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Disconnect, anche la cyber-paccottiglia ha un senso

Antonio Maiorino
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La Rete non funziona: quella distributiva, perché Disconnect arriva in Italia con due anni di ritardo; e quella intesa come Internet, nei nodi paradossalmente antisociali dei social network. Prova a raccontarlo Harry Alex Rubin, con l’ambizione di una fiction alla Crash, che si scontra presto con i limiti d’un semplicismo didascalico, funzionale al senso educativo del film, ma avvilente rispetto ad ogni aspirazione qualitativa.

Una giornalista contatta un ragazzo che vende il proprio corpo in videochat allo scopo di realizzare un reportage: non vince il Pulitzer e si complica la vita nel tentativo di redimere il giovane. Due bulletti, di cui uno orfano di madre e con un padre dai modi poco calorosi, adescano un adolescente con un profilo femminile falso: lo scherzo, di pessimo gusto, comporta tragiche conseguenze e mezzi rimorsi.[MORE] Una coppia sta per scoppiare a causa d’un lutto che crea una cortina di gelo, ma si riunisce nella sventura delle trappole del web: lei finisce a chattare con uno sconosciuto dalle intenzioni dubbie, lui accumula debiti col gioco online. Mal (di internet) comune, mezzo gaudio.

IN REALTÀ È UN WIRELESS - La connessione escogitata da Disconnect è vagamente concettuale, visto che veri incroci di traiettoria non sussistono tra i filoni narrativi, salvo un generico “com’è dura l’avventura sul web”. Dura anche girare un film di questo tipo, in cui diventa fisiologico assecondare la ricognizione del virtuale con ammiccamenti giovanili, come le scritte in sovrimpressione che compaiono in perfetto stile chat\whatsapp: un artificio plausibile, ma che cozza col complessivo impianto realistico, fatto d’inquadrature in presa diretta ed infiltrazioni "verità" in ambienti di lavoro, mense scolastiche o camere da letto. Nello stesso modo in cui, peraltro, stride – rivelando la modestia del savoir faire d’un documentarista che passa muscolarmente alla finzione – l'insistito ralenti delle sequenze finali: interminabile come l’attesa d’uno spunto davvero originale che sappia elevare il pistolotto.
 

CRASH, NON L'ORIGINALE - Bene, dunque, porre sul tavolo una questione scottante, come quella delle nuove forme d’illegalità viralmente coltivate sul Internet, o della cassa di risonanza che la Rete fornisce, con pseudo-scappatoie, ai microdrammi familiari. Apprezzabile anche la struttura da thriller, favorita dal montaggio incalzante. La stessa struttura, tuttavia, supporta con fin troppa linearità un tema la cui complessità si riduce in sentimentalismo dal punto di vista emotivo e in arruffona prevedibilità da quello diegetico: concluderne, come ha fatto qualche testata puntualmente citata sul poster promozionale, che sia "il film dell'anno", vorrebbe dire avallare un fake. Poco ci manca che il tutto crashi come un pc difettoso, altro che sottigliezze alla Haggis. La tensione erotica tra la giornalista ed il ragazzotto, con patetici baci rubati e paternali nemmeno troppo convinte, è solo una delle tante scelte che abbassano lo stile, divaricando il livello drammaturgico dall’altezza degli intenti. Diciamo cyber-paccottiglia, ma diciamo anche – almeno – non inutile.

DATA USCITA: 09 gennaio 2014
GENERE: Drammatico, Thriller
ANNO: 2012
REGIA: Henry Alex Rubin
SCENEGGIATURA: Andrew Stern
ATTORI: Jason Bateman, Hope Davis, Frank Grillo, Michael Nyqvist, Paula Patton, Andrea Riseborough, Alexander Skarsgård, Max Thieriot, Jonah Bobo, Colin Ford, Haley Ramm, Kasi Lemmons
FOTOGRAFIA: Ken Seng
MONTAGGIO: Lee Percy
MUSICHE: Max Richter
PRODUZIONE: LD Entertainment, Wonderful Films
DISTRIBUZIONE: Filmauro
PAESE: USA
DURATA: 115 Min


Antonio Maiorino
critico cinematografico - on Twitter


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Scritto da Antonio Maiorino

Giornalista di InfoOggi

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