InArt - Madri e figlie, intervista a Gabriele Morrione
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InArt - Madri e figlie, intervista a Gabriele Morrione

sabato 18 gennaio, 2014

ROMA, 18 GENNAIO 2014Vernissage per la personale di fotografia “Madri e figlie” dell’architetto e fotografo Gabriele Morrione (classe 1947), ospitata presso lo Spazio espositivo Cerere - via degli Ausoni, 3 (San Lorenzo) – fino al 2 febbraio 2014 e aperta tutti i giorni dalle ore 17 alle ore 21 - tranne la domenica.

L’allestimento, con un focus rigorosamente black and withe sulla donna e l’universo femminile, propone 80 madri e 99 figlie, attraverso gli scatti realizzati dall’autore su pellicola fotografica tradizionale e da lui stampati personalmente. A eccezione delle prime sette immagini, risalenti al periodo compreso tra il 1973 e il 2012, le altre della serie esposta fanno parte invece di un lavoro monografico, durato circa otto mesi, dal novembre 2012 al giugno 2013.

Infinito edizioni ha pubblicato il libro/catalogo che accompagna la mostra, impreziosito dai contributi di vari studiosi e dalle testimonianze di gran parte delle madri e figlie fotografate.


Gabriele Morrione ha risposto alle domande di infooggi.it

In che modo la fotografia è entrata nella sua vita?
In modo del tutto casuale. Ai tempi delle scuole medie la mia insegnante di Lettere, Fausta Perucci Monelli (che era nipote dell’apprezzato scrittore Paolo Monelli), ci proponeva spesso delle attività scolastiche avventurose e altamente formative, sguinzagliandoci per i quartieri della capitale, per insegnarci a relazionarci con la società. Metteva anche in palio dei premi allettanti per i mini concorsi pratici che ideava per noi studenti e in uno di questi al vincitore sarebbe toccata una macchina fotografica. Arrivai secondo. Ma da quel momento si era acceso in me il desiderio di possedere quello strumento quasi magico, che in un secondo tempo ho ricevuto in dono. E da lì, con precoce maestria, ho iniziato a fotografare tutto quello che colpiva la mia immaginazione.
Sono assolutamente autodidatta: quel che apprendevo di questa tecnica lo dovevo agli annuari di fotografia delle riviste americane in voga negli anni Cinquanta e Sessanta.

Dove trova l’ispirazione per i suoi lavori e quali tematiche sono più ricorrenti?
Nel mio percorso di fotografo ho inseguito due strade. La prima è legata alla mia carriera professionale di architetto - esercitata per 30 anni - e s’intreccia inevitabilmente con la fotografia industriale. Per il tipo di lavoro che svolgevo sono entrato in contatto con vari committenti, tra cui l’editore della casa editrice Scheiwiller (di Vanni Scheiwiller, nipote per parte di madre dello scultore dell’area svizzera Adolfo Wildt), marchio storico in Italia per la raffinata veste tipografica e l’indiscussa qualità di libri d’arte di piccolo formato e a tiratura limitata e per le nutrite collane di poesia e narrativa prodotte dagli anni Cinquanta in poi, come “All’Insegna del pesce d’oro”, che rappresentava l’eccellenza nel settore. Per lui ho realizzato dei servizi fotografici in Sardegna. Altre campagne, invece, le ho eseguite per importanti società di costruzioni, documentando in giro per il mondo la produzione di numerosi architetti come Ludovico Quaroni, Giancarlo De Carlo, Tommaso Valle, Peressutti e Rogers.
Il secondo filone della mia produzione fotografica è prettamente quello artistico, che ruota intorno alla figura della donna con la “D” maiuscola, alternandomi tra il nudo femminile e il ritratto, alla ricerca continua del segreto e dell’unicità del mistero che l’avvolge.
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Un maestro di riferimento?
Idealmente sono stati più di uno. Spaziando dal cinema all’arte in generale, numerose sono le mie fonti di ispirazione. Ad esempio, il regista Ingmar Bergman, per la particolare tecnica d’illuminazione dei volti cui ricorreva il suo direttore della fotografia, con un effetto finale in linea con lo stile che ricercavo nei miei lavori. Il mio fotografo preferito è invece lo statunitense Edward Weston, che ha avuto una intensa storia dal fascino bohèmien con l’attrice e fotografa italiana Tina Modotti; mentre sul piano della pittura, da sempre ammiro Rembrandt, per la cromaticità e l'uso sapiente della luce nelle sue tele.


“Madri e figlie” ha un messaggio?
Il legame tra una madre e la sua creatura è uno dei più forti che si possano immaginare, specie tra donne. È un rapporto primordiale, archetipo. Per me questa è stata un’esperienza insolita, perché solitamente fotografo donne da sole, che separo le une dalle altre, come si può vedere nelle diverse sezioni della mostra. Mi ispirava mettere a confronto più generazioni e a fotografarne addirittura quattro - dalla nipote diciassettenne alla bisnonna di circa 84 anni – ci sono riuscito soltanto lo scorso mese di dicembre. Questo scatto è all’ingresso della prima sala dell’esposizione. Davanti allo spettatore si profila lo scorrerre del tempo, se ne coglie il passaggio dietro una ruga, un sorriso.
È bello stare insieme. In un certo senso è questo il messaggio della personale. Anche quando è difficile convivere e il rapporto diventa complesso. Stare insieme, guardarsi negli occhi, è una cosa molto bella.

Mai senza…
Un libro… di narrativa! Perchè mi piace esplorare nuovi mondi.

 


«Quanta confidenza e quanta distanza si celano tra una mamma e una figlia.
Specchio della volontà suprema di affermare se stesse, spudoratamente sicure di un legame imperituro e innegabile, trattenuto da tre “emme”, le più chiare, le più complicate.
Ognuna a modo suo, ognuna nei propri infiniti limiti. Scorrendo le immagini di questo libro,                                
è lampante la ricerca, più o meno consapevole,
di un contatto; che sia fisico o spirituale, poco importa
».
(Cit. di Mara Abruzzese, dal testo “Il tempo in più”,
del libro/catalogo della mostra “Madri e figlie”)

 


Per maggiori informazioni:
www.gabrielemorrione.it

(Immagini: Courtesy Gabriele Morrione, dettaglio della locandina e altre foto della mostra “Madri e figlie”)

Domenico Carelli


Autore
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