Torino Film Festival 41: "Dance First" di James Marsh su Beckett convince a metà. In concorso un bizzarro campeggio e una distopia ecologista
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Torino Film Festival 41: "Dance First" di James Marsh su Beckett convince a metà. In concorso un bizzarro campeggio e una distopia ecologista

martedì 28 novembre, 2023

Il 28 novembre in concorso Camping du lac, storia "senza storia" di un singolare campeggio su di un lago infestato da un pesce gigante e White Plastic Sky, distopia a tema ambientale sulla crisi dell'umanità a secco di risorse e alle prese con una scelta estrema. Fuori concorso Dance First, biopic un po' smielato ma complessivamente ben confezionato di James Marsh su Samuel Beckett


Camping du lac di Eléonore Saintagnan (70’, concorso lungometraggi)

Avventura stralunata e poco avventurosa di una viaggiatrice solitaria che resta con l’auto in panne in Bretagna e in attesa della riparazione si accampa in un pacifico ma singolare villaggio. Residenti e turisti sono convinti che nelle acque del lago ci sia una sorta di pesce gigante. La donna si stanzia a sua volta, vaga, conosce storie, s’immerge nelle dicerie e ne fa tutta una fiction mentale. In un film tutto basato sulle storie della gente e sul punto di vista stranito e curioso della protagonista, il paradosso è che la storia sia esilissima, e che si veda poco. Ma la stoffa ci deve essere, nascosta come la creatura nelle profondità delle acque – se è vero che con questo film la giovane regista di Bruxelles ha vinto lo Special Jury Prize Ciné+ al Festival di Locarno. Probabile che ci si lasci trascinare, più per lenta anestesia che per genuino entusiasmo, nell’attitudine osservante del film, nella sua ironia leggera, nel suo sguardo divertito sull’umanità. E non è poco.


 

White Plastic Sky di Tibor Bánóczki e Sarolta Szabó (111’, concorso lungometraggi)           

   

La radice della storia c’è. Nel 2023 l’umanità, alle prese con penuria di risorse, riesce a sopravvivere solo attraverso uno scambio: all’età di 50 anni ogni cittadino rinuncia al proprio corpo per trasformarsi in albero. Uno psicologo s’infiltra nella secretatissima cittadella delle metamorfosi per recuperare il corpo della moglie, ancora 32enne, e dissuaderla dal sacrificio volontario. Film d’animazione in linguaggio realistico, con una distopia realissima nelle premesse ma ovviamente visionaria negli esiti narrativi. Vien fuori un road-fanta-movie dalle implicazioni etiche, che rinuncia al corpo dell’adrenalina per votarsi  a considerazioni etiche e atmosfere suggestive. Paesaggi virtuali impressionanti, nonostante qualche effetto wallpaper. In certe fasi del viaggio si capisce cosa vorrebbe essere il film e cosa non sarà mai: uno di quei film di fantascienza alla Tarkovskij, intrisi di silenzi, che trascinano in una Zona metafisica. Ci si riesce solo a metà, sul piano formale per le indecisioni tra l’animato e il reale, su quello del contenuto per il finale che scontenta un po’. Meglio il viaggio che la destinazione.




      

Dance First di James Marsh (100’, fuori concorso)

 
Assurdamente complicato, ma James Marsh ci ha provato: fare un biopic su Samuel Beckett. Impresa scogliosa, che parte col giusto estro onirico dell’ouverture in cui il letterato irlandese, alla proclamazione della vittoria del Nobel, si dà alla fuga dalla platea in abito da sera verso l’antro della propria coscienza. Vi trova il suo doppio, col quale dialogherà – per capitoli – lungo tutto il film, in un campo e controcampo dosatamente ironico e giustamente – appunto – assurdo. Scelta rispettabile: puntare sulla biografia dell’uomo e meno sulla teoria letteraria, muovendo dalla conoscenza giovanile con Joyce, con ampie digressioni sulle donne della sua vita (Suzanne su tutte) fino alle imprese di guerra e al successo della maturità (peraltro sgradito alla consorte). Bianco e nero incrollabile per due terzi del film, alcune frasi memorabili e avanti, marsh! fluidamente fino alla parte finale (anche grazie al bravo veterano Gabriel Byrne), quando Marsh altera l’equilibrio narrativo come ne La teoria del tutto (biopic su Stephen Hawkins), abbandonandosi un po’ troppo al sentimentalismo. Che a più di qualcuno, comunque, piacerà. Provaci ancora, Sam – pardon: James.

    



 



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