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Così è (se gli pare). Una luce puntata su una zona d'ombra

Giulia Farneti
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Così è (se gli pare). Una luce puntata su una zona d'ombra
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BOLOGNA, 14 FEBBRAIO 2013 - Con il freddo e l’abbassamento della temperatura, si è nuovamente aggravata la triste realtà di alcuni clochard che sono deceduti per il freddo a Napoli, a Roma, a Salerno, in tutte le città italiane e non solo. L’indigenza colpisce chiunque, soprattutto chi voce non ne ha. Nel capoluogo emiliano – romagnolo, nel 1993 è nato il giornale di strada Piazza Grande. È stato realizzato nel dormitorio bolognese di via Sabatucci da un gruppo di senzatetto, volontari, sindacalisti della CGIL e giornalisti per diffondere i temi dell’esclusione sociale mostrando il punto di vista degli esclusi e per poter rappresentare una fonte di reddito per gli homeless che poi lo avrebbero venduto per le strade della città. Serve per informare i lettori ma anche a creare una rete sociale che permetta di affrontare meglio questa realtà. La povertà è l’indifferenza generale e soprattutto la totale apatia della politica. Ecco cosa pensa Alessandro Bertolucci. [MORE]

Lo scorso 22 gennaio è morto in una fredda notte a Napoli Franco, un clochard ritrovato in un angolo della Galleria Umberto di Napoli. Nello stesso mese, sono stati ritrovati in un sottopassaggio a Roma nelle vicinanze di Via Veneto i corpi carbonizzati di due senza fissa dimora; si erano riparati dal freddo in una piccola nicchia del tunnel e per riscaldarsi avevano acceso un fuoco con dei cartoni. Anche a Salerno è stato ritrovato un senzatetto morto. Sempre più sono le vittime di questo maltempo. Per i senza fissa dimora vivere in queste notti di freddo senza un rifugio diventa difficile.

Il problema dei senzatetto investe quasi ogni Paese del globo e la crisi in atto non fa altro che peggiorare la situazione aumentando il numero di coloro che non hanno una casa e tagliando le risorse disponibili alle eventuali soluzioni. Come se non bastasse in estate il caldo eccessivo, ma soprattutto in inverno il freddo pungente trasformano l’emergenza in un vero a proprio dramma. Nelle grandi città, come Roma ad esempio, periodicamente si aprono le stazioni della metropolitana per offrire un riparo a chi non riesce ad accedere ai dormitori, molti dormono sotto i cavalcavia, sui marciapiedi, negli ingressi riparati dei negozi chiusi. In Polonia una delle ultime ondate di freddo ha spinto molte persone a cercare rifugio nei tombini, pratica già in uso sicuramente una decina di anni fa, c’ero e purtroppo l’ho visto con i miei occhi, in Romania a Bucarest. In Uruguay e Argentina, fintanto che il clima è mite, chi non ha un tetto sopra la testa dorme nei parchi, per la strada, in riva al fiume; quando le temperature si fanno più rigide androni di condomini, cantine e sottoscala sono spesso occupati per l’intera stagione. La soluzione non è a portata di mano. La solidarietà fra queste persone non è impossibile, ma certo non comune. L’aspetto veramente brutto della faccenda è invece l’indifferenza generale. Agli occhi di chi un’abitazione ce l’ha e spesso anche dal punto di vista delle amministrazioni locali, essere senza casa non è visto tanto come un disagio o un dramma che colpisce un essere umano, ma bensì come un problema di decoro urbano. Le panchine anti-bivacco e le zone proibite all’accattonaggio non hanno mai portato ad una soluzione definitiva del problema.

Davanti al cimitero di Verano, nella Capitale, ci sono i cosiddetti invisibili. Nella mattinata si recano al lavoro, la sera si rintanano silenziosi nelle roulotte. Godono di uno stipendio o di un’economica pensione, ma non riescono a pagarsi una casa. Usano, perciò, i bagni del cimitero e l’acqua delle fontane. Questo è solo un esempio. Esseri umani soli che vivono fuori, al freddo, in guerra con il mondo; nonostante questo cercano di custodire la loro dignità. Sono sotto gli occhi di tutti, ma perché quasi nessuno cerca di aiutarli?

La crisi, e le conseguenti politiche nazionali miranti al risanamento delle finanze italiane hanno colpito in particolar modo la cosiddetta classe media che, spremuta all’inverosimile, ha lasciato molte vittime sul campo. Oltre ai vari suicidi che hanno fatto brevemente notizia, ai fallimenti di piccole a medie aziende ridotti a mere statistiche, ci sono tante persone che hanno perso tutto o quasi e che notizia non fanno; non la fanno perché molte di queste persone si vergognano. Cercano di non fare numero alle mense caritatevoli, raramente si rivolgono ai servizi sociali non concependo e non accettando il fatto di averne bisogno. Il lavoro o la pensione sono l’ultima barriera all’indigenza che avanza, l’orgoglio impedisce di chiedere aiuto, e le due cose insieme nutrono la speranza di ristabilire l’ordine delle cose. Anziani o genitori con minori, sopraffatti dalla nuova condizione rompono gli indugi e chiedono aiuto, ma coppie e single restano molte volte nell’ombra. Ma di questi tempi tutto è precario, in particolar modo il lavoro e queste persone vivono sul filo del rasoio.

Un tempo l’emergenza povertà riguardava soprattutto gli extracomunitari, ora coinvolge molti italiani. Sono le nuove povertà, le sempre più spesso ignote o ignorate condizioni di disagio determinate dalla disgregazione familiare, come separazioni e divorzi. Interessano non solo la media borghesia e la classe impiegatizia che non riesce ad affrontare la quotidianità, figuriamoci le emergenze.

Ogni persona ha la propria storia; andando a parlare con chi si occupa dei servizi sociali e con alcune di queste persone si colgono le sfumature, le differenze che corrono fra coloro che sono stati investiti dalla povertà. La varietà è tale da rendere difficile anche una definizione di povertà o di povero. Una fascia di popolazione così ampia da non poterne delineare i confini. Ci sono tuttora moltissimi stranieri con alle spalle storie di miseria, immigrazione clandestina, sfruttamento e infine abbandono, ma non mancano nemmeno persone rovinate dalla dipendenza di ogni genere, tanti ultimamente dal gioco. In questa fascia variegata e variopinta ci sono anche milioni di italiani che fino a qualche anno fa non immaginavano neanche lontanamente di dovere ricorrere ai servizi sociali, ai dormitori e alle mense. Spaventa il numero in costante crescita e la totale indifferenza della politica al fenomeno. Si snocciolano percentuali e si mostrano grafici, ma la sensazione che se ne ricava è la stessa dell’arancia, una volta spremuto via il succo la buccia si butta. Magari mi sbaglio, lo spero sinceramente, ma varcare la soglia di povertà è di nuovo, come in altri casi in Italia, diventare cittadini di serie B, C o più giù nell’alfabeto. I programmi elettorali non mi hanno certo colpito in quanto a politiche in questa direzione, ho sentito poco o niente. Ed è desolante.

Piazza Grande è il primo giornale di strada italiano. È nato a Bologna nel 1993 all’interno del dormitorio bolognese di via Sabatucci e realizzato da un gruppo di senza casa, volontari e sindacalisti della CGIL che si occupavano di marginalità, insieme ad un gruppo di giornalisti. A cosa serve un giornale di strada? A fare da faro e campanello d’allarme verso i lettori?

Sicuramente un giornale serve ad informare i lettori su certi accadimenti. In questo caso può veramente essere una luce puntata su una zona d’ombra, l’occasione per fare sapere quale è la realtà delle cose. Oggi non rendersi conto della situazione significa non volere vedere. Non ci sono mai state scusanti, ma in particolar modo adesso, in un momento in cui un nostro conoscente, un parente o addirittura noi stessi potremmo inaspettatamente ritrovarci fra “i nuovi poveri” dobbiamo vedere, capire e reagire. Ai tanti giornali, spesso locali, si aggiungono adesso i blog come ad esempio fuoribinario.org con il proprio giornale a Firenze, tanto per citarne uno a me vicino in tutti i sensi. Credo che queste iniziative siano importanti per creare non solo informazione ma reti sociali che permettano di affrontare in modo sempre più adeguato una realtà mutevole, per adesso sempre in peggio.

Giulia Farneti e Alessandro Bertolucci
 


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Scritto da Giulia Farneti

Giornalista di InfoOggi

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