari lo migliora, trasformandolo - perché no- in un programma di umanità e sentimenti.
Chi si attende di trasgredire alle convenzioni dell’accoglienza, con gesti o semplici parole poco comunemente dirompenti, educazione magari cortesia e gentilezza, saprebbe invece trasformare l’inconsistente realtà fatta progetto, in desideri conturbanti, speranze e sogni, che nulla hanno a spartire con la mediocrità, custoditi per come si trovano nella parte migliore di noi stessi e delle nostre relazioni, sovente non del tutto appaganti.
Paradossalmente nell’era della condivisione a buon mercato, si chiude sempre la porta ad uno “sciagurato” e si fa sgambetto sempre all’aspirazione al meglio, scegliendo il peggio come aspirazione fatale e attrazione ferale.

Se capita di rado di andare con curiosità e ardore a cercare cosa c’è nella profondità da cui siamo emersi, calandoci nelle profondità dell’anima, centimetro dopo centimetro, senza sapere se più giù o più su, ci siano sostegni e appigli utili ai buoni sentimenti fatte virtù, allora solo allora si potrebbe veramente capire qualcosa della mediocrità.

Forse è più facile compiere un viaggio nella mediocrità, dimenticando i concetti di spazio e di limite, sganciati da ogni concetto razionale; se non ci si permette di oltrepassare il confine del mondo mediocre, acquisendo forme nuove, indossando altre vesti.

Così si entra in un armonioso equilibrio della vita, un gioco altalenante che è forse conciliazione serena degli opposti, del buono e del cattivo, del bianco e del nero, in cui la percezione dell’infinito rimane l’unico valido appiglio per credere che oltre la caducità c’è sempre un valido motivo per sostenere che nell’immaginazione come nel gusto dell’investigazione di cause ed essenze, cioè in quel che comunemente si dice filosofico, vi è la chiave opportuna per districar gli arcani delle umane meschinità.

Potrebbe forse servire per comprendere che essere sensibili all’abbondanza dell’amore per sé rende forse insulsa l’assenza dell’amore per gli altri; che non può dirsi certo “amor che move il sole e l’altre stelle”, ma che serve come l’ossigeno, a qualificare la comune vita terrena di tutti noi piccoli omuncoli in transito.

Da una parte ci sono le insignificanti quisquilie di fronte alle irraggiungibili e vane ambizioni, e dall’altra c’è la banale eroicità del mediocre, poi c’è la pazienza e la quotidiana umiltà, di chi è consapevole dei propri limiti ma non si fa sopraffare da essi; c’è inoltre chi prova nonostante tutto e contrastarla l’ineffabile e beffarda mediocrità, e c’è chi invece non si cura di un pubblico superbo e insolente, di una pletora di malefici mediocri.

I (pre)giudizi - è sin troppo noto - sospingono all’altezzosità tipica di chi dimentica che nella piramide, una volta, ci si siede tra gli ultimi; e probabilmente (forse) un giorno, magari anche non tanto lontano, si ritorna (anche) ad essere primi.

Di fronte alla caparbietà dei modesti, di fronte al coraggio di chi è affabile all’intelligenza, di fronte al lavoro silenzioso di centinaia di migliaia di persone che s'impegnano" quotidianamente per il semplice gusto di farlo, che amano quello che fanno e che non si aspettano trofei o riconoscimenti; che non hanno tifosi, o non contano i “mi piace” c’è sempre qualcuno appassionato sconosciuto e modestamente pudico, che non si aspetta premi, che non è lautamente retribuito; ma che accoglie e vuole riproporsi nella struttura del mondo, nel discorso continuo del gioco delle parti, che tende ad occultare le “rotture dell’essere” .

Ci sarà - ne sono certa- un tale che riscatta tutti nell’essenzialità della parola che è essenzialità del mondo e lo è anche nelle forme del logos, che -come è noto -coincide sempre nostro malgrado anche col kosmos; per null’altro che rispondere all’oscurità della propria abissale vertigine.

Di fronte all’amore incondizionato ed alla cura gratuita, spassionata, sincera, c’è chi magari senza saperlo eccellerà nel silenzio quotidiano della propria esistenza in uno sport, un hobby o nel puro volontariato e nel proprio impegno, senza compiacimento o fanatica visibilità.

Certo allora ci toccherebbe di eleggerlo a nuovo ambasciatore della bellezza costui, perché chi abbassa la testa per saper fare, Insegna a comprendere il senso delle cose, vittorioso sulle meschinità. E’ lui il vero eroe senza volto.

E’ vero si è sarcasticamente “elogiata” la mediocrità, come valore della vita, ma giammai scambiabile o barattabile, con la virtù dell’umiltà, della semplicità e dell’essenza. I mediocri non sono umili né essenziali, semplicemente vivono lentamente, a “risparmio energetico”.

Potrebbe essere esaltante poter essere mediocre in ogni cosa, ed esserlo alla perfezione. Perché la mediocrità è un valore, della povera normalità, è la rassicurante odissea di chi dovrebbe stare semplicemente al proprio posto, senza “sporcare” il mondo, e pure si ritrova sempre fuoriposto, nonostante tutto.

Se la mediocrità salva – in qualche modo – chi corre a doppia velocità, per arrivare sempre primo al suo traguardo, la vita ignora di sprecare, per qualcosa di perfettamente inutile e banale, che non rilucerà se non come sconfitta.

C’è chi preferisce controllare piuttosto che essere controllato, chi preferisce anticipare piuttosto che ritardare, chi preferisce sfinirsi piuttosto che riposarsi. Sono gusti.

Forse più semplicemente coloro che chiedono troppo agli altri e poco a loro stessi, avranno spianata magari la vera strada per la felicità, nel lusso pretestuoso di diventare come diceva quel tale, ad essere ciò che sono: essi stessi.

Così, senza bisogno di miti ed eroi, ma anche senza bisogno di altro che non di noi stessi, ci si potrebbe anche accorgere degli altri, della loro esistenza, delle altrui qualità fondate su radici coltivate a talenti e virtù giustapposta di ben diversa levatura.

Anche se i mediocri hanno indubitabili talenti. Per esempio il talento di stare bene ovunque, e con tutti, proprio grazie alla loro insulsa natura, non hanno bisogno di consumare la vita, né farsi consumare.
I mediocri sanno solo vivere e godere più banalmente degli altri, sanno perciò essere privi di ogni schema di perfezione.
Magari non si sentono in dovere di essere i migliori, ma solo di fare il “mediocre possibile”.
La mediocrità non è dunque la scusa per non fare bene, o per non fare. Anche la mediocrità può dunque essere utile a determinare consapevolezza che basta fare, perché la mediocrità è un “fuoco di luce secca” un germe, piuttosto che una promessa racchiusa in sé stessa, da cui si realizza il discernimento di conseguenze infinite.

Magari forse il non-detto riesce anche a scaturire dal detto, e da queste rasentate “cime delle idee, circolerà forse l’aria per liberare gli spazi.
In fondo è verosimile che siano opportune queste elucubrazioni sciolte in allucinazioni di fine estate, in cui si cercavano arcipelaghi ed invece è solo affiorato un mare ignoto di ribelle mediocrità, contro cui continuare ad imbattersi e scontrarsi non è poi così tanto improbabile.


Angela Maria Spina

 


Autore
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