Così è (se gli pare). Portare luce dove luce non ci deve essere
Cosi e' (se gli pare) Lazio

Così è (se gli pare). Portare luce dove luce non ci deve essere

giovedì 31 gennaio, 2013

ROMA, 31 GENNAIO 2012 - Giovanni Tizian è un giovane cronista calabrese. É emigrato all’età di 12 anni con tutta la sua famiglia in Emilia Romagna. La decisione di lasciare la Calabria è stata dettata in seguito alle intimidazioni rivolte all’azienda di famiglia e da quando nell’estate del 1989 a Bovalino, nella Locride, suo padre, bancario, è stato ucciso mentre tornava a casa. Ha iniziato a scrivere con la Gazzetta di Modena, per poi collaborare anche con altre testate giornalistiche, occupandosi di infiltrazioni della criminalità organizzata al Nord e in particolare in Emilia Romagna. Vive sotto protezione dalla fine del 2011. Il giornalista è colui che riporta la verità di quanto accade con un personale taglio interpretativo, è colui che vive quasi costantemente tra precarietà e pericolo, è colui che cerca di rendere chiaro e nitido tutto ciò che invece è opaco. Tutto questo lo porta purtroppo inevitabilmente a esporsi al pericolo. Nel luglio 2008 è nato Ossigeno per l’informazione, l’osservatorio Fnsi-Odg sui giornalisti minacciati per tenere accesi i riflettori su coloro che fanno bene il proprio lavoro. Ecco cosa pensa Alessandro Bertolucci.[MORE]

Giovanni Tizian, giornalista calabrese, vive sotto scorta dal dicembre 2011. “O smette o gli spariamo in bocca” dice l’imprenditore Guido Torello al boss Nicola Femia al telefono senza sapere di essere intercettato dalla Guardia di Finanza in Emilia – Romagna. Nei giorni scorsi l’inchiesta ha portato a diversi arresti per criminalità organizzata nella filiera del gioco d’azzardo. Il mestiere della verità. Raccontare il lato nascosto della realtà. Ecco, questo è il compito di un cronista. È colui che quotidianamente va a caccia di una notizia, tra precarietà e pericolo. Perché, in Italia, raccontare la realtà deve costare così tanto?

Raccontare la realtà costa tanto ovunque, basti pensare ai tanti reporter e giornalisti che hanno dato la vita per quella che non esito a definire una missione. In Italia costa di più perché ancora non ci siamo liberati di quel bagaglio culturale, o forse dovrei dire di quel fardello subculturale che è la criminalità organizzata con il suo strascico omertoso. Ma non basta. In un Paese come il nostro in cui la mentalità imperante è tuttora quella dell’inciucio, del sotterfugio, della scorciatoia al limite della legalità e della legge piegata alla scorciatoia, portare luce dove luce non ci deve essere sarà sempre pericoloso.

Il giornalista Giuseppe D’Avanzo affermava: “Chi fa questo mestiere non può non avere nemici. Se non ne ha vuol dire che qualcosa non va …”. La missione del cronista è quella di riportare i fatti e di informare i propri lettori e i cittadini senza guardare in faccia a nessuno. Il giornalista deve avere la schiena dritta sempre e comunque?

Un commerciante deve avere la schiena dritta sempre e comunque? Un medico deve avere la schiena dritta sempre e comunque? Un politico deve avere la schiena dritta sempre e comunque? Un imprenditore, un impiegato comunale, un attore, un insegnante devono avere al schiena dritta sempre e comunque? Ti dico: sì! Perché non bisogna avere la schiena dritta? Tutti dovremmo averla. È retorico e lo so, ma così vorrei che fosse così, e mi aspetterei che così fosse in particolar modo per alcune categorie di cittadini, i politici in primis e certamente i giornalisti. L’avere la schiena dritta poi non va confuso, nel caso del giornalismo, con l’imparzialità. Il giornalista può e deve dare un taglio interpretativo a ciò che segue e ci racconta, deve riassumere per noi, spiegarci; a volte può prendere una posizione netta su certe tematiche e va benissimo, ma tutto questo deve, a mio avviso, essere detto. Mi spiego, Nella definizione di giornalismo “con la schiena dritta” metterei anche l’onestà professionale e intellettuale di non confondere le idee del lettore mescolando la notizia pura e semplice (se mai è possibile averne una) con i commenti, con l’editoriale e dunque con la posizione personale del giornalista.

Un cronista minacciato è spesso vittima d’isolamento e solitudine. “È necessario tenere accesi i riflettori sulle persone che, in ogni settore, fanno bene il proprio lavoro. Raccontare la verità è un dovere per tutti coloro che amano questa professione”, così ha detto il giornalista Paolo De Chiara in una recente intervista. Riusciremo mai ad avere informazione vera, diretta, senza inchini al potere?

Non riusciremo ad avere un’informazione libera. Almeno non tutta, ma questo credo sia naturale. L’informazione è un potere immenso che fa gola a tutti: chi controlla l’informazione o i media può molto, se non tutto. Magari diventare anche Presidente del Consiglio, e farsi leggi tagliate su misura. Bisogna però impegnarsi per un’informazione più libera possibile e comunque più pluralista possibile. Concordo pienamente sulla necessità di accendere i riflettori su coloro che fanno bene il proprio lavoro perché necessitiamo di esempi positivi da seguire; la cosa brutta è che l’esempio positivo rischia sempre molto, in quanto in principio mosca bianca e spesso pioniere in terra ostile. Tocca poi a noi non farlo sentire solo.

L’Italia sembra un Paese allergico alla libera informazione. Il giornalista è colui che riporta i fatti; i cittadini devono però cogliere i punti essenziali dell’inchiesta giornalistica, soltanto così il cronista ha raggiunto il suo obiettivo.

L’Italia non è un Paese allergico alla libera informazione, è un Paese devoto all’informazione asservita. I giornali e i canali televisivi hanno dei proprietari che spesso controllano anche il lavoro delle redazioni che, in quanto stipendiate, non recriminano. Peggio per loro. Il lavoro da fare nel nostro Paese è quello di staccare i cordoni ombelicali (o della borsa, ma le due cose spesso coincidono) che legano la politica all’informazione, la politica alla Rai, l’informazione dal giochino di potere. E questo non è impossibile, basterebbero poche leggi, la prima quella sul conflitto di interessi, la seconda sulle nomine del cda Rai, per vedere già un piccolo ma significativo cambiamento. L’ informazione ha bisogno di essere sostenuta in quanto cartina tornasole della democrazia del Paese, e deve essere finanziata perché può portare ricchezza. Poi il lavoro del giornalista e di redazione spetta a chi lo sa fare.

Ossigeno per l’informazione, l’osservatorio Fnsi-Odg sui giornalisti minacciati e sulle notizie oscurate con la violenza è nato nel luglio del 2008. Ha un acronimo significativo, perché, con il suo nome, richiama un concetto elementare: ogni essere umano ha bisogno di ossigeno per respirare; allo stesso modo ogni società libera e democratica per vivere ha bisogno di libertà di espressione e di informazione. Sei d’accordo?

Certo che sono d’accordo. Non mi stancherò mai di ripetere che la libertà di espressione e di informazione è fondamentale per la salute di una democrazia. In Italia chi fa il giornalista fa un mestieraccio. Fra la poca libertà e gli stipendi da fame ci si mette anche il rischio della vita per alcuni professionisti che hanno pestato i piedi a qualche criminale. La protezione di queste persone diventa cosa importante non solo per i diretti interessati ma per noi che del loro lavoro ci nutriamo informandoci. Io però, ammettendo la mia ignoranza, vorrei sapere di più di questi coraggiosi che vivono nell’ombra, procurandoci però luce. Si sente delle scorte di politici e parlamentari e poco ci è dato di sapere delle vite blindate di alcuni cronisti. Anche questo può diventare un riflettore acceso.

 Giulia Farneti e Alessandro Bertolucci


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