Omicidi in famiglia: movente e profilo dell'assassino. Intervista alla Criminologa Mary Petrillo
Criminologia Lazio Roma

Omicidi in famiglia: movente e profilo dell'assassino. Intervista alla Criminologa Mary Petrillo

mercoledì 23 gennaio, 2019

ROMA, 23 GENNAIO 2019 – Il fenomeno dei delitti consumati in famiglia alimenta ogni giorno le storie di cronaca. Aggressioni e gravi fatti di sangue scuotono l’opinione nazionale, soprattutto quando l’offender è un membro del nucleo familiare. Per capire le cause, conoscere i motivi di tanta efferatezza e per provare a tracciare un profilo psicologico dell’autore di un crimine violento in famiglia, ci siamo rivolti alla Dottoressa Mary Petrillo: Psicologa, Neuropsicologa forense, ricercatrice, docente universitaria, Criminologa, e coordinatrice del gruppo di consulenti Crime Analysts Team


Dottoressa, l’omicidio in famiglia può avere diversi moventi. Quali sono i più ricorrenti?

 “Gli omicidi in famiglia sono purtroppo ricorrenti e le cronache ogni giorno ci rendono noti casi che raggiungono alti livelli di aggressività e violenza. Fondamentalmente, tra le motivazioni più ricorrenti c’è la smania di controlloda parte del soggetto che compie il crimine. L’individuo, quando si rende conto di non poter dominare più la situazione, può arrivare a mettere in atto anche l’omicidio. Questa tipologia di omicidi intra familiari sono dominati dal bisogno di controllo, gelosia e ci sono anche casi più legati all’aspetto economico: eredità, riscossione polizze vita, negazione di eventuali assegni familiari in alcuni casi di separazione/divorzio”. 

 Non si uccide per troppo amore. Chi uccide non ama, ma solitamente vuole esercitare dominio e pensa di possedere e disporre della vita dell’altro come se fosse un oggetto. Qual è la sua tesi riguardo questa affermazione?

 “Sì, penso che sia così nella maggioranza dei casi. Aggiungerei che potrebbe essere anche una spasmodica ricerca di libertà dal rapporto, dalla relazione e, per alcuni soggetti, pur di ritrovare la propria “libertà ” e per vedere realizzato il loro “nuovo” progetto di vita, arrivano ad uccidere chi, a loro parere, impedisce loro di autodeterminarsi, come quasi fosse un primordiale e ancestrale “istinto di conservazione”, ovviamente ciò sottolinea quanto siano “malate” certe relazioni e chi le vive. Chiaramente, non si parla di amore malato perché l’amore per definizione non lo è!”.

Attraverso le modalità esecutive del reato, è sempre possibile capire i tratti di personalità dell’offender?

 “Quando si chiede di tracciare il profilo di un autore di reato è necessario avere una ottima conoscenza specifica delle materie che trattano i vari aspetti della criminologia e criminalistica, quindi una ottima metodologia scientifica, affinata ovviamente con la esperienza, avere una elevata capacità professionale che possa guidare verso il ‘cosa’ ricercare, il ‘come’ farlo ed infine valutare ciò che si è ottenuto. Quanto detto è in relazione alle materie relative alla criminalistica: chimica, genetica, balistica, medicina legale, ecc. Poi c’è un aspetto legato più alla criminologia e che a mio parere è e deve essere di appannaggio agli psicologi e agli psichiatri, ossia il cosiddetto profilo. Attraverso il Profiling, ovvero l’identikit psicologico di un soggetto che commette reati, grazie al background di studi di uno psicologo e/o di uno psichiatra, si può tracciare quella che potrebbe essere la personalità, il comportamento di un offender ignoto e ovviamente grazie alle forze dell’ordine, con la loro attività investigativa, si può arrivare a dare nome e cognome dell’autore del reato, oppure si riesce a stringere la cosiddetta “rosa dei sospettati”, quindi ad arrivare al soggetto che ha compiuto il crimine”.

Spesso, si afferma che una persona uccide perché colta da un raptus. Per gli esperti del settore, però, il raptus non esiste. Potrebbe motivare questa affermazione?

 “Certamente. Io sono tra coloro che non credono nel raptus, del resto nessun manuale diagnostico ne dà contezza. Parlare di raptus è come dare una giustificazione alla azione violenta, come se chi avesse commesso un crimine lo abbia fatto perché improvvisamente qualcosa in lui è scattato, invece no, nel crimine niente è improvvisato, tutto accade perché il soggetto consciamente e/o inconsciamente, ha covato in lui una rabbia ed una aggressività tale da immaginare dapprima e commetterlo materialmente poi, il delitto. In pratica, l’omicida ha più volte prefigurato il delitto nel suo inconscio, la scena delittuosa la ha già vista nella sua mente. Chi afferma di aver ucciso perché si è sentito provocato o perché ha sentito un forte bisogno di scaricare la sua aggressività è, allora, un soggetto affetto da patologia grave quale ad esempio discontrollo degli impulsi, cosa però che andrebbe provata utilizzando anche strumentazione testologica adeguata. Altro motivo potrebbe invece essere che il soggetto stia recitando la parte di colui che è stato colto da raptus per giustificare la violenza commessa, per eludere una carcerazione dura o perché in realtà l’offender ha immaginato la sua fantasia omicidiaria, ma fino a quel momento non aveva avuto il coraggio di attuarla nella realtà”. 

Erroneamente, si pensa che l’autore di un omicidio sia quasi sempre affetto da disturbi mentali. Qual è la correlazione tra psicopatologia e crimini violenti? 

“Il più delle volte, un omicida non è affetto da disturbi mentali. Potrebbe, invece, essere affetto da disturbi del comportamento. Quello che può accadere in taluni soggetti è di presentare una marcata anomalia temperamentale, che però non fa di loro dei folli, piuttosto dei soggetti con personalità disarmonica, che presentano distonie del carattere, pure in questo caso uno psicologo e/o uno psichiatra può senz’altro ‘indagare’ la personalità dell’offender e capire se ritenerlo imputabile, ovvero capace di intendere e volere”.

Un altro errore che spesso commettono i media consiste nell’usare indifferente, come se fossero dei sinonimi, il termine femminicidio riferito all’uccisione della propria moglie o ex. Ci indicherebbe le differenze? 

 “Diciamo, che ormai il termine femminicidio è stato giornalisticamente sdoganato per indicare l’uccisione di una donna, ma in realtà era inizialmente nato come termine per indicare l’omicidio di genere, ossia l’uccisione di una donna, perché appartenente al genere femminile ed in quanto tale oggettivizzata, ridotta a oggetto da possedere e non soggetto, tipico di una cultura retrograda, non solo di paesi lontani, ma spesso ritrovata anche nelle cosiddette culture occidentali che si dicono più evolute. Detto questo, purtroppo, invece, la maggior parte delle donne che vengono uccise da partner o ex partner muoiono perché c’è conflitto all’interno della coppia o della ex coppia e i soggetti non riescono a mediare tra loro. Pertanto, o per recuperare indipendenza da un rapporto, o per gelosia nei confronti del proprio partner o ex partner, la relazione diviene insostenibile: non si riesce a tollerare più la relazione e la forte frustrazione si trasforma in vero e proprio odio verso l’altro, fino ad arrivare in certi casi all’omicidio. In altri, abbiamo visto dalle cronache, si arriva all’utilizzo dell’acido o addirittura all’uccisione, in alcune coppie, dei propri figli”.

Nella classificazione dell’omicidio in famiglia è presente anche l’infanticidio. Quali potrebbero essere le cause che spingono una madre, o un padre, a commettere questo tipo di crimine?

 “Qui il discorso è complesso e dovrebbe essere più articolato, però in breve posso dirle che questo tipo di omicidi alcuni soggetti lo compiono per ‘salvare’, a loro dire, dalle sofferenze e/o dagli stenti i propri figli, mentre altri soggetti compiono l’infanticidio anche per vendicarsi del proprio partner, punendolo proprio con l’uccisione dei figli al fine quindi di provocare nell’altro genitore un forte dolore e sofferenza”.

Qual è il comportamento dell’autore dopo l’omicidio? Secondo molti studiosi, l’uomo e la donna hanno comportamenti diversi dopo l’azione omicidiaria

 “Io non credo possano esserci distinzioni comportamentali dopo che un uomo o una donna commettono omicidio. La differenza potrebbe esserci nella motivazione che spinge all’omicidio o nel modus operandi”.

 Si ringrazia la Dottoressa Mary Petrillo

 Luigi Cacciatori

 Credit immagine di copertina: Alessandra Angelini


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