Parola e Fede
Parola e Fede Calabria

Parola e Fede

lunedì 5 dicembre, 2011

Risponde alle domande di Federico da Mantova don. Francesco Brancaccio, docente presso l’Istituto Teologico “Redemptoris Custos” di Cosenza. [MORE]

D. Vorrei sapere cosa si intende nel Vangelo quando Gesù dice: lascia che i morti seppelliscano i loro morti. Tu vieni e seguimi. 

 
R. Consideriamo innanzitutto il contesto di questa frase all’interno del Vangelo.
Siamo nel capitolo 8 di Matteo. Gesù ha appena terminato il discorso delle beatitudini (Mt 5-7) e le sua parole hanno diviso in due la storia. Nessuno aveva mai ascoltato niente di simile: la legge antica è portata a compimento, le parole delle beatitudini sono lo statuto della nuova alleanza scritto nei cuori, l’insegnamento di Gesù trasforma l’uomo dal di dentro. Le folle percepiscono la novità assoluta che sta davanti a loro: «Quando Gesù ebbe terminato questi discorsi, le folle erano stupite del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come i loro scribi».
 

Le parole di Gesù sono talmente attraenti ed efficaci nella loro forza di santità, che mostrano immediatamente i loro effetti: suscitano l’entusiasmo e la disponibilità di uomini che decidono di seguirlo nella sua missione. Ascoltiamo il testo del Vangelo: «“Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: "Maestro, ti seguirò dovunque tu vada". Gli rispose Gesù: "Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo". E un altro dei suoi discepoli gli disse: "Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre". Ma Gesù gli rispose: "Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti"» (Mt 8,19-22; cfr anche Lc 9,57-62).
 

Gesù non vuole che i discepoli lo seguano solo per entusiasmo, che prendano la decisione della loro vita senza piena consapevolezza e coscienza. Allo scriba che promette di seguirlo ovunque, Gesù non oppone un rifiuto, però prospetta il reale sacrificio di amore a cui il discepolo sarà chiamato: se vuoi seguirmi, sappi che anche tu, come me, dovrai essere libero da ogni esigenza terrena, non attaccato a nessuna comodità o sicurezza, capace di mettere tutto al secondo posto rispetto alla missione che ti assumi. La scelta di seguire Gesù dovrà essere presa con piena avvertenza delle sue condizioni e delle sue esigenze: solo così il discepolo la potrà adempiere sino alla fine con vero amore. L’amore richiede non solo entusiasmo, ma anche consapevolezza, coscienza, volontà, risolutezza.
 

E siamo così alla frase che ti interessa da vicino. Entra in scena un altro uomo, presentato già come discepolo e si presume quindi che sia già disposto a non avere né “tana” né “nido”, pur di seguire Gesù. Costui chiede però al Signore il tempo di occuparsi d’altro prima di seguirlo. In fondo chiede di dedicarsi a un’opera buona: «Permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Si tratta di un’opera lodata dalle Scrittura: il libro di Tobia attesta come la sepoltura dei defunti sia opera di misericordia (crf. Tb 1,16-17; 2,3-9; 12,11-15) e, più in generale, la sepoltura di un padre è atto culminante dell’onore dovuto ai genitori secondo il quarto comandamento (Es 20,12; Dt 5,16).

La risposta di Gesù stabilisce il primato di un’opera di carità su un'altra. Tante sono le opere di carità che ciascuno può compiere. Alcune possono essere compiute da tutti; ma altre sono possibili solo a qualcuno. Seppellire i morti è opera possibile a tutti. Ma se il Signore chiama qualcuno a seguirlo per la missione di evangelizzazione, questa è una vocazione personale, specifica. Chi è chiamato ad una missione specifica dalla volontà del Signore, non può trascurarla per dedicarsi ad opere diverse che potrebbero essere compiute bene da altri.

Gesù dice a quel discepolo che anche un morto può seppellire un altro morto. E’ una formula iperbolica, per indicare che si tratta di un’azione buona che non richiede una particolare missione. E’ doveroso, dunque, che il discepolo pronto a lasciare tutto per seguire Gesù non si attardi, non trascuri la sua missione peculiare e la sua responsabilità specifica, per fare altro.
 

Un chiaro esempio ci viene da S. Pietro, negli Atti degli Apostoli: «In quei giorni, aumentando il numero dei discepoli, quelli di lingua greca mormorarono contro quelli di lingua ebraica perché, nell'assistenza quotidiana, venivano trascurate le loro vedove. Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: "Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense. Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola"» (At 6,1-4). Assistere le vedove bisognose, senza distinzioni e preferenze, era opera necessaria, buona, doverosa. E nella comunità erano molti quelli che potevano essere scelti per questo servizio. Ma i Dodici erano stati scelti direttamente dal Signore per il ministero dell’apostolato: sarebbe stata una grave omissione trascurare la missione affidata loro da Cristo Gesù per fare altro.
 

Lo stesso principio vale per noi. Non c’è solo la tentazione che viene da ciò che è oggettivamente male. C’è anche la tentazione che viene da ciò che in sé è bene, ma non il bene specifico richiesto alla singola persona secondo il suo personale ministero. Il genitore non può trascurare la famiglia per dedicarsi stabilmente a servizi che potrebbero essere svolti da altri. Il sacerdote non può trascurare il ministero della parola, il dono della grazia, la guida della comunità per dedicarsi a opere che nella società hanno già chi le assolve con specifica competenza.
Solo l’emergenza o la straordinarietà consentono al discepolo di distogliersi dal suo ministero ordinario, per svolgere un bene immediato più grande per la salvezza del prossimo, fin quando non si rientra nella situazione di normalità.

D. Che differenza c’è tra i peccati veniali e i vizi capitali.


R. Ogni peccato è male per definizione, in quanto allontana dalla santità di Dio, fonte della vita e dell’amore. Però tra peccato e peccato c’è una distinzione da operare in base alla loro grado oggettivo di gravità.
 

Ci sono le imperfezioni, riconoscibili solo da una coscienza retta e delicata. Eliminarle significa far risplendere in grande luce la santità di Cristo nella vita del discepolo.
Ci sono i peccati veniali: sono trasgressioni della volontà di Dio, contraddizioni rispetto al suo amore e alla sua verità di salvezza. Non sono però il frutto di un rifiuto della sua grazia o di una contrapposizione determinata. Provengono da debolezza umana, da trascuratezza, da tentazioni, senza che il battezzato sia arrivato al punto di rinnegare la via del Vangelo. Tuttavia, l’insidia provocata dai peccati veniali non deve essere sminuita. Ognuno di essi è come una goccia di veleno iniettato nell’anima: già in se stessa è tossica, ma quando si accumula con le altre gocce può divenire letale. Ogni peccato infatti, se non è contrastato, spinge verso un’assuefazione dell’anima al male e un progressivo indebolimento dello spirito nei confronti della vigilanza, delle virtù, dell’amore.
 

I peccati mortali sono quelli che nel cuore dell’uomo impediscono del tutto la presenza dello Spirito di Dio e distruggono l’azione della sua carità. Senza la Grazia di Dio, l’uomo è già nella morte, nella totale incapacità di salvezza. I peccati mortali sono specificati da tre condizioni: materia grave, piena avvertenza e deliberato consenso. La materia grave è definita in base all’oggettività della colpa commessa; l’avvertenza e il consenso sono invece condizioni soggettive: riguardano la consapevolezza della peccato e la determinazione di commetterlo.

Mentre il peccato è una particolare situazione di contrasto all’amore di Dio e del prossimo, il vizio è una condizione abitudinaria al peccato. In tal senso il vizio si contrappone alla virtù, che è un’abitudine, una condizione stabile nel fare il bene. La tradizione cristiana enumera sette vizi capitali, così definiti perché generano altri peccati: superbia, avarizia, invidia, ira, lussuria, golosità, pigrizia (o accidia).
Sulla distinzione tra peccati veniali, mortali e vizi, puoi consultare il Catechismo della Chiesa Cattolica, 1846-1869: http://www.vatican.va/archive/ccc/index_it.htm

Sac. Francesco Brancaccio


Fonte immagine articolo: Hermanoleon.org
 

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