Premio L'Anello Debole, storie di migranti e di emarginazione tra le opere finaliste
Cronaca Marche

Premio L'Anello Debole, storie di migranti e di emarginazione tra le opere finaliste

domenica 6 novembre, 2011

CAPODARCO DI FERMO, 2 NOVEMBRE 2011 – La distanza, il viaggio, le difficoltà, l’emarginazione, i migranti, la guerra. Sono queste alcune delle tematiche delle opere finaliste del Premo L’Anello Debole.
Sono in tutto otto le produzioni finaliste in cui figurano le tematiche dell’immigrazione, della popolazione rom ma anche del viaggio. Quello che colpisce è il modo semplice e diretto di raccontare queste vicende, a volte tristi e toccanti ma importanti. È fondamentale parlare di queste tematiche, approfondirle. Troppo spesso i mass media sembrano dimenticarsi di queste persone, emarginate e isolate. [MORE]

IL VIAGGIO – La tematica più toccata è quella del viaggio dei migranti, in particolare del viaggio che molti di loro hanno intrapreso in seguito alla rivoluzione degli scorsi mesi in Nord Africa. Attraverso il deserto e il mare di Elise Melot, Ciro Colonna, Keren Shayo, Chaska Katz e Marzia Coronatiè, è una produzione audio per la radio quindi non ha un impatto visivo, ma colpisce molto a livello emotivo. Racconta la storia dei migranti nordafricani che dopo gli accordi tra Libia e Italia per bloccare il passaggio dalla Libia per arrivare nel nostro paese scelgono due strade per fuggire: il mare e il deserto. Il deserto è quello del Sinai, al confine tra Egitto e Israele: il passaggio che oltre 30 mila profughi tentano di varcare , e che spesso finisce per essere una trappola mortale. Torture, violenze e sparizioni nella carceri del deserto. Poi c’è il mare, il percorso che dalla Turchia porta in Italia attraverso la Grecia, definita nel video «un carcere a cielo aperto». In questo paese i migranti sono invisibili, stanno lì 2 o 3 anni senza riuscire ad arrivare alla meta e senza riuscire a scappare, la frontiera è chiusa. Prima di partire i migranti sono convinti che sia facile arrivare dalla Grecia in Italia ma non è così, rimangono bloccati lì per anni e spesso sono vittime di vessazioni e razzismo.

Anche in Quel mare di uomini, di Nico Piro e Gianfranco Botta, i protagonisti sono i profughi. Sono quelli che rimangono bloccati alla frontiera di Ras Jedir, in Tunisia. Cercavano di andare in Libia a cercare fortuna invece rimangono lì, in quel confine senza speranza. Si è creato un campo che da transito è diventato tendopoli. Le navi e gli aerei che dovrebbero venirli a prendere tardano ad arrivare, ad aiutarli ci sono solo i tunisini. «Sono poveri che aiutano i poverissimi», dice un volontario tunisino nel video. Molti di loro viaggiano per sei ore per portare coperte e vestiti. E alla fine, dopo lo sgombero, saranno i ragazzi della rivoluzione tunisina a liberare il campo.

Profughi bloccati alle frontiere, uomini emarginati ed ignorati sono invece i protagonisti de La fabbrica dei clandestini. Cap 2: Ventimiglia di Antonella Cignarale. Dopo le rivolte in Nord Africa sono stati arrestati 150 migranti che tentavano di raggiungere la Francia passando per Ventimiglia. I tunisini, che arrivati in stazione vengono bloccati e arrestati, decidono di fare uno sciopero della fame per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica, prima in stazione poi in spiaggia.«Noi siamo animali, non esseri umani. Anzi, siamo trattati peggio degli animali», dice uno di loro. Il governo italiano è assente, finito lo sciopero i tunisini sono sotto il controllo della protezione civile che percepisce 50 euro al giorno per migrante. E il sindaco di Ventimiglia dichiara dopo lo sgombero: «Se vedo un tunisino alla stazione dopo le 6 di sera lo brucio!».

DONNE SOLE – Tra i protagonisti delle opere ci sono anche loro: le donne migranti, le madri, le mogli, le donne sole che partono per garantire un futuro migliore alla loro famiglia o a se stesse. In Distanza di Ludovica Nigro e Daniela Gonzales viene raccontata la storia di una giovane donna peruviana di 28 anni, emigrata in Spagna per garantire uno stile di vita adeguato ai suoi figli. Questa donna parlando dei suoi figli racconta «non puoi fare niente di più che mandargli dei soldi» e poi alla fine dice tristemente che ci sono donne che non possono essere madri aggiungendo che «tutte dovrebbero poterlo essere». Ed è proprio così, molte donne migranti non possono essere madri e dedicarsi ai propri figli perché hanno deciso di partire. Sono donne latino-americane, asiatiche, africane che lasciano la loro famiglia e il loro paese per garantire ai loro figli un tenore di vita adeguato.

E poi c’è Fiona, una ragazza della Sierra Leone di 23 anni che ha lasciato il suo paese per trovare fortuna in Libia ma poi è dovuta scappare da lì dopo le rivolte. Ha avuto una vita difficile, è stata stuprata, la famiglia l’ha fatta circoncidere, la Libia sembrava la soluzione ma dopo lo scoppio della guerra è dovuta scappare e nel viaggio per arrivare in Italia ha perso il suo bambino. Il suo sogno? Ritrovare il suo passaporto, perso nel viaggio, ed essere riconosciuta come rifugiata politica. Nel video Storia di Fiona di Rosa Maria di Natale la domanda finale è: «L’Italia riuscirà a non deluderla?».

Nadya (di Chiara Tarfano e Francesca Di Palma) invece non è una donna, è una comunità che accoglie donne migranti malate o in difficoltà, per lo più badanti che hanno perso il posto di lavoro dopo che è stata diagnosticata loro una malattia grave. Nel video si dice che «uno straniero ammalato è un sacco di rifiuti, un ammalato grave è un sacco di rifiuti radioattivi». Ne sono un esempio la storia delle donne malate, raccontate in questo documentario, che non possono lavorare e vengono emarginate.

EMARGINAZIONE – E questa è casa mia di Antonia Moro racconta la storia dei nomadi stanziali di Baranzate, vicino Milano. Proprio lì si trova un campo nomadi abusivo, con tanto di villette. I rom che vivono lì da più di 20 anni hanno pagato queste case e i terreni venduti abusivamente dagli italiani, dagli stessi che adesso si lamentano della loro presenza abusiva sul territorio. Tra di loro c’è chi tenta di integrarsi ma non è facile perché «chi vuole uscire dalla cultura rom è blindato dal resto del gruppo e dal clan, non è semplice», si racconta nel video. La sintesi tra l’anarchia e connivenza è molto difficile.

Marika Di Cristina


Autore
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