L'infanzia di un serial killer. Intervista allo Psicologo Clinico Roberto Turrisi
Criminologia Lazio

L'infanzia di un serial killer. Intervista allo Psicologo Clinico Roberto Turrisi

sabato 14 aprile, 2018

ROMA, 14 APRILE 2018 - Predatori intraspecie e condizionati dall’appetizione omicidiaria, i serial killer commettono crimini con particolari caratteristiche di mostruosità. Secondo la definizione elaborata dagli esperti di Scienze Comportamentali dell’FBI, gli assassini seriali uccidono tre o più vittime con un periodo di intervallo emotivo tra un omicidio e un altro. A differenza di quanto si possa pensare, molti seriali sono sani di mente e capaci di intendere e di volere.

Per capire le cause di un fenomeno così complesso, individuare i meccanismi che danno luogo al comportamento omicidiario seriale, e se già nell’infanzia è possibile scorgere alcuni ‘segnali’ predittivi ci siamo rivolti al Dottor Roberto Turrisi. Egli è uno psicologo clinico, formatore certificato, esperto in Criminologia e autore di “Elementi di Psicologia Criminale”, testo di divulgazione scientifica edito da Midgard.

Dottor Turrisi, senza addentrarci nelle svariate casistiche e definizioni, chi è un serial killer e cosa lo distingue dagli altri assassini multipli?
“Un serial killer è un uomo, non è un extraterrestre, non è niente di diverso da noi tutti, vive in mezzo noi, ed è solo partendo da questi presupposti che possiamo occuparcene seriamente ed utilmente. Se pensiamo che ciò non ci riguardi, stiamo aumentando il rischio che ciò ci riguardi. È solo considerandone gli aspetti umani, il substrato relazionale e l'analisi sociale che possiamo provare a generare/acquisire gli strumenti per la prevenzione. Tra ciò che li distingue dagli altri assassini abbiamo le modalità ed il contesto. Alcuni assassini multipli non sono (o non sono stati) considerati serial killer perché hanno ‘operato’ in contesti dove l'uccidere equivaleva a fare bene il proprio lavoro (penso a quelli assoldati dalle organizzazioni criminali), altri sono ormai storia (quelli che operarono nei genocidi), etc”.

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Il comportamento omicidiario del seriale non è mai originato da una singola causa, ma da un insieme di fattori. Di quali si tratta?
“Dobbiamo ragionare nell'ottica della possibilità e della probabilità, non secondo equazioni matematiche: queste ultime non sono applicabili alla vita psichica dell'individuo ed ai suoi comportamenti. Vi sono serial killer dal passato - almeno apparentemente - sereno, ‘comune’. Un ruolo importante, come abbiamo analizzato nel libro che lei ha citato, è ricoperto dai vissuti relazionali ed affettivi, dalla comunicazione familiare, ma anche dai luoghi fisici nei quali si cresce. Altri fattori possono essere di tipo genetico, neuroanatomico, etc. Il concetto importante è certamente, da un punto di vista psicologico, non escludere l'importanza di alcun fattore evolutivo disfunzionale ma, nello stesso tempo, non considerare questo come causa, necessariamente, di comportamenti violenti o azioni omicidiarie”.

Quali atteggiamenti si manifestano già nell’infanzia e possono essere predittivi di un futuro comportamento omicidiario seriale? La teoria della Triade di MacDonald ha ancora influenza tra gli addetti ai lavori?
“McDonald, sulla base di molteplici studi ed analisi su un gran numero di storie di serial killer, parlava di una triade di “sintomi predittivi” del comportamento omicidiario seriale. Lui individuò, come possibili segni/sintomi predittivi: la piromania, l'enuresi notturna e la crudeltà verso gli animali. Probabilmente questa triade andrebbe oggi estesa ed integrata con segni/sintomi che riguardano la famiglia di appartenenza, il rapporto disfunzionale con i genitori (o tra i genitori), le concause ambientali, il ‘ruolo della madre’ - come lo chiamiamo nel libro - come segni predittivi di potenziali comportamenti devianti, senza che questi siano già comportamenti direttamente osservabili, come nel caso della triade, ma che possono costituire comportamenti alla base di altre condotte violente. Riguardo alla triade, sempre nell'ottica psicologica che abbiamo in precedenza precisato, è bene ricordare che non tutti i bambini che presentano questi comportamenti saranno futuri serial killer, ma è molto frequente che i serial killer abbiano manifestato tali comportamenti nel corso della propria infanzia”.

Alcuni assassini seriali noti alle cronache sono stati identificati come soggetti affetti da Psicopatia. Quali sono le caratteristiche comportamentali di un bambino psicopatico?
“Il rapporto tra serial killer e psicopatia è molto stretto ma nello stesso tempo controverso da un punto di vista scientifico. Per quanto riguarda la sua domanda specifica rispetto al bambino, possiamo considerare come caratteristiche predittive alcune condotte che poi sono ‘tipiche’ dello psicopatico adulto. La tendenza alla manipolazione dell'altro (osservabile nei bambini anche in situazioni di gioco), per esempio, è un tipo di condotta che viene considerata come un possibile elemento predittivo, così come l'aridità o il distacco relazionale, l'anaffettività, la tendenza a manipolare l'altro per raggiungere i propri scopi, la freddezza emotiva attraverso la quale il soggetto manipola l'altro, e via dicendo. E' importante, in questo caso, soffermarsi sulla chiarezza metodologica, non confondendo questa precisa patologia con altre, che possono somigliarle da un punto di vista terminologico o sintomatologico”.

Per gli analisti di Scienze Comportamentali di Quantico, la pornografia è un fattore che alimenta la fantasia violenta, ma non la causa dell’omicidio seriale. Qual è il ruolo della fantasia in un crimine seriale e perché un bambino potrebbe rifugiarsi nell’immaginazione?
“Si è concordi nell'attribuire un ruolo rilevante alle fantasie nella genesi dei comportamenti omicidiari seriali. Si parla di escalation delle fantasie, dove particolare importanza hanno le fantasie di tipo sessuale, come elemento comune a moltissime storie dei serial killer. Per quanto riguarda la pornografia, essa non è causa dell'omicidio seriale, ma sintomo, soprattutto in alcuni quadri psicopatologici, di condotte disfunzionali che possono alimentare condotte di tipo violento. Ragioniamo in termini probabilistici, non assolutistici, concentrandoci sulla prevenzione, poiché all'omicidio non esiste alcuna cura”.

Si ringrazia il Dottor Roberto Turrisi

Luigi Cacciatori

 


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