Astronomia, ecco la prima immagine di un buco nero: è già la foto del secolo
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Astronomia, ecco la prima immagine di un buco nero: è già la foto del secolo

mercoledì 10 aprile, 2019

BRUXELLES, 10 APRILE – I responsabili dell’Event Horizon Telescope hanno annunciato una straordinaria conquista scientifica: i radiotelescopi del progetto internazionale di studi sono riusciti per la prima volta nella storia ad osservare direttamente e fotografare l’ombra di un buco nero. L’annuncio odierno fa seguito alla scoperta del 2016, quando lo stesso consorzio scientifico impiegò un sistema di onde gravitazionale per dimostrare definitivamente l’esistenza di questi corpi celesti, per decenni coperti da un alone di mistero.

Previsti già un secolo fa da Albert Einstein, tali oggetti risultano particolarmente sfuggenti agli occhi di un telescopio, per quanto sofisticato questo possa essere, dal momento che sono caratterizzati da un campo gravitazionale così intenso che nulla al loro interno può sfuggire all’esterno, nemmeno la luce (che normalmente è l’obiettivo principale delle osservazioni astronomiche): nessuna particella di materia né alcun tipo di energia può allontanarsi da un buco nero, una volta attratta dalla gravità di quest’ultimo.

Già dal 2014, il Consiglio Europeo della Ricerca (ERC) ha deciso di finanziare il progetto EHT (cui partecipano anche gli Istituti italiani di astrofisica e fisica nucleare) proprio al fine di catturare l’immagine oggi pubblicata, nel frattempo divenuta ambitissima da tutti gli scienziati del settore. Le ricerche sono state coordinate da Luciano Rezzolla (direttore dell’Istituto di fisica teorica di Francoforte), Heino Falcke (della Radboud University di Nimega) e Micheal Kramer (della Royal Astronomical Society) e si sono sin dal principio concentrate sulle tracce dei 2 più grandi buchi neri conosciuti: uno di essi si trova al centro della Via Lattea ed è chiamato Sagittario A, l’altro è invece situato nella galassia Virgo A (M87).

Proprio quest’ultimo è stato alla fine individuato dai radiotelescopi posizionati in vari punti del globo terrestre, che sono riusciti finalmente ad immortalarlo: esso appare come una sfera oscura, circondata da un anello rossastro (la sua immagine non è dunque lontana dalle ricostruzioni ipotetiche realizzate negli ultimi anni), dista circa 55 milioni di anni luce dal nostro pianeta ed ha un’impressionante massa di 6 miliardi e mezzo di volte più grande di quella del Sole (a sua volta, 332.946 volte quella della Terra).

Quest’ultima caratteristica è dovuta appunto al fatto che enormi quantità di materia vengono attratte dal campo gravitazionale dei buchi neri e per questa ragione sono in particolare quelli che si trovano al centro delle galassie a divenire supermassicci. Tuttavia, tutta la materia che viene da essi attratta si surriscalda nel movimento ed emette luce: è proprio grazie a quest’ultima, pertanto, che è possibile rilevare il cono d’ombra nel quale si trova il buco, come accaduto in questa prima osservazione radiotelescopica. Come ha spiegato il direttore Luciano Rezzolla, dall’interno della superficie di questi corpi celesti nessuna informazione può essere scambiata con l’esterno, di conseguenza la loro importanza per lo sviluppo dell’astrofisica consiste nel fatto che il loro orizzonte rappresenta un limite del tutto invalicabile alla possibilità di esplorare l’universo.

Ciò non toglie però valore scientifico alla conquista odierna – nel frattempo annunciata in sei articoli di un numero speciale della rivista Astrophysical Journal Letters e presentata in una conferenza stampa a Bruxelles dal Commissario Europeo per la Ricerca, la Scienza e l’Innovazione, Carlos Moedas. Essa rappresenterà infatti il punto di partenza per un’osservazione dei buchi neri da lontano, cercando di comprendere in particolare cosa accade alla materia da essi attratta. Secondo lo stesso Rezzolla, del resto, sarebbe già possibile predire con sufficiente approssimazione come apparirebbe la regione di plasma che è più prossima al cono d’ombra, l’orizzonte oltre il quale anche l’esplorazione astronomica non potrà che arrestarsi.


Francesco Gagliardi


Fonte immagine: media.inaf.it


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