"L'Impostore", la recensione: un documentario con la falsa identità fiction
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"L'Impostore", la recensione: un documentario con la falsa identità fiction

martedì 25 marzo, 2014

L'IMPOSTORE - THE IMPOSTER DI BART LAYTON, LA RECENSIONE. Un documentario dall'atmosfera noir e dalla scaltrezza del thriller, per ridiscutere i confini della realtà e del genere. 

23 anni e non sentirli: specie quando ne hai dichiarati 16 e frequenti allegramente il college tra pseudo-coetanei. Roba da impostori professionisti, o semplicemente patologici. Il protagonista di The Imposter gioca a carte (d’identità) scoperte, nel documentario di Bart Layton: racconta la propria storia dal punto di vista del truffatore, dal dietro le quinte dell'inganno. I truffati, pure, rievocano la propria vicenda: si tratta della famiglia di Nicholas Barclay, tredicenne scomparso in Texas senza lasciar traccia. È lui stesso a chiamare, tre anni dopo, dalla Spagna: è molto cambiato. O forse è solo un truffatore. La famiglia ci crede ciecamente – è Nicholas! – d’una cecità persino sospetta. Gli interrogativi sono tanti, del tipo Chi l’ha visto? in formato docu-thriller. Le risposte sono rigorosamente vere, quando ci sono.[MORE]

CHI L'HA VISTO\DETTO\FATTO? - Come se non bastassero i successi di Sacro Gra al Festival di Venezia e Tir al Festival di Roma per fotografare il trend positivo dei documentari al cinema, L’impostore – The Imposter conferma il periodo di fertilità del genere, grazie ad una regia che s’inoltra nei territori più cinematografici del cinema verità. La ricostruzione di Bart Layton, pur condotta col polso dell’inflessibile misuratore di realtà, punta a far tremare le vene nei polsi: da un lato la valigetta del buon documentarista, che da abile praticante raccoglie dichiarazioni, fatti, testimonianze; dall’altra un montaggio delle dichiarazioni che travalica il compitino del bricoleur para-televisivo, alimentando semmai una tensione da cineasta consumato. Il documentario, anzi, è de-costruito: non ci sono fatti, ma versioni; non c’è la verità, ma le verità nascoste; e se anche conosciamo “il colpevole” dall’inizio, sembra che la trovata sia in stile hitchcockiano, ossia, non conta più il mistero whodunit, ma solo la suspense nel sapere di un infiltrato potenzialmente pericoloso in un contesto domestico.

UN DOCUMENTARIO CHE FA OMBRA SUI FATTI - Il confronto tra i protagonisti poi, è gestito con autentica, geniale slealtà: oltre alle interviste, compaiono alcune sequenze silenziose, in cui la macchina da presa pare indagare la credibilità delle persone\personaggi, financo la sanità mentale, cogliendo negli sguardi qualcosa di non-documentato, non-documentabile. Il tourbillon di maschere deflagra in un gioco di falsi specchi, alimentato da un’atmosfera da noir postmoderno: il presunto Nicholas che attraversa il tunnel dell’aeroporto macina centrimetri di palpabile agitazione, prima di incontrare i parenti, nella speranza di essere riconosciuto; l’impostore accucciato di notte nella cabina telefonica sembra l’outsider di qualche underground dai risvolti dark; certi pedinamenti con la macchina da presa invertono il rapporto finzione\realtà, apparendo come prelevati da qualche torbida storia di Gus Van Sant. Difficile, a memoria di cinefilo, ripensare per un documentario ad una tensione così logorante, ad un ricostruzione così sfiancante, ad una verità così ambiguamente oscurata in dissolvenza nello stesso momento in cui si affastellano dati su dati e parole su parole.

FAX E CLIMAX - C’è una scena, emblematica, persino fuori misura, in cui si abusa della reality-suspense: sta arrivando un fax in un ufficio, da cui dipenderà si potrebbe arrivare ad una svolta sull’identità del protagonista. La stampa è ossessivamente lenta, intervallata da dichiarazioni sempre più convulse, mentre l’aggeggio del fax trasmuta in un oracolo tecnologico. È il climax del film, ma la storia non decade dopo l’apice di tensione: fa seguito l’apice del morboso, in un accumulo di sospetti in una luce – anche fotografica – sempre più sinistra. Fino alla parossistica danza tarantolata del finto Nicholas, da finto Michael Jackson: black or white, un’anima nera o un povero disadattato? 

Doppia, l'anima de L'Impostore - The Imposter: un documentario imbevuto di falsa realtà, una ricostruzione dei fatti che si sfilaccia correndo sul filo della tensione, ridiscutendo i confini del genere nella penombra dell'ambiguità. 

DATA USCITA: 20 marzo 2014
GENERE: Documentario, Thriller
ANNO: 2012
REGIA: Bart Layton
PRODUZIONE: RAW in associazione con Red Box Films e Passion Pictures
DISTRIBUZIONE: Feltrinelli Real Cinema
PAESE: Gran Bretagna
DURATA: 99 Min


 
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Antonio Maiorino
critico cinematografico - follow on Twitter

 


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