Lettera di un ergastolano: il suicidio dei cattivi
Editoriale Umbria

Lettera di un ergastolano: il suicidio dei cattivi

giovedì 18 novembre, 2010

Molte persone aldilà del muro di cinta mi scrivono e mi chiedono spesso perché i detenuti in carcere si tolgono la vita. Forse in galera ci si uccide perché la stanza assomiglia ad una bara, mentre in una cassa da morto hai la fortuna di stare da solo, in una cella spesso sei messo uno sopra l’altro, in due, tre, quattro, cinque persone o più.

Forse in galera ci si toglie la vita per togliere il disturbo e non essere di peso a questa società, perché meglio non esistere che annegare nella disperazione.[MORE]

Forse in galera ci si suicida semplicemente perché alcuni non accettano l’assoluta disumanità del carcere, dato che nelle carceri italiane la vita è priva di significato.
Forse in galera ci si uccide perché con il passare degli anni la maggioranza dei detenuti perde la facoltà di pensare, di lottare e di andare avanti.
Forse in galera ci toglie la vita perché molti di noi vivono senza sentirsi vivi e consciamente o incosciamente invidiano e imitano chi ha avuto il coraggio di farlo.
Forse in galera ci si suicida semplicemente perché la morte ti fa vedere la libertà e tutto quello che desideri dalla vita.
Forse in galera ci si uccide perché per molti di noi la morte rimane l’ultima speranza, quella a portata di mano.
Forse in galera ci si toglie la vita semplicemente perché la morte è l’ultimo atto d’amore alla vita.
Forse in galera ci si suicida perché quando stai morendo hai il vantaggio d’immaginare tutto quello che vuoi, anche quello di morire libero.
Forse non lo so perché dall’inizio dell’anno in una popolazione di 68 mila detenuti si sono tolte la vita 58 persone, bisognerebbe domandarlo ai nostri governanti.
Diciamoci la verità: tutti lo pensano, ma sono pochi coloro che dicono che le carceri in Italia non sono solo luoghi di sofferenza, solitudine e abbandono, ma sono anche luoghi dove le persone sono tenute come animali allevati in cattività.
E negli istituti italiani non esistono diritti, perché è inutile averli se non c’è nessuno che li fa rispettare.
Il carcere dovrebbe produrre legalità, rispetto dei diritti umani e sicurezza, dentro e fuori dalle sue mura, e non morte.
“Non si sarebbero accorti che lentamente si stava spegnendo”(Il Messaggero, martedì 26 ottobre 2010 )
Diciamoci la verità: nelle carceri italiane non esiste lo Stato di diritto, ma un gruppo di burocrati che gestisce le persone che ci lavorano e i carcerati, che scontano una pena a volte in un modo violento, tragico e illegale.
Il carcere con queste modalità e con questi funzionari non recupera un bel nulla, ma piuttosto elimina, distrugge e ammazza.
Diciamo la verità: in Italia il carcere ha una funzione sociale e di controllo del male minore per poter nascondere a fare crescere di più il male maggiore.
E diciamo l’ultima verità: esiste la mafia che uccide, ma esiste anche la corruzione politica, finanziaria, mediatica, imprenditoriale, istituzioni mafiose che in carcere non ci vanno mai.

Carmelo Musumeci
(ergastolano ostativo detenuto da oltre 20 anni, attualmente nel carcere di Spoleto)


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