InArt - Intervista a Rero, Supervised Independence
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InArt - Intervista a Rero, Supervised Independence

domenica 22 dicembre, 2013

 ROMA, 22 DICEMBRE 2013 – Prosegue l’indagine sulle alte frequenze della Street Art, movimento artistico al limite della legalità, tra censura e auto-censura, a un passo dallo spettatore, coinvolto in una partita senza regole, in streaming o in diretta, mai scontata.
E’ la volta della personale dell’artista francese Rero, per la prima volta in Italia, dal titolo “Supervised Independence” (a cura di Giuseppe Ottavianelli, fino al 25 gennaio 2014), che è parte del progetto internazionale “Public and Confidential”, avviato dalla Wuderkammern Art Gallery di Roma con la rassegna su Dan Witz.

Agli interventi pubblici creati dallo street artist in diversi luoghi della città, come l’opera sul muro dell’edificio del DAMS dell’Università degli Studi di Roma Tre, realizzata in collaborazione tra Wunderkammern e NUFactory in occasione del vernissage dell’evento e del quinto anniversario della galleria romania, si alternano i lavori di un percorso espositivo variegato, dove la pittura dialoga con la scultura e l’installazione, in una coesistenza di linguaggi non solo espressivi.
L’arte concettuale di Rero (classe 1983), ritmata da suggestioni letterarie, fa riflettere sulle sfide del nostro tempo, sulle contraddizioni del processo di costruzione della memoria collettiva e sui temi dell’individualità.
Alle origini della sua singolarissima visione, l’acronimo WYSIWYG - What You See Is What You Get – (letteralmente, “Ciò che vedi è ciò che avrai”).

Rero ha risposto alle domande di infooggi.it

“Supervised Independence” è il titolo del progetto espositivo presentato alla Wunderkammern. Quale messaggio si propone di trasmettere?
Questo ossimoro, usato per descrivere lo status del Kosovo, è decisamente enigmatico. L’ex provincia jugoslava (allora serba) è infatti ormai una Repubblica “indipendente”, ma controllata e giuridicamente riconosciuta solo da una parte della comunità internazionale. Si tratta di una situazione paradossale, cristallizzata in una espressione che unisce due parole dal significato teoricamente incompatibile, come ha spiegato Luc De Brabandere. Infatti, sul piano semantico è difficile combinare il concetto di indipendenza, di supervisione e controllo. In generale, l’antilogia è ambigua: «L’educazione ricevuta ci ha trasmesso un pessimo concetto di ambiguità. A scuola il precetto era chiaro: deve essere eliminata. Ci sono amici e nemici. L’uno o l'altro. Una porta deve essere aperta o chiusa. Bisogna scegliere. Tutta la logica di Aristotele si attiene a questa regola. Cartesio non intendeva trattare che di idee chiare e definite. Guai alle sfumature, o peggio alle contraddizioni».

Il suo modo di fare street art ha condotto la sua ricerca verso la negazione dell’immagine, può spiegarci brevemente la sua visione?
Agli esordi la mia fonte d’ispirazione era l’arte americana, con i suoi graffiti e le immagini che scovavo nei magazine. Dopo aver affrontato diversi esercizi di stile per un decennio, i codici della Graffiti Art iniziavano ad andarmi stretti. Non avevo mai vissuto a New York, quindi non volevo mentire a me stesso ; inoltre, ero sempre più deciso a intervenire negli spazi pubblici urbani ma in modo più personale. Ho allora rivisto il mio stile, tradotto in chiave tipografica, e adottato il carattere Verdana, che è il più leggibile, pulito e diffuso del web. Ho poi rimosso tutte le immagini dai miei interventi, usato esclusivamente il bianco e nero e provato a creare “immagini” in situ con parole, citazioni, che ho barrato sistematicamente con una spessa linea nera. Questa è quella che chiamo “la negazione dell'immagine” nel testo.

Al centro della sua indagine l’individualità della persona. Il confine tra pubblico e privato nell’arte?
Mi piace mettere in discussione i confini tra pubblico e privato. Questo è il motivo per cui amo intervenire in strada e deviare i supporti materici dalla loro funzione primaria. I miei lavori sono interventi all’interno di paesaggi naturali, su cartelloni pubblicitari, muri... in spazi pubblici in generale. Mi attira anche la relazione tra ciò che è dentro e ciò che è fuori; è per questo che a volte ricorro a medium utilizzati solitamente in ambienti chiusi (libri, certificati, piatti, tovaglioli, ecc).
In un mondo dove tutto può essere svelato via internet, voglio mettere in discussione i limiti della sfera intima con ciò che pubblichiamo sul web, intenzionalmente o meno, consapevolmente o inconsapevolmente : TUTTA LA TUA VITA E’ ONLINE... Per la mostra di Roma, in particolare, mi sono occupato degli asciugamani stesi ai bordi delle finestre. In effetti, questo piccolo pezzo di tessuto, che è molto intimo, a contatto con il corpo, lo abbiamo esposto alle nostre finestre come la nostra vita privata mostrata sul web.
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Verso quale artista o designer si sente particolarmente in debito?
Senza esitare… Tania Mouraud! Ha dato impulso a una ricerca che si può cogliere oggi nei diversi interventi al di fuori del nostro movimento. Un grande Grazie!

Mai senza…
Senza... il mio taccuino d’appunti!!! E' il mio hard disk esterno.

 


«All’inizio del XXI secolo, alla fine del secondo millennio ed all’inizio del terzo possiamo rifondare il calendario, il tempo maturo di una creatività che sceglie di scavalcare il futuro e cavalcare il presente. Tempo di solidarietà è questo tra artisti e corpo sociale, tempo anche di emergenze che toccano la vita dell’intero pianeta.
L’arte non serve a risolvere problemi ma a produrre domande, moti di coscienza sui molti nodi del nostro mondo. Da qui la natura ecologica della creazione artistica, il bisogno etico di Rero, appartenente all’ultima generazione, di rappresentare un segno di resistenza morale, una costruttiva volontà del vivere e del riflettere nei confronti della deriva sociale e politica e di un caos che è sempre irreversibile
».
                                    (Cit. dal testo critico di Achille Bonito Oliva “La denegazione dell’Arte”)

 

(Immagini: Courtesy Rero, Wunderkammern e Pascal Pino)

Domenico Carelli


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