"La vita di Adele" di Abdellatif Kechiche, dall'innocenza infantile alla consapevolezza interiore
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"La vita di Adele" di Abdellatif Kechiche, dall'innocenza infantile alla consapevolezza interiore

mercoledì 30 ottobre, 2013

La vita di Adele di Abdellatif Kechiche, vincitore della Palma d’oro al Festival di Cannes 2013, attribuita al film ed in via eccezionale anche alle due interpreti (Adèle Exarchopoulos e Léa Seydoux), è ispirato al graphic novel Il blu è un colore caldo, opera d’esordio della fumettista Julie Maroch.

La vita di Adele non è solo la storia di un innamoramento - poco importa che questo avvenga fra due donne invece che fra un uomo e una donna - ma la storia di ogni innamoramento, di ogni ascesa alla gioia dell’estasi e di ogni discesa negli abissi della perdita più dolorosa. La vita di Adele racconta il delicato momento di passaggio - inevitabilmente segnato da indicibili turbamenti ed attese - dall’adolescenza all’età adulta, in cui qualcosa o qualcuno, dotato di una misteriosa capacità di fascinazione, risveglia l’anima attraverso il corpo e la conduce per mano lungo il percorso di formazione e definizione dell’individualità.
Il cuore di questo racconto - voce di corpi e di anime - contiene un’intensa forza visiva che riesce a suggerire il sapore autentico di percezioni archetipiche e a riconnetterle fra loro attraversando il tempo, facendone scaturire in modo sensibile una fortissima universalità che riguarda ogni vita, ogni essere umano. La messa in scena di tale cammino interiore prende forma esteticamente in quella che si potrebbe definire una scultura di emozioni attraverso l’immagine di corpi che ne evocano costantemente l’interiorità.

Adele è una ragazza di 15 anni che crede di poter amare i ragazzi, pensando di vedere la verità nella conoscenza comune del mondo ma senza conoscere ancora se stessa. L’incontro con Emma, una ragazza con i capelli blu che frequenta l’accademia di belle arti, sconvolgerà la sua vita e le permetterà di scoprire la sua autenticità.[MORE]

Lo sguardo di Kechiche, mentre si ferma sui volti e sui corpi, cerca costantemente un’identificazione sensibile con gli stati emotivi di Adele che ne raccontano una libera umanità, istintiva perché istintuale. Quello che viene scolpito dall’immagine è il corpo di un pensiero, la materia di un’ombra, come se i sentimenti avessero una forma, una carne, una bocca, una voce, e potessero comunicare da un altrove metafisico, capace di riportare in vita le traiettorie invisibili dei sentimenti per farle esistere, nel corpo di due personaggi la cui identità drammatica è determinata dalla mappa universale dei sensi, dai moti dell’animo divenuti tangibili. La grandezza compositiva del film sta nell’aver trovato, instaurato e seguito, dal primo minuto fino all’ultimo, il ritmo incalzante ed armonico di questo magico accordo, l’universale sensibile di ogni umano aprirsi alla vita.
L’istintualità è raffigurata con un’aderenza strettissima ai corpi, alle movenze naturali delle mani, dei volti, della bocca, dal sesso al cibo, senza voler ricostruire la vita ma giungendo a coincidervi attraverso la manipolazione di tutte le imperfezioni dell’essere che, animate dall’abbandono totale delle attrici ad un’interiorità fisica, corporea, incarnano, non rappresentano, la verità dell’essere. C’è qualcosa che le due protagoniste non raccontano, ma in cui divengono, l’una nell’altra e l’una per l’altra, esseri unici a raffigurare l’unicità universale del sentimento.

Tale universalità, oltre ad essere fine a se stessa con una smisurata bellezza, in un dialogo intenso di gesti e di sguardi, si declina anche nello svolgersi del percorso amoroso di Adele, in divenire da adolescente a donna. Il delicato momento della maturazione interiore impone ad Adele il dolore di dover scoprire e accettare che alcuni momenti della vita, come i più grandi amori, non si possono trattenere, tenere con sé, si devono perdere e a questo si deve sopravvivere.
L’anima di Adele vive all’interno di una conflittualità che contemporaneamente la respinge e la attrae, instaurata e spezzata dall’identico opposto che ne crea la fascinazione, nel confronto con il quale si forma e si definisce la sua personalità. Adele è innocente, fragile, istintiva ed adorante, cerca tenerezza e protezione nella sicurezza del nido, mentre Emma - opposta e complementare alla sua compagna - è libera, selvaggia e rappresenta il mentore di un percorso verso l’autonomia esistenziale che, attraverso l’amore e la sofferenza, condurrà Adele alla conoscenza di se stessa.
L’amore che unisce le due ragazze si spezza per l’ineluttabilità del dissolversi di una passione che unisce due universi inconciliabili, ne scolpisce i contorni l’uno sull’altro, senza poterli cambiare, senza poter giungere al compromesso di una serena appartenenza.

Il trauma della rottura lascia intatta la passione, l’amore continuerà a vivere in Adele andando a costituire un magma spirituale, ormai indipendente dall’oggetto del desiderio, che ne andrà a definire la sensibilità e il carattere. Così lasciamo Adele, dopo tre ore vissute dentro di lei, mentre cammina di spalle in un abito blu, simbolo esibito di una presenza ormai totalmente interiorizzata, nel momento in cui sceglie di lasciarla andare e di andar via, sconfitta da un amore infelice ma cosciente di sé come donna, visione simbolica di ogni traghettamento esistenziale dall’innocenza infantile verso la riva della consapevolezza interiore.



Titolo originale: La vie d'Adèle
Interpreti: Léa Seydoux, Adèle Exarchopoulos, Jeremie Laheurte, Catherine Salée, Aurelien Recoing
Origine: Francia, Belgio, Spagna 2013
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 179'

Gisella Rotiroti


Autore
https://www.infooggi.it - Il Diritto Di Sapere

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