Musica, Paolo Benvegnù: Hermann, traghettatore di Anime
Cultura e Spettacolo

Musica, Paolo Benvegnù: Hermann, traghettatore di Anime

venerdì 6 maggio, 2011

«... se il suo petto fosse stato un cannone, gli avrebbe sparato il cuore»


Dopo i lavori con gli Scisma, dopo gli splendidi “Piccoli fragilissimi film” e “Le Labbra”, dopo la raccolta live di “Dissolution”, Paolo Benvegnù, uno dei cantautori più brillanti del panorama musicale italiano e non solo, ritorna sulle scene per presentarci “Hermann”. L'ultima sua creatura discografica rappresenta in un certo senso una svolta, non soltanto dal punto di vista strettamente musicale, quanto da quello contenutistico: lo sguardo del cantautore dalla voce di sabbia non è più ripiegato solo su se stesso, come quando, nei sui primi lavori da solista, ci svelava magnificamente la fenomenologia dell'Amore attraverso la contemplazione dei segreti più intimi dell'umano, dei calvari del cuore e della sua solitudine. Adesso lo sguardo va oltre, guadagnando una distanza, sullo spazio e nel tempo dell'uomo, percorribile in tutte le direzioni possibili (e impossibili). [MORE]

Una svolta non proprio inaspettata se consideriamo che l'io raccontato nel brano Io E Il Mio Amore, anello di congiunzione tra la vecchia e la nuova produzione, contenuto nella raccolta post sanremese curata dagli Afterhours, già racchiudeva in sé una connotazione plurale, un riferimento all'identità non più soltanto individuale ma collettiva, spia di un'urgenza interlocutoria poi finalmente esplosa con Hermann.
Riferimento riscontrabile già a partire dal nome della band che sottolinea la sua identità nell'articolo determinativo plurale: “I” Paolo Benvegnù (Andrea Franchi, Guglielmo Ridolfo Gagliano, Luca Baldini, Michele Pazzaglia, Paolo Benvegnù). Tutto il disco, infatti, risulta essere il frutto del contributo di ciascuno e assume la forma di un'opera corale lineare dal punto di vista tematico e poliedrica nella scelta delle soluzioni musicali, sempre però stilisticamente coerenti.

Hermann è un'opera complessa, densa, stratificata. E' un disco da leggere, un libro da ascoltare, una “colonna sonora di un film mai girato”. 

Che si presta a più letture e livelli d'interpretazione, come certi libri di Hermann (non a caso) Hesse, basti pensare al Gioco Delle Perle Di Vetro.
Costruita come i grandi romanzi ottocenteschi che, a partire dai dissidi esistenziali e dalle contraddizioni dell'anima dei protagonisti (“nascondi la verità
non stai tornando a casa
stai solo cercando tregua”), traducono l'inquietudine interiore in situazioni simboliche e allegoriche (“e come Ulisse poi distruggi senza senso Troia”), senza però rinunciare alla rappresentazione concreta e realistica del quotidiano (“i giornalisti, le borse nere, il pane”).
L'urgenza di esplorare la realtà e il tentativo di raccontarla sfociano nel simbolismo e il ricorso alla sublimazione letteraria è frutto di un preciso intento narrativo che si contrappone all'arido didascalismo stilistico tipico di certi scrittori del Novecento, come quello che fu di Miller, apertamente criticato nella geniale Good Morning, Mr. Monroe! (“Dove sei? Dove siamo? Tutti in fila a scegliere uno stile che decida per noi”).
Tantissimi, dunque, i riferimenti letterari. Esplicito in Achab in New York il riferimento a Moby Dick, il romanzo di Herman (ancora) Melville ed in particolare ai suoi personaggi, primo fra tutti il capitano Achab, in fuga con il suo equipaggio dall'abisso dell'oceano, metafora del dolore universale che l'uomo può cercare di rendere più sopportabile rifugiandosi nell'arte (“come le stelle che si attraggono per esplodere e creare”).
Riconosciamo il Sartre de L'essere e il nulla in Sartre Monstre: l'estraneità della coscienza alla vita ("e intanto resti immobile") genera mostri, ma la rinuncia ad essere è solo il frutto di un atto volontario ("e se non vuoi nemmeno l'ombra di un sogno
e l'abitudine al margine è il solo tuo desiderio"). Hermann ci mostra il cammino dell'Uomo, la sua discesa negli abissi, il peccato e la catarsi.

Quella d(e)i Paolo Benvegnù è un'operazione ambiziosa quindi, ma non per questo poco umile.
Non è un caso, infatti, che l'introduzione del disco parta da un libro fittizio di Fulgenzio Innocenzi, una stilizzazione da chanson de geste tesa a smentire la pretesa di possedere ed imporre verità universali.

Quello di Hermann è un viaggio esistenziale che muove dal bisogno disperato di conoscenza (“Non avendo risposte incominciai a camminare”), dentro e fuori un Tempo che è insieme durata storica e flusso di coscienza, alla maniera di Bergson, in cui la ricerca del sé è indissolubilmente legata alla comprensione del noi, dove il recupero del passato e della nostra storia, attraverso l'incontro di personaggi biblici e figure mitologiche (Mosé, Ulisse, Andromeda, Perseo, Narciso), risulta indispensabile per la costruzione di un nuovo presente (“distruggere per costruire”), più giusto e consapevole (“per distinguere il tempo perso da quello vissuto”).

Con Hermann discendiamo negli abissi del peccato primordiale (“ma poi finirono le terre ed inventammo dio, lo trafiggemmo all'alba l'ultima volta che provò a sorridere”), con lui vediamo “l'immenso assordante accecante silenzio delle anime arrese tendere gli archi trafiggendo i poeti” e ci sentiamo tutti colpevoli per averla “fatta pagare a mio padre e a quelli che come lui hanno creduto alle parole perfette e al mio maestro elementare che mi parlava delle stelle e del rispetto per chi giudica e dell'amore per chi non ha niente”. Con lui riconosciamo la nostra colpa più grande, la più imperdonabile: quella di aver deposto la nostra umanità ai margini di un'esistenza di superficie che si accontenta di “amare ogni cosa perché non c'è altro da fare in un giorno qualsiasi nel traffico”, rinunciando alla profondità, alla ricerca, al dubbio, alla scelta.

Un lamento, tragico e sofferente, che diventa nonostante tutto preghiera (“che i figli possano abbracciare i padri e tornare a vivere e a scegliere”) e desiderio dell'Anima (“navi senza vento nell'oceano senza fine chiedono alle stelle di trovare posizione”) che può, finalmente, riscoprirsi pronta per l'Amore. Riconoscerlo. Accoglierlo, accettandone il privilegio e il rischio. Ammettendo, come Jane, che “chi non gioca non perde mai”.

Allora, il senso del viaggio di Hermann è proprio questo: il viaggio stesso (“un viaggio senza destinazione significa destinazione”). Ritorniamo ad essere naviganti senza approdo. L'invito è ad andare.

Rinunciare ad Hermann significherebbe rimandare ancora una volta l'appuntamento con la vita. E se dovesse capitarvi di incontrare il volto di un signore anziano, con le mani di una bambina (Her/Man) poggiate sugli occhi (come a dire che conoscere è prima di tutto guardarsi dentro attraverso un recupero della facoltà del sentire) sporche di sangue (di chi non importa, siamo tutti un po' vittime e un po' carnefici), non abbiate paura, è solo la vostra coscienza che vuole parlarvi.

Io Hermann l'ho incontrato e ho visto un'alba bellissima.

Lidia Tagnesi

 

Tracklist:
01. Il Pianeta Perfetto
02. Moses
03. Love Is Talking
04. Avanzate, Ascoltate
05. Io Ho Visto
06. Andromeda Maria
07. Achab In New York
08. Sartre Monstre
09. Good Morning, Mr. Monroe!
10. Date Fuoco
11. Johnnie And Jane
12. Il Mare e' Bellissimo
13. L'Invasore

Sito internet http://www.paolobenvegnu.com/

photogallery del concerto di Benvegnù al Palapartenope di Napoli: http://www.flickr.com/photos/lidiatagnesi/sets/72157626453836259/


Autore
https://www.infooggi.it - Il Diritto Di Sapere

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