Se uno mette una bomba, diventa reato. Se vengono messe cento bombe diventa un'azione politica
Cronaca Sicilia

Se uno mette una bomba, diventa reato. Se vengono messe cento bombe diventa un'azione politica

sabato 7 gennaio, 2012

TRAPANI, 7 GENNAIO 2012 - «Se uno lancia un sasso, il fatto costituisce reato. Se vengono lanciati mille sassi, diventa un'azione politica. Se si dà fuoco a una macchina, il fatto costituisce reato. Se invece si bruciano centinaia di macchine, diventa un'azione politica».
Questa è probabilmente la più famosa frase di Ulrike Marie Meinhof, fondatrice – insieme ad Andreas Baader, Gudrun Ensslin e Horst Mahler – della Rote Armee Fraktion (Raf) e, prima ancora, giornalista della sinistra radicale tedesca. [MORE]

Mi è tornata in mente in questi ultimi giorni, mentre i nostri quotidiani ci riportavano le preoccupazioni di una Camusso che, forse per la prima volta, si preoccupava di quel che avviene nel paese reale, dal quale la classe dirigente – politica, imprenditoriale e sì, anche sindacale – è ormai distaccata da tempo. Quel «rischio concreto di tensioni sociali nei prossimi mesi» come ha scritto sul suo profilo twitter.

Le tensioni sociali dei prossimi mesi, infatti, sono già arrivate, checché i sindacati ne possano pensare. Sono nelle proteste degli operai Fincantieri in Sicilia o a Genova, sono negli operai della Cantieri Navali Trapani che hanno occupato una petroliera a pochi giorni dal Natale, tanto per citare alcuni degli ultimi casi di proteste di cui ci siamo occupati.
Sono, soprattutto, nelle bombe alle sedi di Equitalia. «Se Equitalia è diventata un bersaglio bisognerebbe capirne le ragioni oltre che condannare le violenze», aveva scritto Beppe Grillo sul suo blog, seguito – a ruota – dal deputato del Pdl Giorgio Stracquadanio, che aveva paragonato il metodo usato dall'agenzia a quello del pizzo della criminalità organizzata.
Parliamo chiaro e – come si dice – fuori dai denti: a chiamarlo “pizzo” è stato Stracquadanio, ma credo sia almeno metà del paese (diciamo più o meno tutte e tutti coloro che si sono trovati a fare i conti con le “catelle pazze”?) a pensare la stessa cosa.
Perché anche solo a leggere i titoli dei giornali di questi ultimi tempi, diventa difficile chiamare la cosa in altro modo.

«Perde la casa per 63 euro. Vittima un malato di Alzheimer. L'appartamento messo all'asta e acquistato, grazie alla segnalazione di una talpa interna», scrivevano Giuseppe Filetto e Marco Preve sull'edizione di Genova di Repubblica il 28 gennaio 2011. «Cagliari, cartella-beffa di Equitalia. Debito da 5 centesimi, conto di 62 euro», scriveva l'Unione Sarda lo scorso 16 dicembre. E con titoli così negli ultimi tempi – per colpa di Equitalia o della più generale crisi economica – si potrebbero riempire intere edizioni dei quotidiani. Perché al di là degli slogan, la crisi la stiamo pagando noi (come d'altronde era facilmente immaginabile). Ed il conto davvero salato credo ancora non sia arrivato.

Il “metodo” Equitalia. A raccontarlo è Luciano Taurino, avvocato tributario ed ex finanziere del Nucleo Polizia Tributaria della Guardia di Finanza, Ufficiale addetto alla “Sezione verifiche fiscali”. Insomma, non proprio un ”estremista”: «Fino al 30 settembre 2006, lo Stato ha riscosso le proprie imposte attraverso un sistema vecchio di secoli e già praticato all'epoca della Roma imperiale: l'affidamento in concessione del servizio di riscossione(...)Quello che l'esattore riusciva a spremere dalle tasche dei sudditi, al di là del tributo dovuto, era la “remunerazione” del lavoro sporco portato avanti al posto dello Stato centrale. Era – con un termine antichissimo – l'aggio (da cui deriva il termine aggiotaggio).
Il decreto legge 30 settembre 2005, numero 203 (convertito in Legge 2 dicembre 2005, numero 248) ha rivoluzionato il sistema: lo Stato, il “lavoro sporco”(...)ha deciso di farselo da sé per interposta persona! L'interposta persona in questione è(...)Equitalia s.p.a.(...)Oggi Equitalia usufruisce liberamente – tra i propri utili d'azienda – di un aggio pari al 9 per cento delle somme iscritte a ruolo e non riscosse entro il sessantesimo giorno dalla notifica della cartella. Ed a questo 9 per cento vanno aggiunti i costi della procedura, delle spese di notifica e degli interessi legali e di mora, rimanendo allo Stato il debito riscosso più la sanzione tributaria del 30 per cento. Risultato: il debito usufruirà di una moltiplicazione degna del più noto miracolo dei pani e dei pesci».

«I numeri parlano chiaro» - conclude Taurino - «tasso superiore a quello usuraio stabilito per legge!»
«Ci si può trovare anche la casa pignorata per un debito irrisorio (anche se una sentenza della Cassazione del 2010 impedisce pignoramenti per importi inferiori agli 8000 euro)» – scriveva lo scorso 4 gennaio Laura Aprati su Malitalia.it. «Ma soprattutto lo si scopre magari quando è già all'asta e non si ha più tempo per fare opposizione. Ma la società, cioè Equitalia, dice “di non avere l'obbligo della comunicazione”».

«Si sta colpendo chi ha fatto dichiarazioni [dei redditi, ndr] fedeli e oggi, a causa della crisi, non è in grado di pagare le tasse. Non puoi impugnare quello che hai dichiarato, è la condanna a morte delle imprese oneste», sostiene l'avvocato – e consigliere piemontese dell'Udc – Alberto Goffi, tra i “leader” del nascente movimento anti-Equitalia.

Come ricordava poi Giorgio Caroli su L'Espresso due giorni fa le decisioni prese dal governo Monti – in particolare l'impossibilità di effettuare pagamenti in contanti con somme superiori ai mille euro – renderà ancora più complicato risolvere la situazione, in quanto gli sportelli Equitalia non accettano carte di credito né pagamenti on-line (solo assegni circolari).

Non volendo entrare nella riproposizione di storie individuali che avrete sicuramente letto sui quotidiani mainstream (e sulle quali credo avremo purtroppo modo di tornare nei prossimi mesi) e riallacciandoci a quelle motivazioni di cui parlava Grillo, non rimane che constatare una cosa: il popolo – quell'oggetto strano e, spesso, inclassificabile – sta cercando un modo per rispondere alla crisi economica, che sia esso individuale (il suicidio dell'imprenditore che non ha i soldi per pagare gli stipendi degli operai) o collettivo. Non credo proprio, a tal proposito, che questa volta ci si rivolga al voto, in particolare laddove i governi cambiano senza alcuna interpellanza degli elettori. La domanda, a questo punto, è: cosa costituiscono quelle bombe? Un semplice “sfogo” momentaneo, destinato a rientrare nei prossimi mesi oppure la prima – e per ora abbastanza disorganizzata – fase di una cosa più ampia, una cosa che negli anni di Ulrike Meinhof veniva chiamata “odio di classe”?

Andrea Intonti


Autore
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