Don Gianluca Coppola, un prete innamorato dei giovani
Chiesa e Società Lazio Roma

Don Gianluca Coppola, un prete innamorato dei giovani

domenica 29 settembre, 2019

Sui social, si sa, si incontra tanta gente e, tra questi, anche confratelli nel ministero sacerdotale. Ed è cosi che sul mio profilo di instagram ho conosciuto Don Gianluca Coppola, giovane sacerdote. Mi ha colpito un suo post, quello del suo libro: “Dalla sopravvivenza alla Vita. Lettere di un prete ai giovani sulle domande esistenziali”, Punto Famiglia. Conosciamo meglio il nostro amico sacerdote: «Sono nato il 1 gennaio del 1982, a Napoli. I miei genitori si occupavano di commercio di abbigliamento. Tutto il vissuto della mia famiglia era incentrato sul lavoro e sulla soddisfazione sociale. Erano gli anni del “volere è potere”. Ricordo che la dimensione della fede era quasi totalmente assente. Nel 1989, e in parte del 90, ci fu un episodio che cambiò radicalmente il corso della vita familiare. Mia sorella maggiore si ammalò di un complicato tumore. Questo fu l’inizio del più grande miracolo a cui io abbia assistito nella mia vita. Il miracolo non consisteva tanto nella guarigione di mia sorella la quale dopo diversi mesi di cure - in Francia perché in Italia non erano ancora delle migliori -  poté tornare a casa quasi del tutto guarita.

Il vero miracolo fu che la mia famiglia incontrò finalmente la misericordia di Gesù, il quale si era fatto presente attraverso l’apostolato di un sacerdote missionario e si era lasciato scoprire in tutta la sua bellezza. Da quel momento iniziò per la mia casa un itinerario nuovo non più sulle vie dell’affermazione sociale e della tristezza, ma sulla possibilità di poter essere felici in Dio. Fu la prima volta, anche se nel modo in cui è possibile a un bambino di nove anni, che conoscevo la bellezza di un Dio che parla con gli uomini. Non soltanto un’immagine muta invocata per paura. In quel periodo cominciai ad ascoltare dal profondo del mio cuore le prime timide richieste di Dio. Sentivo che il Signore da me voleva un impegno particolare, non un ministero da laico, ma la profondità di un rapporto d’amore unico con lui attraverso la consacrazione. Fino all’età delle scuole superiori questa chiamata, che sentivo per me, fu una grande consolazione, un obiettivo a cui tendere. Alla fine delle scuole medie iniziai un periodo residenziale nel seminario minore dei Missionari dei Sacri Cuori. Ma, forse per la poca maturità o l’eccessiva mancanza dei miei genitori, che mi erano già mancati nel periodo delle cure di mia sorella, decisi di tornare a casa dopo pochi mesi. Quando mi affacciai alla vita adolescenziale e giovanile, come spesso succede, fui attratto da tante altre cose che mi distoglievano dalla bellezza di Dio e dall’idea del sacerdozio. Cominciò così un periodo molto forte di “ribellione”.

L’idea che Dio volesse da me qualcosa di più che un semplice impegno in parrocchia cominciò a diventare una vera paura, così cominciai a tenermi a debita distanza dalle “cose di chiesa”. A quel punto tutto quello che distraeva dalla voce del Padre celeste fu come il canto della sirena. Cominciarono gli anni degli eccessi, anni in cui qualsiasi cosa avesse il sapore della contestazione e del divertimento diventava meta ambita, a breve termine però, perché non mi andava affatto di progettare il futuro. Il mio pallino fisso era divertirsi e conoscere ragazze. Intanto avevo tutto ciò che un giovane della mia età potesse avere tranne una cosa, la più importante: la pace del cuore. Cominciai a divertirmi con l’attività di Dj nelle feste della scuola e non solo e la cosa mi riusciva anche bene. Al quarto anno di liceo conobbi una ragazza che sarebbe stata la mia fidanzata per quasi quattro anni, anche se, detto fra di noi, avevo qualche difficoltà ad esserle fedele. Finito il liceo mi iscrissi alla facoltà di Economia a Napoli. Avevo tutto, tutto quello che un giovane potesse desiderare, eppure sentivo una terribile insoddisfazione. A quel punto cominciai a cercare di risolvere il problema di questo vuoto. L’idea di Dio era talmente lontana da me che ebbi bisogno di un espediente per ritornare in chiesa. Espediente che per un disegno meraviglioso della provvidenza si presentò proprio in quel momento in cui la disperazione e il vuoto dominavano la figura esteriore di un giovane “riuscito”. Il sacerdote missionario che aveva accompagnato i primi passi di conversione della mia famiglia, in quei giorni, celebrava il suo 20º anniversario di sacerdozio.

E mi contattò per organizzare la sua festa. Era noto a tutti che ero nell’ambiente delle feste. Mi fu chiesto di mettere in campo questa mia abilità, anche se come feci notare al carissimo prete, le feste che organizzavo forse non erano proprio adeguate all’anniversario di un sacerdote… Ma l’affetto che mi legava a quell’uomo che aveva operato tanto bene nella mia casa mi obbligò ad accettare. E fu così che dopo tanti anni, senza aver mai messo piede in una chiesa mi ritrovai nella mia Parrocchia di origine per organizzare la festa di padre Luciano. Quando arrivai nella chiesa, mi resi conto che in realtà il tutto era stato organizzato per farmi ritornare in chiesa, la festa era una scusa! Dovevo essere proprio un caso disperato per organizzare una tale imboscata. Li fui accolto da un gruppo di giovani che era guidato da un seminarista, poi diventato sacerdote, Michele. Quel giorno avvenne dentro di me un grande miracolo, quello della mia salvezza. Perché da sentimenti di grande contrarietà verso quella situazione di “inganno”, cominciai ad apprezzare la bellezza e la freschezza di quei giovani riuniti insieme al seminarista. Io che, a quel tempo vivevo nella tristezza e in una sorta di superficialità che mi ero imposto per non pensare troppo, mi guardai intorno e vidi negli occhi di quei giovani ciò che ormai nei miei mancava da troppi anni: la gioia! Quei giovani avevano capito tutto: la vera Gioia è Cristo! Cominciò il mio cammino da ragazzo cristiano impegnato e più questo cammino progrediva e più il cuore mi diceva che non potevo essere un giovane cristiano impegnato. Cristo voleva da me tutto me stesso nella via del dono totale. Mi arresi  a quest’idea e ne parlai con il mio parroco. L’anno dopo entrai in seminario».

Don Gianluca è sacerdote da sette anni e non c’è mai stato un giorno in cui, come dice lui «ho pensato di aver sbagliato. Il sacerdozio è stato il dono più grande che Dio avesse mai potuto farmi».

Questo suo libro che ho avuto la gioia di leggere, forse è proprio un atto di gratitudine a quei giovani che gli sono andati incontro in un momento di totale smarrimento ed è un impegno concreto verso tanti giovani che, ogni giorno, rischiano di smarrire il cammino della fede, perché soli, perché affiancati da amicizie sbagliate, perché fragili: «Sono lettere che indirizzo ai giovani cuori che perché sperimentino, come ho fatto io prima di loro, il passaggio dalla sopravvivenza alla Vita. Scrivo a tutti quelli che scappano dalla loro coscienza, a chi non riesce a sentirsi più figlio di Dio. Scrivo per ricordargli di non scacciare la Sua Voce».

Attualmente don Giancluca è parroco da tre anni nella parrocchia Immacolata Concezione a Portici, Napoli. «Sento nel cuore una spinta fortissima verso l’evangelizzazione dei giovani. So cosa significa vivere nelle tenebre che avvolgono tantissimi ambienti giovanili. Per questo la mia prima attenzione, la mia prima preghiera, il libro che ho scritto, sono tentativi di riportare i giovani a quella Luce che splende di Gioia. Alla vita che rende realmente felici e non è mera sopravvivenza: la Vita in Cristo».

Don Francesco Cristofaro


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