Costruire per distruggere e ricominciare: intervista ai Voina Hen
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Costruire per distruggere e ricominciare: intervista ai Voina Hen

martedì 27 ottobre, 2015

SOVERATO (CZ), 27 OTTOBRE 2015 - I Voina Hen vengono da Lanciano, tra la primavera e l'autunno del 2014 registrano il loro primo disco ufficiale affiancati da Marco "Diniz" Di Nardo e Manu "Max Stirner" Fusaroli. Il disco è uscito pochi giorni fa per l'etichetta milanese Maciste Dischi e noi abbiamo ascoltato cosa avevano da dirci a riguardo.
Buona lettura!

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Presentateci la band e diteci qualcosa in più sul vostro nome.
Non è che ci sia molto da dire. Veniamo da una piccola città di provincia ma non siamo i Nirvana, non siamo depressi e non ci facciamo di eroina. Non lavoriamo, non studiamo, non ci droghiamo, non paghiamo le tasse, insomma non siamo produttivi in nessun modo. A differenza di molti concittadini, per noi le donne non sono mai state un chiodo fisso. E le discoteche ci hanno sempre fatto schifo. Abbiamo provato con il calcio ma non era per noi, troppo magri e troppo poco cinici, passavamo sempre a quello smarcato. Insomma, come vedi, non è che avessimo grande scelta. Abbiamo cominciato a suonare e non abbiamo più smesso.
"Voina" significa guerra in russo, "Hen" indica il pollo in inglese. Non ha molto senso ma tant'è.

Nel 2003 avete "inscatolato" l'EP Finta di niente, com'è stato accolto questo debutto?
Direi abbastanza bene. Nessuno ci ha mandato minacce di morte o costruito ponti d'oro massiccio. Nessuno ha urlato al miracolo e nessuno ci ha stroncato dicendoci di andare a zappare. Abbiamo raccolto delle persone che hanno apprezzato il prodotto e il senso del progetto (chiamarli "Fans" mi sembra ingeneroso) abbracciandolo e sentendosi coinvolti da quello che urliamo nei nostri brani. Non abbiamo ancora degli Haters, ma li aspettiamo a braccia aperte.

Veniamo a Noi non siamo infinito, avete scritto che "questo disco è un manuale per imparare a danzare sulle macerie" ma come nasce e perché?
Questo disco nasce da una domanda: perché siamo così arrabbiati se in fondo non ci manca niente? In fondo nessuno ci ha mai privato di qualcosa che desideravamo. Abbiamo ricevuto pochissimi "no" nella nostra vita. Ci hanno fatto credere che avremmo potuto fare quello che volevamo. Che eravamo i più bravi. Che l'importante è impegnarsi, che avevamo talento per qualsiasi cosa. E noi giù a berci le loro menzogne. Così abbiamo alzato il livello delle nostre aspettative, non dovevamo essere bravi, dovevamo essere i migliori. Ci hanno messo in competizione. Volevano un mondo di vincitori, un mondo senza perdenti. E noi abbiamo creduto che fosse possibile. Che saremmo diventati tutti fotografi, tutti scrittori, tutti musicisti, tutti dottori. Poi, un bel giorno, arriva la vita e ti dà un cazzotto così forte che ti stende. E tu non capisci. Fai per rialzarti e lei ti mette un piede sul petto e ti tiene a terra. Ed è lì che cominci a farti un'idea. E più capisci e più t'arrabbi. E mentre cerchi di divincolarti inizi a svegliarti e cambi prospettiva. Non dobbiamo essere perfetti, non dobbiamo essere i migliori. Possiamo essere noi stessi. Possiamo fregarcene del finto futuro che ci hanno promesso. Possiamo ridere mentre ci crolla tutto addosso.
Noi, nel nostro piccolo, lo facciamo con questo disco. Non diventeremo famosi, non faremo gli stadi e non vinceremo dischi di platino. Ed è per questo che possiamo essere terribilmente sinceri.

Quanto hanno influito gli apporti di Manuele Fusaroli e Marco Di Nardo sulla buona riuscita del vostro lavoro?
Molto perché ci hanno accompagnato ed aiutato senza snaturarci. Ci hanno consigliato sugli arrangiamenti, sui suoni, hanno lavorato di cesello per migliorare il prodotto finale, lasciando che il messaggio di questo disco arrivasse incartato nel miglior modo possibile. Non possiamo fare altro che ringraziarli.

Una menzione particolare deve andare ai vostri testi, chi li scrive e come prendono forma?
I testi li scrivo io e nascono quasi sempre di notte. Detta così sembra che voglia darmi arie da scrittore maledetto, ma vi assicuro che non è così. Il grande vantaggio è che, a differenza di tutte le persone che frequento, io non lavoro e cerco sempre di evitare impegni mattutini, quindi solitamente dalla mezzanotte in poi rimango solo. Essendo un nottambulo, solitamente passo tre/quattro ore gironzolando per casa fumando, ascoltando musica e scrivendo. Se riesco a raggiungere anche un discreto livello alcolico il risultato di tutte queste operazioni notturne è nettamente migliore.

Parlateci del particolare artwork di Noi non siamo infinito.
L'Artwork è stato curato da un carissimo amico, Tommaso Giallonardo, un bravissimo grafico (anche se non lo ammetterà mai). Abbiamo deciso di utilizzare la foto di Hugo Gernsback (un illustre inventore ed editore Austriaco del 900) e dei suoi "occhiali televisore" perché esprimeva meravigliosamente la fiducia nel progresso delle generazioni precedenti alla nostra. La loro speranza era quella di un futuro glorioso, senza dolore, senza affanni. Una fiducia e una speranza che è stata chiaramente mal riposta. E la faccia sorridente di Hugo, a cinquant'anni di distanza, risulta ridicola e priva di senso.

Calma apparente è il singolo che precede l'uscita del disco, perché la scelta è ricaduta su questo pezzo e perché c'è tanto "vintage" e tanti fiammiferi nel videoclip?
Per la scelta del singolo abbiamo deciso di astenerci da qualsiasi giudizio. Abbiamo lasciato che fossero altri a prendere questa decisione perché eravamo, e siamo tutt'ora, troppo legati ad ogni singola traccia di questo album.
Il "vintage", come lo chiami tu, ci ha sempre affascinato. La novità che diventa in un attimo vecchia e che nel suo passaggio non ha migliorato di una virgola la tua vita, e nonostante questo, tu ne rimani intimamente legato. È un simbolo del declino andare alla ricerca di cose vecchie, perché vuol dire che non vuoi guardare avanti, che il passato ti rassicura mentre il futuro ti fa paura.
Per i fiammiferi invece, dobbiamo ringraziare Valentina Leonelli, una giovane artista lancianese, che ha costruito l'opera "oltreuomo", il mondo di fiammiferi. Opera che rappresenta perfettamente il rapporto tra amore e distruzione che è il cardine del pezzo. Costruire un mondo è un atto d'amore ma farlo con i fiammiferi significa volerlo bruciare, dare alle fiamme non solo il mondo, ma il tuo stesso lavoro, il tuo tempo. Costruire per distruggere. Distruggere per ricominciare tutto d'accapo.

Volete salutare i lettori di GrooveOn con tre – anche più – album che sentite in dovere di consigliare?
Te ne butto tre a caso, i primi che mi vengono in mente, perché altrimenti dovrei stare ore a pensarci e entrerei in una crisi profondissima.
Lucio Battisti - Io, tu, noi, tutti
Fugazi - Repeater
At the drive-in - Relationship of command

Ah, quasi dimenticavo... A che punto è la domanda per il personale ATA?
La rinnoviamo ogni anno ma senza un santo in paradiso, una raccomandazione o un diabete di tipo B sarà davvero difficile entrare in quel mondo fatato che è la nullafacenza stipendiata dallo stato. Ma non molliamo. Staremo a vedere.

 

 

Federico Laratta

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