BREVE STORIA DEGLI ALBANESI IN ITALIA di Mario Martino - Indigeni dell'Epiro, abitanti di quella regione che anticamente era l'Illiria greca, ossia l'antica Macedonia che si estendeva tra il fiume Drilo e i monti Acrocerauni fino ad Arta, gli Albanesi conservarono da sempre costumanza e lingua autoctona[MORE]Infatti Quinto Curzio e Platone ci assicurano che essi parlavano la lingua macedone, che erano per l'appunto, l'Illirica, l'Epirotica, l'Albanese.
Gli albanesi possono gloriarsi di aver avuto tra i loro progenitori Achille, Alessandro e (un) Pirro, della cui progenie, l'ultima, la pronipote Deidamia, governò per molto tempo quella regione.
Estinta la stirpe di Pirro con la morte di Deidamia, la Macedonia passò sotto il dominio romano di Paolo Emilio, divenendo così una regione libera di autodeterminarsi con proprie leggi e con propri regnanti, ma, di fatto, soggiogata dai predatori delle zone circostanti.
Quel tratto di territorio che si estendeva dalla Serbia sino alla Dalmazia, che un tempo si chiamava Nuovo Epiro, ebbe per sovrano Costantino Castriota Mesereco, padre del suo successore Giorgio, a sua volta avo di Giovanni, detto il Gran Scanderbeg.
Questo Giovanni, dopo aver riportate 23 vittorie contro le potenze belliche di Amurat Secondo e Maumet Secondo, e dopo aver riconquistato il regno dei suoi avi all'usurpatrice potenza ottomana, governò questo popolo che conobbe così un'epoca di pace e di sicurezza.
Ma quando Giovanni morì nell'anno 1467, Maumet Secondo ritornò con successo alla riconquista cruenta dell'Albania. In questo periodo, tantissimi albanesi, per non essere sottoposti alla rabbia feroce dell'invasore, cercarono riparo nel Regno di Napoli, che a quell'epoca era sotto il dominio di Ferdinando Primo.
Dopo questo primo epocale esodo di massa verso l'ovest europeo, ne seguirono altre tre: la prima sotto Carlo V, una seconda sotto Filippo IV e la terza durante il regno di Carlo di Borbone.
In questi tre diversi contesti storici gli albanesi fondarono comunità e piccoli centri divenuti poi veri e propri paesi in diverse zone dell'Italia Meridionale, le cui storie, talvolta frammiste a leggenda, furono trattate (anche in passato diverso e in diverse epoche) da moltissimi letterati, ricercatori e cronisti tra i quali Barletto ("De vita moribus, ac rebus gesti Scanderbeg"), Biennià ("Istoria di Scanderbeg"), Moreri ("Gran Dizionario Istorico, articolo Scanderbeg"), Rodotà ("Del rito greco in Italia"), Masci ("Discorso sull'origine degli Albanesi"), e altri.
Ma non soltanto: il primo e più importante riferimento letterario (che dovrebbe stimolare di più gli storici e gli umanisti ad un interesse più gratificante e più ossequioso nei riguardi di queste popolazioni) è l'Iliade di Omero.
Infatti, nella sua opera, il grande cantore, dedica pochi ma mirabili e affascinanti versi con i quali esprime la gioiosità della danza zamica degli antichi albanesi.
Infatti il grande Omero recita (traduzione del Monti):
"...Delle tende al chiaro
Per le contrade ne venian condotte
Al talamo le spose, e Imene Imene
Con molti s'intonavan inni festivi:
Menan carole i giovinetti 'n giro,
Da' flauti accompagnati e dalle cetre,
Mentre le donne sulla soglia ritte
Stan, la pompa a guardar meravigliose".
Da ciò ne deriva che, oltre alla particolare attenzione sulla sacralità culturale delle costumanze albanesi, non solo per motivi culturali, storici e sociali, ma anche per conoscere più profondamente le caratterialità tipiche calabresi, è necessario che coloro i quali, al dì d'oggi, sono i referenti politici, economici e imprenditoriali della nostra regione, si facciano promotori, nelle scuole, nelle piazze dei paesi, nell'imprenditoria turistica, di tutte quelle proposte culturali che questo magnifico mondo albanese offre ai popoli magnogrecanici, nel conservare tradizioni e costumi pregni di bellezza e indelebili segni nella storia delle civiltà mediterranee.
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